Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-06-2011) 12-10-2011, n. 36775

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La Corte di Assise di Reggio Calabria con sentenza pronunciata il 27.1.2009 condannava:

L.G..

– alla pena di anni otto di reclusione per i delitti (contestati ai capi A-B-G-H-I- della rubrica) di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e artt. 110 e 81 c.p.) D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 unificati dal vincolo della continuazione;

– alla pena di anni due, mesi sei di reclusione e Euro 500,00 di multa per i reati, unificati dal vincolo della continuazione (contestati ai capi R-V e Z della rubrica) di cui agli artt. 110, 81, 378, 390, 81 e 110 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 4 e 7, L. n. 203 del 1991, art. 7 e art. 81 c.p., L. n. 895 del 1967, art. 2 e L. n. 203 del 1991, art. 7;

– alla pena di anni ventidue di reclusione per i reati (contestati ai capi D bis-E bis-F bis-H bis-1 bis-L bis- e M bis della rubrica) di cui agli artt. 110, 575 e 110 c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14; art. 110 c.p., L. n. 110 del 1975, art. 23, comma 3; art. 110 c.p., L. n. 110 del 1975, art. 23, comma 4; artt. 110, 648, 110, 703, 482 e 477 c.p..

P.R..

– alla pena di anni sei di reclusione e Euro 18.000,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

La sentenza veniva parzialmente riformata dalla Corte d’assise di appello di Reggio Calabria con pronuncia in data 28.4.2010, con la quale i giudici dell’impugnazione dichiaravano non doversi procedere nei confronti di L.G. in relazione al reato di cui all’art. 703 c.p. (contestato al capo L bis) della rubrica) perchè estinto per prescrizione, confermando nel resto la decisione di primo grado.

Le vicende di cui al processo, che sono state oggetto di altri due procedimenti a carico degli altri imputati, uno davanti al GUP di Reggio Calabria e l’altro davanti al Tribunale per i Minorenni della stessa sede giudiziaria, erano scaturite dalle indagini svolte in relazione a diversi episodi di rapine a portavalori ed uffici postali.

In particolare, dagli accertamenti e dai controlli sulla persona di Z.B. erano emersi degli altri reati in materia di stupefacenti, commessi dallo Z. con altre persone individuate in M.A., L.G., Pr.St., S.B., S.A. ed altri, con il coordinamento di soggetto sconosciuto chiamato " G.".

Risultava, poi, in seguito alle ulteriori attività di polizia giudiziaria, conseguenti all’arresto dello Z. perchè trovato in possesso di circa gr. 800 di eroina il 21.5.2005, che colui che organizzava i traffici di stupefacente era il latitante I. D., ricercato perchè destinatario di un ordine di carcerazione per l’espiazione della pena di anni 9, mesi 5 e giorni 20 di reclusione per reati, anche associativi, in materia di stupefacenti. L’arresto di Z.B., avvenuto mentre lo stesso trasportava dello stupefacente sulla Lancia Y in uso a L.G. ed era seguito dalla a Volkswagen Golf, a lui in uso ma condotta da L.G. che riusciva ad allontanarsi prima di essere fermato dagli inquirenti, portavano l’intensificazione dei controlli sui soggetti già individuati e, quindi, a predisporre attività di intercettazione ambientale sulle autovetture normalmente usate dal L. e da M. A.. Le intercettazioni, l’analisi dei tabulati telefonici e le altre indagini evidenziavano un complesso di movimenti tra Reggio Calabria ed Africo e tra Africo e Roma e portavano ad individuare altri soggetti coinvolti nel traffico di stupefacenti, tra i quali anche tale Pa., ritenuto legato alla cosca mafiosa dei Cataldo, che intratteneva rapporti M.A., nonchè ad individuare i luoghi, in Africo e Reggio Calabria, ove si nascondeva I.; questo veniva arrestato il 9.7.2005 e nel bunker in Africo, che costituiva il suo rifugio, erano sequestrati un giubbotto antiproiettile diverse armi, tra cui un fucile mitragliatore Kalashnikov e alcune pistole, con il relativo munizionamento. Nel corso dei suddetti accertamenti risultavano anche dei contatti tra S.B., zio del latitante I., e P. R., persona appartenente ad un diverso contesto territoriale, in relazione ad un episodio di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente verificatosi nel giugno 2005.

Il proseguo dell’attività di intercettazione sull’autovettura Lancia Y adoperata da L.G., oltre a confermare l’esistenza di un sodalizio vero e proprio per il commercio di stupefacenti, e secondo gli inquirenti, evidenti elementi di controllo del territorio attraverso delitti quali estorsioni, incendi e detenzioni di armi, portava anche a conoscere le modalità dell’omicidio di G. A., commesso verso le ore 13,25 del 31.10 2005 in Africo Nuovo.

