Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 12-10-2011, n. 36824 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 9 luglio 2010, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Como del 20 gennaio 2010, resa a seguito di giudizio abbreviato, con cui l’imputato era stato condannato, riconosciuta la continuazione, per i reati di cui agli artt. 572, 92, 93 e 609 bis c.p..

I fatti ascritti all’imputato consistono nell’avere, maltrattato la propria moglie sia nella convivenza prematrimoniale, sia durante il matrimonio, sia dopo la separazione, in diverse circostanze e con diverse modalità, nonchè, in un singolo episodio, nell’averne più volte abusato sessualmente con violenza e minaccia. L’accertamento della penale responsabilità dell’imputato si è fondato, essenzialmente, sulle dichiarazioni della persona offesa.

2. – Avverso tale pronuncia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p., comma 2, in riferimento agli artt. 2, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede il diritto alla rinnovazione dibattimentale in presenza di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio anche quando l’imputato abbia richiesto il giudizio abbreviato non condizionato a seguito del rigetto dell’istanza di giudizio abbreviato condizionato all’acquisizione probatoria; 2) la violazione dell’art. 603 c.p.p., commi 2 e 3, nonchè la carenza o manifesta illogicità della motivazione riguardo al rigetto dell’istanza di rinnovazione dibattimentale per procedere all’assunzione della deposizione della persona offesa e di altri elementi scoperti successivamente alla sentenza di condanna in primo grado; 3) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all’attendibilità della persona offesa a fronte della certificazione medica della violenza subita;

certificazione che non evidenziava lesioni; 4) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all’esame tossicologico del pelo pubico dell’imputato, che avrebbe dato esito negativo e avrebbe perciò compromesso la credibilità dell’impianto accusatorio, basato sulla tossicodipendenza dell’imputato al momento dei fatti; 5) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’attendibilità della versione dei fatti fornita dalla persona offesa, con riguardo alla violenza sessuale subita; 6) la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’attendibilità della persona offesa, in relazione ai maltrattamenti subiti; 7) la carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la difesa dell’imputato ha sostanzialmente ribadito quanto dedotto sub 5) e 6) e ha, inoltre, lamentato: 8) l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta contraddittorietà della motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe, da un lato, negato e, dall’altro, ammesso l’esame dei peli pubici dell’imputato, ritenendo tale esame privo di rilevanza, perchè effettuato a distanza di mesi dai fatti, quando l’imputato era già in carcere; 9) l’erronea applicazione dell’art. 609 ter c.p., n. 2, perchè trattasi di aggravante che si applica in una ipotesi diversa dal caso di specie, e cioè quella in cui la persona offesa e non il reo abbia fatto uso di stupefacenti.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Con il primo motivo di gravame, la difesa dell’imputato solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p., comma 2, – in riferimento agli artt. 2, 24 e 111 Cost. -nella parte in cui non prevede il diritto alla rinnovazione dibattimentale in presenza di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio anche quando l’imputato abbia richiesto il giudizio abbreviato non condizionato a seguito del rigetto dell’istanza di giudizio abbreviato condizionato all’acquisizione probatoria. A detta della parte, il contrasto della disposizione con gli indicati parametri consisterebbe nella lesione del diritto alla prova dell’imputato che abbia scelto il giudizio abbreviato non condizionato, per la disparità di trattamento fra questo, da un lato, e l’imputato che abbia scelto il giudizio abbreviato condizionato o il rito ordinario, dall’altro.

La questione è manifestamente infondata.

3.1.1. – Deve preliminarmente farsi richiamo, sul punto, alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in caso di opzione per il rito abbreviato secco, con rinuncia, quindi, a quello condizionato, l’imputato non può più lamentare l’illegittimo rigetto della richiesta di integrazione probatoria. E’ pacifico, infatti, che la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ha carattere eccezionale e deve essere giustificata dall’assoluta necessità dell’assunzione della nuova prova ai fini della decisione.

