Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 12-10-2011, n. 36860 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 1 aprile 2010, ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione Distaccata di Aversa del 16 ottobre 2008 e ha condannato F.G., F.F. e M.A. per il delitto di rissa aggravata e porto abusivo di arma impropria.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione:

F.G. e M.A., a mezzo del loro difensore, lamentandone:

a) una mancanza di motivazione in merito alla mancata derubricazione del reato di rissa in quello di lesioni personali;

b) la manifesta illogicità della motivazione e la violazione di legge in ordine alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2;

c) l’erronea ed eccessiva quantificazione della pena.

F.F., a mezzo del proprio difensore, lamentandone:

a) la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità a titolo di concorso nonchè in ordine al trattamento sanzionatorio.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono infondati e non meritano accoglimento.

2. Giova premettere in diritto, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

3. Passando all’esame dei singoli motivi dei ricorsi si osserva che:

a) il primo motivo del ricorso di F.G. e M.A. si appalesa ai limiti dell’inammissibilità in quanto la Corte territoriale ha, da un lato, dato atto dei motivi d’impugnazione dagli stessi sollevati (v. pagina 2 della decisione) e, d’altra parte, con motivazione pienamente logica e tenendo presente la ricostruzione dei fatti come emergente dal compendio processuale probatorio (v. pagine 4 e 5 della motivazione, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei Carabinieri intervenuti nel corso della contesa che aveva tutti i contorni della contrapposizione tra due gruppi diversi di violenti) ha dato piena contezza dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati;

d’altra parte, per quanto dianzi espresso sub punto n. 2 non si può chiedere a questa Corte di legittimità di procedere ad una nuova valutazione dei fatti, così come evidenziati e congruamente e logicamente concatenati dai Giudici del merito;

b) del pari, con riferimento al secondo motivo del ricorso, la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2 risulta correttamente e logicamente motivata sulla base dell’esistenza di una iniziale animata discussione dalla quale si era poi passati alla violenta contesa senza che in tale passaggio potesse essere identificato alcun fatto di provocazione di alcuno dei contendenti;

c) quanto al terzo e ultimo motivo di ricorso, può notarsi come, in sostanza, il trattamento sanzionatorio sia stato ispirato ai principi di cui all’art. 133 c.p..

4. Quanto al ricorso di F.F. del pari deve affermarsene l’infondatezza in quanto, come dianzi espresso a proposito del precedente ricorso, l’affermazione della penale responsabilità dei partecipanti alla rissa appare logicamente motivata sulla base delle risultanze probatorie dei due gradi di merito che questa Corte non può rivalutare o rileggere.

Inoltre, il trattamento sanzionatorio applicato ovvero la concessione o meno delle attenuanti generiche possono essere assoggettati al vaglio di questa Corte soltanto nell’ipotesi di una loro difformità dalle previsioni normative e non anche, come nel caso di specie, allorquando il Giudice dell’appello abbia motivato in conformità di quanto previsto dall’art. 133 c.p. (v. Cass. Sez. 2, 17 aprile 2009 n. 27114).

5. I ricorsi vanno, in conclusione, rigettati e ciascuno dei ricorrenti condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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