Nel luogo ove era avvenuto l’agguato al G. veniva, infatti, ritrovata la motocicletta "Honda" modello CBR 600, di proprietà del L., con il numero di targa contraffatto mediante l’apposizione di nastro isolante di colore nero per modificarne le cifre numeriche, tale circostanza portava a verificare i contatti avuti dallo stesso la sera precedente e la mattina dell’omicidio ed a effettuare una serie di perquisizioni.

Nell’autofficina del padre di C.P., con il quale L. aveva avuto contatti la sera del 30 ottobre e la mattina del 31, era ritrovata una autovettura Fiat Punto di proprietà di S.B. mancante dello specchietto retrovisore esterno che era stato rinvenuto sul luogo dell’omicidio. Dall’analisi della conversazione ambientale, captata alle ore 9,10 del 31 ottobre dall’autovettura Lancia Y del L., risultava che questi in quel frangente, unitamente ad altro soggetto di nome P., identificato in C.P., e ad altre due persone, era intento a contraffare, con l’impiego di nastro adesivo nero, la targa della moto utilizzata per l’omicidio con modalità identiche a quelle riscontrate al momento del ritrovamento della motocicletta in prossimità del luogo dell’agguato. Dalle intercettazioni risultava che il L. aveva cercato, nel primo pomeriggio del 31 ottobre, di indurre la madre a denunciare il furto del motoveicolo, successivamente, condotto nella caserma dei Carabinieri di B., aveva riferito che il mezzo era stato da lui lasciato per strada con le chiavi inserite e in prosieguo, che lo stesso era stato ceduto, dopo un incidente nel 2004, all’amico C.P..

Sempre nell’ambito delle indagini da due intercettazioni del 23.8. e del 24.8.2005 risultava che il L., il quale aveva, o aveva avuto, la disponibilità di armi da sparo e che in una circostanza aveva portato con sè una pistola.

Sulla base del compendio probatorio vagliato i giudici di appello ritenevano che fosse da confermare la responsabilità penale del L. a tutti i reati per i quali era stata affermata dalla corte di primo grado, eccettuata la contravvenzione di cui all’art. 703 c.p. dichiarata estinta per prescrizione.

La Corte di Assise di Appello riteneva ugualmente infondato l’appello di P.R., rilevava che le intercettazioni telefoniche effettuate dal 14 al 27 giugno 2005, nel corso delle quali egli parlava con S.B. di vendita e locazione di immobili in Nocera Terinese, senza dubbio si riferivano, con terminologia allusiva, a stupefacenti posto che S.B. era ampiamente inserito nel traffico di stupefacenti.

2.- Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli avvocati Antonio Managò e Giacomo Iaria, difensori di L. G. e l’avvocato Ortensio Mendicino difensore di P. R..

2.1.- Nell’interesse del L. i difensori adducono a sostegno:

a)- Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di omicidio aggravato in concorso ed alle imputazioni concernenti la detenzione ed il porto delle armi e delle munizioni usate per l’omicidio stesso, nonchè la ricettazione, la detenzione ed il porto del revolver marca Taurus con matricola abrasa.

La sentenza impugnata sarebbe carente, in primo luogo, per non avere risposto in maniera logica ed esaustiva a tutte le deduzioni difensive formulate nei motivi di impugnazione; gli elementi utilizzati per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sono stati valutati sulla base di ragionamenti congetturali: la corte, infatti non spiega in relazione alla telefonata effettuata alle ore 7,37,52 del 31.10.2005, dal C. al L., come da essa si potesse trarre la prova che il L. fosse a conoscenza che quel giorno si sarebbe realizzato l’omicidio. Infatti la circostanza che l’imputato venisse avvertito che sarebbe passato P., senza certezza su chi fosse quel P. e sul perchè dovesse identificarsi in M.P., non è idonea nè a dimostrare che l’imputato sapesse che quello era il giorno scelto per l’agguato, nè che la telefonata fosse finalizzata alla consegna della moto al M.. Il contenuto della conversazione ambientale intercettata alle ore 9,10 della mattina del delitto, peraltro oggetto di perizie anche di parte, non è, poi, dimostrativa della effettiva, consapevole, partecipazione dell’imputato alla contraffazione della targa del motociclo. Non vi è infatti, in atti, alcun elemento che dimostri che il L. sapesse che il mezzo sarebbe stato utilizzato quel delitto di omicidio, al quale, peraltro, è escluso sia che abbia materialmente partecipato, sia che avrebbe dovuto partecipare, posto che egli prima delle 13,00, l’omicidio fu compiuto alle ore 13,25, già aveva concluso il suo impegno presso gli uffici giudiziari di Melito Porto Salvo e aveva superato, nel viaggio di ritorno, il paese di Africo.