Tanto vale a maggior ragione nel processo celebrato con il rito abbreviato, in quanto l’imputato rinunzia definitivamente al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite agli atti o richieste come condizione a cui subordinare il giudizio allo stato degli atti ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5.

I poteri del giudice di assumere gli elementi necessari ai fini della decisione ( art. 411 c.p.p., comma 5), di disporre in appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ( art. 603 c.p.p., comma 3) sono poteri officiosi, che prescindono dall’iniziativa dell’imputato, non presuppongono una facoltà processuale di quest’ultimo e vanno esercitati solo quando emerga un’assoluta esigenza probatoria (Sez. 3, 13 febbraio 2003, n. 12853). A seguito della nuova formulazione dell’art. 438 c.p.p., deve ritenersi possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale da parte dell’imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria, mentre chi abbia richiesto il rito abbreviato allo stato degli atti può solo sollecitare il giudice di appello all’esercizio del potere di ufficio di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3 (Sez. 3, 2 marzo 2004, n. 15296; Sez. 4, 20 dicembre 2005 n. 15573/2006; Sez. 3, 5 giugno 2009, n. 27183).

3.1.2. – Prescindendo da ulteriori considerazioni circa le regole per l’ammissione di nuove prove in appello nel giudizio abbreviato condizionato, va rilevato che – contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa – l’orientamento di questa Corte circa l’ammissione di nuove prove in appello nel giudizio abbreviato "secco" non provoca una disparità di trattamento tra l’imputato che abbia scelto il giudizio abbreviato non condizionato, da un lato, e l’imputato che abbia scelto il giudizio abbreviato condizionato o il rito ordinario, dall’altro. Infatti, dal tenore letterale dell’art. 438 c.p.p., comma 5, – il quale prevede che il giudice dispone l’integrazione probatoria richiesta dall’imputato solo se essa "risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti e utilizzabili" – si desume che il criterio per l’ammissione della prova nel giudizio abbreviato è assai restrittivo e, perciò, non è assimilabile a quello del divieto di legge o della manifesta superfluità o irrilevanza di cui all’art. 190, comma 1, richiamato dall’art. 603 c.p.p., comma 2, Se ne deve desumere che, nel bilanciamento tra il diritto dell’imputato alla prova e l’opposto interesse – del pari costituzionalmente rilevante – alla ragionevole durata del processo, la disposizione che meglio si attaglia a consentire l’ingresso di nuove prove in appello nel giudizio abbreviato non condizionato non è quella dell’art. 603 c.p.p., comma 2, ma è, invece, quella dell’art. 603 c.p.p., comma 3, ispirata all’officiosità e al criterio dell’"assoluta necessità".

Tale bilanciamento – che ha trovato, come visto sub 3.1.1., il conforto della giurisprudenza di questa Corte – appare, dunque, pienamente ragionevole, perchè consente comunque all’imputato di esercitare adeguatamente il diritto alla prova, sollecitando l’esercizio del potere d’ufficio del giudice d’appello.

3.2. – Con il motivo sub 2) si deduce la violazione dell’art. 603 c.p.p., commi 2 e 3, nonchè la carenza o manifesta illogicità della motivazione riguardo al rigetto dell’istanza di rinnovazione dibattimentale per procedere all’assunzione della deposizione della persona offesa e di altri elementi scoperti successivamente alla sentenza di condanna in primo grado. Lamenta, in sostanza il ricorrente, che la Corte d’appello non avrebbe fornito un’adeguata motivazione a sostegno del rigetto delle richieste istruttorie nell’esercizio del potere officioso riconosciutole dall’art. 603 c.p.p., comma 3.

Va rilevato, sul punto, che, nella sentenza censurata si legge che la Corte d’appello ha provveduto sulla richiesta di integrazione probatoria avanzata dal ricorrente ®con separata ordinanza letta in udienza-. Tale ordinanza non è stata espressamente impugnata dal ricorrente; nè il ricorrente stesso vi ha fatto un pur implicito riferimento, essendosi limitato a contestare l’assunto, contenuto nella sentenza, secondo cui l’opzione "per il rito abbreviato secco preclude all’imputato ogni successiva possibilità di contestare la legittimità del provvedimento reiettivo".