Dunque, il dato della intercettazione ambientale non è decisivo e solo sulla base di deduzioni congetturali, in mancanza di comprovati e diversi dati di certezza, esso è stato assunto dai giudici di merito a fondamento della loro decisione in ordine alla colpevolezza dell’imputato. Sul punto la corte ritiene, illogicamente, inconcepibile che la moto fosse usata senza il consenso del suo proprietario, estraneo al piano criminoso e argomenta che il L. non sia stato in grado di fornire una spiegazione alternativa al taroccamento della targa, laddove spettava invece all’accusa provare la sua certa responsabilità. Anche i comportamenti post delictum dell’imputato, come la telefonata alla madre perchè denunciasse il furto del mezzo, non possono essere considerati significativi del suo concorso nell’omicidio.

Indimostrata è, inoltre, la circostanza che l’imputato fosse l’effettivo proprietario e possessore della moto, contraddetta dalle varie circostanze emerse in corso di processo che deponevano nel senso che egli, in realtà non avesse la disponibilità del mezzo, che era stato ceduto al C. dopo un incidente verificatosi nel febbraio 2004. In ogni caso, deve essere aggiuntivamente considerato che, escluso il movente mafioso dell’omicidio originariamente contestato ed appurato che il delitto era da ricondursi a motivazioni familistiche collegate con un precedente omicidio, il L. era sicuramente estraneo alla vicenda antecedente, nè aveva motivo alcuno di risentimento nei confronti di coloro che avevano ucciso F.S.. La sentenza gravata omette qualsiasi argomentazione in relazione al movente, così come non considera che il coimputato C., nell’immediatezza dei fatti, aveva riferito di essere entrato in possesso della moto all’insaputa del L. e che il comportamento di quest’ultimo, quale risultante dalle captazioni effettuate la notte precedente all’omicidio, fosse per la natura dei colloqui ed il tono ilare degli stessi, poco conciliabile con l’accordo per la commissione di un omicidio la mattina successiva.

La sentenza sarebbe poi immotivata anche con riferimento alle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, ritenute equivalenti alle attenuanti generiche, per la configurazione della prima difettano, infatti, l’elemento cronologico e quello ideologico, b) I difensori evidenziano, con specifico motivo,in relazione al reato di cui all’art. 703 c.p., ascritto in concorso all’imputato al capo L bis) della rubrica per l’esplosione degli spari diretti verso G.S., che la corte pur dichiarando estinto il reato per intervenuta prescrizione non abbia rivalutato, in conseguenza, il trattamento sanzionatorio. c) Riguardo ai reati in materia di stupefacenti i difensori ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio di motivazione.

Assumono che la sentenza impugnata non abbia dimostrato l’esistenza di una associazione a delinquere quale configurata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, non avendo individuato nè il luogo dove essa si sarebbe concretizzata nè le modalità di spartizione degli utili tra gli associati, indicando solo i presunti ruoli dei quattro partecipi, che erano da ritenere espressione, invece, di vari episodi di progettazione criminale configurabili in termini di continuazione tra reati, stante anche il limitato arco temporale in cui si sarebbero verificati. Non è stata, in proposito, indicata prova idonea della sussistenza del vincolo associativo e la motivazione è sul punto carente. In ogni caso, dalla provvedimento stesso emerge il ruolo assolutamente insignificante del L., definito dallo I. "un cretino e bacchettone", il che avrebbe dovuto indurre a ritenere non provata la sua partecipazione al presunto sodalizio.

Quanto ai delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73:

– Per quello contestato al capo B) della rubrica, manca la prova certa che l’imputato fosse a conoscenza del trasporto della droga sequestrata allo Z. e, sul punto, la motivazione è illogica fondandosi su intercettazioni che riguardano lo scambio di autovetture ma nulla dicono sulla consapevolezza che l’imputato aveva in ordine a quanto trasportato dall’altro soggetto.

– Per l’episodio contestato al capo G) la sentenza non offre prova alcuna in riferimento a quello che sarebbe stato l’oggetto delle trattative e dei diversi colloqui tra le parti, in particolare tra il L. e lo I. e solo in via meramente congetturale i giudici affermano che si trattasse di droga, ciò senza tener conto che l’imputato in primo grado era stato assolto dall’analogo capo D), perchè non vi era certezza che il suo viaggio avesse avuto contenuto illecito, nè sul punto può assumere valenza probatoria la vicenda del 21 maggio 2005, di cui al capo B).

– Anche in relazione all’episodio di cui al capo H) non vi è la prova e la corte con argomentazione censurabile deduce che dai contatti avuti dall’imputato con lo I. e con altra persona non era possibile spiegazione diversa da quella che gli incontri riguardavano no scambio di stupefacenti.

– Analoghe considerazioni valgono per la vicenda di cui al capo I), anche qui dal modus operandi e dal linguaggio usato nei colloqui, i giudici inferiscono che l’imputato abbia trasportato droga da Reggio Calabria ad Africo Nuovo, in concorso con I. e M. A.. A riprova della illogicità della motivazione la difesa ricorrente evidenzia che i coimputati, giudicati separatamente con il rito abbreviato sono stati assolti, sul rilievo della inverosimiglianza di una consegna di una considerevole quantità di stupefacente avvenuta in un luogo frequentato ed in orario non compatibile. e) Riguardo alle imputazioni di cui ai capi V) e Z) relative a due illecite detenzioni di armi, pistole, fondate sul contenuto di due intercettazioni ambientali, una del 23.8.2005 e l’altra del 23.8.2005, la responsabilità del L. è affermata in considerazione della portata confessoria delle affermazioni del ricorrente, con argomentazione illogica perchè per l’analogo reato di cui al capo S) l’imputato è stato assolto perchè le sue dichiarazioni intercettate, circa le armi a sua disposizione, sono state ritenute frutto di millanteria, inoltre dopo il suo arresto, nonostante le perquisizioni, non è stata rinvenuta alcuna arma. Di più per la contestazione di cui al capo V) il coimputato C., che come lui avrebbe detenuto, secondo il contenuto della conversazione intercettata, una pistola è stato assolto, così come è stato assolto il Cr., coimputato, che secondo l’intercettazione del 23. 8.2005, sarebbe stato il soggetto cui l’imputato si era rivolto per recuperare una pistola delle quattro detenute. d) – Con riferimento ai delitti di cui agli artt. 378 e 390 c.p. contestati in concorso con M.A., S.A., S.B., Z.B. e T.S., e consistiti nell’ aver favorito, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la latitanza di I.D., lamentano i difensori la mancanza di qualsivoglia motivazione, infatti per quanto la richiesta contenuta nei motivi di appello non fosse assolutoria ma riguardasse solo il trattamento sanzionatorio, su di essa la sentenza omette di pronunciarsi.

2.2.- La difesa di P.R. deduce: a) – Mancanza di motivazione.

Lamenta in proposito l’estrema concisione dell’argomentazione posta a base del giudizio di colpevolezza del P., fondata esclusivamente su alcune conversazioni telefoniche intercettate tra l’imputato e S.B., intercorse nel breve lasso temporale tra il mese di giugno ed il mese di luglio del 2005. Il contenuto di esse era stato giudicato poco chiaro già in sede di applicazione della misura cautelare, quando l’indizio costituisce prova precaria, ma in sede di giudizio le suddette conversazioni, alle quali nessun altro elemento di valutazione e riscontro si è aggiunto, sono state ritenute sufficienti per la condanna. La sentenza non ha fornito risposta esaustiva ai punti evidenziati con i motivi di appello, in particolare con la prima doglianza si era evidenziato che il giudice di primo grado aveva avesse confuso Nocera Terinese in provincia di Catanzaro, con Nocera Inferiore provincia di Salerno, e tale errore lo aveva indotto a ritenere che il termine appartamento significasse, in effetti, droga. I giudici di appello pur riconoscendo l’errore hanno confermato il giudizio di responsabilità, senza considerare che l’errore aveva costituito l’essenza della struttura logica della motivazione di condanna, e denotava, in ogni caso la carenza di chiarezza e decifrabilità del contenuto delle conversazioni captate. b) Manifesta illogicità della motivazione.

Tale vizio risulterebbe dalle medesime circostanze indicate nel motivo sub a), cioè l’errata indicazione da parte del giudice di primo grado di Nocera inferiore in luogo di Nocera Terinese, che aveva costituito l’essenza della struttura logica della interpretazione delle conversazioni captate. c) Con il terzo motivo assume l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, in punto di applicazione dei principi in tema di valutazione della prova indiziaria. Si duole la difesa ricorrente che la posizione ed il coinvolgimento del P. sia ritenuti sulla base di una pregiudiziale valutazione negativa a carico dell’imputato principale S.B., gravato da precedenti in materia di stupefacenti. Solo in considerazione dei trascorsi giudiziali dello S. il termine criptico appartamento dovrebbe significare droga, con argomentazione che palesemente contrasta con il principio che gli indizi possono costituire fonte diretta di prova solo quando siano gravi, precisi e concordanti. Come ammesso dallo stesso giudice d’appello ciò è confermato a proposito della confusione fatta da quello di primo grado tra le località di Nocera Inferiore e Nocera Terinese, e che costituiva la base dell’argomentazione della prima sentenza in relazione alla decriptazione dei colloqui intercettati.

Non risponde ai canoni del sillogismo indiziario ancorare la certezza che l’oggetto del linguaggio criptico debba essere sostanza stupefacente, al dato dei pregiudizi penali concernenti tale oggetto che gravano lo S., anche perchè le stesse conversazioni sono state poste a fondamento di una contestazione per possesso e spaccio di banconote false che vede coinvolti sia il P. che lo S..

In mancanza di ulteriori elementi, non rinvenibili perchè nessuna investigazione in proposito è stata svolta, l’interpretazione data al contenuto delle captazioni è inconsistente, come inconsistente è il riferimento fatto dal giudice d’appello alla inattendibilità delle spiegazioni fornite dal P., secondo le quali l’appartamento serviva allo S. per farvi alloggiare l’amante. Invero nulla esclude che la spiegazione fosse plausibile sulla base di colloqui diversi e non trascritti, ovvero in considerazione del fatto che ragioni di riservatezza inducessero lo S. a voler collocare la amante in luogo diverso da quelli nella sua disponibilità. Inoltre non vi è prova alcuna che, come sostenuto dalla corte territoriale, S. non possedesse appartamenti in Nocera, nessun accertamento è stato fatto in proposito. In realtà il linguaggio criptico adoperato nelle conversazioni è suscettibile di innumerevoli interpretazioni ben potendo essere riferibile svariate ipotesi concorrenti quali potrebbero essere tutte quelle di una qualsivoglia ipotesi di ricettazione.

3.- Il Procuratore Generale dott. M. Giuseppina Fodaroni ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per P.R. e l’annullamento con rinvio della sentenza nei confronti di L. limitatamente ala determinazione della pena in conseguenza della dichiarazione di estinzione del reato di cui al capo L bis) della rubrica.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

1.- Per quel che attiene alla posizione di L.G.:

1.2.- Sicuramente destituite di fondamento sono le censure di violazione di legge e vizi di motivazione esposte dai difensori ricorrenti riguardo ai reati di omicidio aggravato in concorso, di detenzione e porto illegale e ricettazione della pistola usata per compiere l’omicidio.

Si tratta di doglianze che non indicano quali siano le specifiche le violazioni di legge che si sarebbero verificate e mirano piuttosto, attraverso l’esposizione di una lettura parcellizzata dei singoli dati probatori valutati dai giudici di merito, ad accreditare la illogicità e la infondatezza del complessivo vaglio di tutti i diversi elementi operato in sentenza per pervenire alla conferma della dichiarazione di responsabilità, a titolo di concorso, dell’imputato in ordine al reato di omicidio aggravato e ad quelli con esso connessi e ritenuti in continuazione.

E’ quindi opportuno ribadire che quando sia denunciato con ricorso per cassazione vizio di motivazione del provvedimento impugnato, a questa Corte spetta, quindi, il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni poste a fondamento della decisione adottata, controllando la congruenza della motivazione, riguardante la valutazione degli elementi apprezzati rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano la valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un. Sent. 2.05.2000, n. 11, Rv. 215828).

Il controllo della Corte di legittimità non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, essendo inammissibile in sede di legittimità la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. Sez. 6, sent. 1.2.1999, n. 3529, Rv. 212565;

Cass. Sez. 6, sent. 24.10.1996, n. 2050, Rv. 206104).

Non rientra, quindi, poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un. Sent.

2.7.1997, n. 06402, ric. Dessimone ed altri, Rv. 207944; Sez. Un. Sent. 12.12.1994, n. 19, Rv. 199391).

1.3.- Invero riguardo all’omicidio di G.A. – compiuto quale vendetta per l’uccisione di F.S. secondo quanto sicuramente accertato sulla base del contenuto del colloquio intercettato il 2.2. 2006 tra F.P., M.P. e C.G.A., – i giudici dell’appello limitano l’esame al contributo causale offerto dal L. per la verificazione dell’omicidio stesso, avendo la corte d’assise escluso che egli avesse partecipato materialmente alla fase esecutiva dell’agguato e dell’uccisione della vittima.

Ritengono, con argomentazione congrua e logicamente sviluppata, che tale contributo sia ampiamente provato dall’uso della moto di sua proprietà e dalla sua partecipazione alle fasi di contraffazione della targa del motoveicolo, attestata dal contenuto della captazione effettuata con la microspia collocata all’interno della autovettura Lancia Y del L., dal quale emerge che l’incontro con C. P. non era stato casuale e che l’imputato aveva partecipato attivamente alla alterazione dei numeri della targa ed a rendere più efficiente il motoveicolo; altre parti della conversazione rendono, poi, ragionevolmente verosimile che egli fosse a conoscenza dell’utilizzo che della moto sarebbe stato fatto. La prospettazione difensiva di una falsificazione della targa, alla quale il L. avrebbe partecipato, come dato assolutamente neutro e logicamente non correlabile alla consapevolezza della utilizzazione effettiva che del mezzo i suoi amici avrebbero fatto, considerato anche che egli, come risulta dalla captazione si adoperò anche a renderlo efficiente e pronto all’uso, si appalesa priva di specifica rilevanza, soprattutto se correlata con il comportamento tenuto dall’imputato successivamente.

Egli infatti, come correttamente rilevato in sentenza, in sede di interrogatorio affermò di essersi recato al bar e di avere casualmente incontrato il C. e le altre persone presenti, di essere entrato nel locale e, una volta uscitone, di essersi accorto che la targa della moto era stata alterata e avendone chiesto spiegazione al C. questi gli aveva risposto di non preoccuparsi. Versione questa in netta contraddizione con quanto ascoltato nella conversazione captata e, di più, palesemente inverosimile perchè presupporrebbe: in primis che egli dovesse rappresentarsi un utilizzo diverso da quello effettivo, utilizzo però mai esplicitato, e poi, che il gruppo delle persone che dovevano compiere l’agguato avesse deciso di servirsi del mezzo di una persona estranea al loro accordo, facendole correre dei rischi e mettendo in pericolo la riuscita stessa dell’operazione.

Invero, secondo il condivisibile e congruo argomentare della corte territoriale, il L. si rese disponibile a consentire l’uso del proprio autoveicolo per l’agguato essendo molto legato a C. P., cugino del defunto F.S., e perchè riteneva che la manomissione della targa non avrebbe consentito di risalire a lui, posto che l’omicidio sarebbe dovuto avvenire sulla SS (OMISSIS), con immediata fuga degli sparatori a bordo della moto;

circostanza non verificatasi per la imprevista reazione della vittima che, investendo con la sua auto il motociclo, aveva obbligato gli attentatori ad abbandonarlo sulla strada e ad inseguire la vittima stessa sino in prossimità delle abitazioni della località "Artarusa", per lì portare a termine, insieme agli occupanti della Fiat Punto con i quali avevano realizzato l’aggressione, il loro progetto omicidiario.

Non vi è dunque nessuna aporia motivazionale o cesura nella consequenzialità dell’iter argomentativo seguito dai giudici di merito i quali hanno, invece, proceduto ad una ricostruzione logica degli accadimenti, strettamente ancorata agli elementi di fatto, incontrovertibili, riversati in atti: in primis i risultati investigativi provenienti dai riscontrati contatti telefonici avvenuti tra l’imputato ed il C. la sera antecedente e la mattina dell’omicidio (prima delle operazioni di "taroccamento" della targa della moto), poi il contenuto delle captazioni effettuate mentre la falsificazione della targa si stava realizzando e, di seguito, i comportamenti posti in essere dall’imputato dopo la disvelazione dell’avvenuto omicidio e delle sue modalità. Il L., infatti, saputo l’esito dell’agguato aveva telefonato alla madre chiedendole di denunciare il furto della moto, aveva poi affermato, nelle prime dichiarazioni ai carabinieri, che la moto gli era stata sottratta mentre la aveva lasciata parcheggiata nella via con le chiavi inserite e, successivamente ancora, che dal febbraio 2004 la aveva ceduta a C.P.. Riguardo a tale ultima circostanza i ricorrenti difensori assumono indimostrato l’effettivo possesso da parte dell’imputato della motocicletta, ma le censure che essi muovono alle argomentazioni sviluppate in sentenza sono generiche e inconcludenti, ed anche esse come le altre, caratterizzate dalla analisi per compartimenti stagni del singolo elemento, proditoriamente valutato come avulso e non collegabile a tutti gli altri. Riguardo al movente che, secondo l’assunto difensivo non sarebbe stato individuato, esso è correttamente evidenziato nel legame tra il L. ed il C. il quale era cugino del defunto F.S. e, unitamente ad altri congiunti dello stesso, intendeva vendicare l’avvenuta uccisione del parente attribuita al G..

Infine infondati anche i motivi con riferimento alla affermata insussistenza della circostanze aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti.

Quanto alla prima, a parte la considerazione che sul punto non risulta che sia stato proposto uno specifico motivo di appello, basti rilevare che sicuramente il dato temporale tra la programmazione dell’agguato, quale risulta in atti ed è stato evidenziato dai giudici di merito, ben giustifica la ritenuta ricorrenza dell’aggravante in capo ai correi del L. al quale, tale circostanza andava estesa anche se, in ipotesi, egli non avesse direttamente premeditato il reato, avendo lo stesso comunque acquisito, prima dell’esaurirsi del proprio apporto volontario alla realizzazione dell’evento criminoso, l’effettiva conoscenza della altrui premeditazione (Cass. Sez. 1, sent. 10.10.2007, n. 40237, Rv.

237866, Cass. Sez. 5, sent. 8.10.2009, n. 4977, Rv. 245581).

Nè il movente di vendetta in ambito familistico, come argomentato da giudici di merito, esclude la sussistenza dei motivi abietti quando, come nel caso di specie la causale riguardi comunque, anche al di fuori di condotte di mafiosità, la volontà di prestigio di un gruppo familiare e di affermazione della capacità di sopraffazione dello stesso (Cass. Sez. 1, sent. 23.11.2005, n. 5448, Rv. 235093).

2.3.- Riguardo alla censura relativa al mancato ridimensionamento del trattamento sanzionatorio che sarebbe dovuto conseguire al riconoscimento dell’estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 703 c.p., correttamente la corte di assise di appello non ha proceduto alla riduzione della pena in quanto per la contravvenzione di cui trattasi, come risulta dalla motivazione della sentenza di primo grado, non era stata inflitta la pena dell’ammenda, nè altra pena quale aumento per la continuazione.

2.3.- Ugualmente infondati i motivi concernenti la sussistenza dell’associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 e l’attribuibilità al L. dei diversi episodi di spaccio di stupefacenti contestati, anche in questo caso, infatti, le censure si compendiano in una asserita carenza di prova e conseguente vizio di motivazione.

Come correttamente ritenuto dai giudici di merito dagli atti, in particolare dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e, in qualche caso anche ambientali, e dai controlli direttamente effettuati dai carabinieri, era possibile la ricostruzione puntuale dei vari episodi ed individuare i ruoli svolti dai personaggi coinvolti, compreso il L.. Episodi che per le loro modalità di realizzazione, quasi seriali, denotavano l’esistenza di una articolata organizzazione nell’ambito della quale I. si occupava di reperire lo stupefacente e di coordinare l’azione degli altri soggetti intranei alla struttura criminale, ciascuno dei quali aveva un suo ruolo: il M. quello di intermediario per la vendita delle sostanze, in particolare, a Pa.Sa.;

L.G. prendeva contatto con gli altri sodali e si occupava, anche con Z.B., di prelevare la droga e di portarla a destinazione, anche i luoghi di incontro erano quasi sempre i medesimi. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (ex plurimis Cass. Sez. 4, sent. 7.2.2007, n. 25471, Rv. 237002).

Di qui l’evidenza, secondo le congrue argomentazioni sviluppate in sentenza, della sussistenza del vincolo associativo di natura permanente trai soggetti coinvolti, vincolo destinato a durare anche dopo la consumazione di ogni singolo reato di detenzione e cessione di stupefacente, in forza di un programma criminoso sottostante e volto alla realizzazione di una numero indeterminato di violazioni della normativa in materia di sostanze stupefacenti.

La ripetitività delle condotte, l’utilizzo di un codice comune e condiviso nelle comunicazioni tra i sodali, la stessa frenetica frequenza delle varie vicende di spaccio, tutte collocabili in un arco temporale molto ristretto, costituiscono ulteriori indicatori della esistenza dell’associazione prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, nella quale L.G. era stabilmente inserito con funzioni non solo di corriere, come evidenziato nell’episodio relativo all’arresto di Z. e da altre vicende di trasporto, ma anche di punto di collegamento con Africo per lo I., il quale faceva affidamento su di lui sia per concordare i viaggi a Reggio Calabria per prelevare lo stupefacente, trasportarlo ad Africo e smistarlo tra gli acquirenti, ma anche per altre delicate mansioni, connesse con l’attuazione del programma criminoso, quali i contatti con i possibili acquirenti, il recapito di messaggi ad altri affiliati, l’individuazione, tra essi, di coloro che dovevano collaborare con lui nel trasporto. La presenza dell’imputato nei diversi episodi appurati è pressochè costante, dimostrativa, quindi, della sua funzione di punto di riferimento essenziale e stabile per l’organizzazione.

2.4.- Considerazioni analoghe valgono per i singoli episodi di spaccio ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, contestati ai capi B), G) H) ed I) in relazione ai quali i motivi di ricorso sono del tutto generici limitandosi a lamentare carenze motivazionali non meglio precisate, o comunque aspecifiche, a fronte delle argomentazioni puntuali e congrue rese in sentenza.

2.5.- Non corrisponde al vero, per quel che riguarda i delitti di favoreggiamento di cui al capo R) dell’imputazione che sia stata omessa, come sostenuto dai difensori ricorrenti, la motivazione circa il trattamento sanzionatorio del quale si chiedeva con l’atto di appello la subordinazione della pena. Invero la corte di assise di appello nella parte relativa alla determinazione della pena, con esplicito richiamo all’art. 133 c.p. ed alla gravità dei fatti tutti, ritiene di dover respingere, nell’ambito della sua discrezionalità e sulla base di valutazioni di fatto non censurabili in questa sede, anche senza elencarle una per una, tutte le doglianze concernenti la misura della pena irrogata.

2.6.- Riguardo ai reati concernenti la detenzione ed il porto illeciti di pistola – capo V) – e la detenzione di armi non meglio identificate – capo Z) della rubrica, secondo il giudici di appello essi sono dimostrati dal contenuto ampiamente confessorio delle intercettazioni ambientali effettuate sull’autovettura dell’imputato 23.8. e il 24.8.2005, non riconducibile a millanterie sia per ragioni logiche che per la circostanza che nel secondo episodio il L., non solo affermava di avere la disponibilità, anche se non immediata, di quattro pistole, ma si impegnava effettivamente a renderne disponibile una contattando, tramite il proprio cugino, C.G..

Del tutto privi di rilievo sono sul punto i motivi di ricorso che oltre a ribadire che si tratta di affermazioni millantate, richiamano, impropriamente, le assoluzioni per reato analogo (capo S) della rubrica) del L. e, per i medesimi reati di altri imputati, per i quali – così come per il L. stesso in riferimento al capo S) – le posizioni processuali erano diverse e che, evidentemente, non avevano reso dichiarazioni autoaccusatorie stragiudiziali.

2. Per quanto riguarda il ricorso di P.R. anche esso è infondato.

2.1. Entrambe i primi due motivi, peraltro identici quanto a contenuto delle doglianze, si fondano sulla sottovalutazione dell’errore nel quale è incorsa la corte di primo grado nell’indicare Nocera Inferiore anzichè Nocera Terinese e sulla e sull’essersi basata la pronuncia di condanna sul solo elemento costituito dai contenuti delle intercettazioni telefoniche intercorse tra il P. e S.B..

Deve essere ribadito sullo specifico punto che l’interpretazione del linguaggio adoperato nelle conversazioni intercettate, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass. Sez. 4, sent. 28.10. 2005, n. 117, Caruso; Cass. Sez. 6, sent. 8.1.2008, n. 17619, Gionta, Rv.

239724) e si sottrae al giudizio di legittimità se tale valutazione risulta logica in rapporto a massime di esperienza.

Nella specie, i giudici offrono una ricostruzione del significato delle conversazioni oggetto di intercettazione – in alcuni casi particolarmente esplicite – del tutto coerente. Danno conto, peraltro, conto del preteso errore in cui sarebbero incorsi quelli di primo grado, con motivazione congrua e compiuta, rilevano che il P. in sede di interrogatorio, aveva affermato di essere stato incaricato dallo S. di trovare un appartamento dove ospitare nel periodo estivo la sua amante, laddove il tenore delle conversazioni lascia chiaramente intendere che gli appartamenti sarebbero stati di proprietà dello S. che risultava quale venditore e locatore. I due, poi discutevano della consegna delle chiavi degli appartamenti e il P. invitava il suo interlocutore a recarsi a Nocera Terinese per consegnarle mentre questi diceva al P. di venire lui a ritirarle nel suo luogo di residenza, consentendo così agli interessati di vedere l’appartamento, quasi che l’immobile che doveva essere a Nocera, potesse essere spostato in provincia di Reggio Calabria ove risiede S..

Anche altri gli altri contenuti dei dialoghi intercettati, secondo il corretto argomentare dei giudici di merito, sono significativamente riferibili a cessioni di stupefacente.

2.3.- Riguardo al terzo motivo, con il quale si assume la inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, ribadite le considerazioni relative alla interpretazione del linguaggio adoperato nei dialoghi oggetto di intercettazione, non è dato comprendere quali siano i riscontri mancanti che renderebbero il ragionamento probatorio della corte territoriale in compiuto e, pertanto fallace la prova. Invero i giudici dell’appello, con considerazioni adeguate e congrue rispetto ai dati esaminati, costituiti da plurime conversazioni intercettate tra il 14 ed il 27 giugno 2005, affermano non plausibile che il linguaggio criptico usato derivasse da vicende di falsificazione di banconote nelle quali il P. era coinvolto.

In proposito la richiesta di rinnovazione del dibattimento domandata dalla sua difesa, per acquisire la sentenza del GUP di Napoli che lo aveva condannato per la detenzione di centomila Euro falsi, era stata rigettata perchè non documentata e perchè era in atti vi erano, comunque, elementi sufficienti per consentire la decisione. Già risultava, infatti, che l’imputato era stato arrestato a Napoli perchè in possesso degli Euro falsi, ma nella vicenda in giudizio il P. fungeva da semplice intermediario di S.B., che era il proprietario dei beni da cedere in vendita o in locazione ed era personaggio ben coinvolto nel traffico di stupefacenti.

Ed invero è condivisibile che plurime intercettazioni di colloqui effettuate con ricorso ad espedienti terminologici, non necessitino di particolari elementi di riscontro una volta che, come nel caso di specie, attraverso un giudizio di merito, logicamente articolato e rispondente a massime di comune esperienza correttamente richiamate (Cass. Sez. 1, sent. 2.4.1992, n. 5453, Rv. 190330) il loro contenuto, altrimenti non intellegibile, deve essere ricondotto non all’affitto o alla vendita di appartamenti ma al commercio di sostanze stupefacenti.

3.- Conclusivamente per le ragioni esposte i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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