Il motivo è, dunque, inammissibile, perchè è stato genericamente formulato nei confronti della sentenza, senza che si sia tenuto conto del contenuto dell’ordinanza reiettiva delle richieste istruttorie.

3.3. – I motivi sub 3), 5) e 6) – che possono essere trattati congiuntamente, perchè attengono alla motivazione sull’attendibilità della persona offesa, principale fonte di prova a carico – sono infondati.

La Corte d’appello ha, infatti – anche con ampi richiami alla sentenza di primo grado e all’ordinanza emessa in sede di riesame della misura cautelare inflitta all’imputato – fornito una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima e ne ha, coerentemente, desunto la responsabilità penale dell’imputato.

Quanto all’attendibilità della persona offesa, ha, in particolare, precisato che; a) è perfettamente normale che una donna, la quale ha subito i reati per cui si procede nell’ambito del contesto familiare, si sia decisa a denunciare il suo aggressore solo dopo anni; come è normale che non si sia confidata con parenti e amici, per il senso di vergogna e frustrazione che accompagna negli anni le vittime di fatti di questo tipo; b) ugualmente spiegabili in base alla lunga relazione sentimentale con l’imputato sono i riavvicinamenti e ripensamenti della vittima; c) le accuse mosse in sede di denuncia sono state successivamente ribadite con completezza e coerenza; d) le circostanze dell’arresto dell’imputato confermano la veridicità di tale versione dei fatti; e) dalle modalità con le quali i fatti – e, in particolare, i maltrattamenti – sono stati descritti si desume un’assenza di animosità nei confronti dell’imputato ed, anzi, il desiderio di non danneggiare il marito; f) l’abuso di alcool e droga è stato sostanzialmente ammesso nell’atto di appello per giustificare le condotte violente dell’imputato; g) il mancato riscontro di lesioni in sede di visita ginecologica e il fatto che i vicini di casa non si siano accorti dell’abuso sessuale sono compatibili con le modalità dello stesso, avvenuto più con minaccia che con violenza fisica; h) le dichiarazioni della persona offesa trovano parziale riscontro nelle deposizioni di altri soggetti.

A fronte di una siffatta motivazione le censure del ricorrente, pur articolate, si esauriscono nella richiesta di riesame di profili di fatto già esaminati; riesame precluso in sede di legittimità.

Trova, infatti, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

3.4. – Il motivo sub 4) – con cui l’imputato lamenta la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all’esame tossicologico del pelo pubico, che avrebbe dato esito negativo e avrebbe perciò compromesso la credibilità dell’impianto accusatorio, basato sulla tossicodipendenza dell’imputato al momento dei fatti – e il motivo sub 8) – relativo al fatto che la Corte d’appello avrebbe, da un lato, negato e, dall’altro, ammesso l’esame dei peli pubici dell’imputato, ritenendo tale esame privo di rilevanza, perchè effettuato a distanza di mesi dai fatti, quando l’imputato era già in carcere – possono essere trattati congiuntamente, perchè attengono alla specifica richiesta di integrazione probatoria avente ad oggetto i risultati dell’esame del pelo pubico.

Valgono, a tale proposito, le osservazioni già svolte ai paragrafi da 3.1. a 3.2. circa l’inammissibilità delle richieste istruttorie dell’imputato. Deve solo aggiungersi che nessuna contraddizione vi è, sul punto, nella motivazione della sentenza censurata, perchè essa esclude in radice l’acquisizione della documentazione difensiva, facendo applicazione dell’orientamento appena richiamato, e, solo per inciso e "a prescindere" da tali considerazioni, ritiene l’irrilevanza sostanziale dei risultati dell’esame effettuato.

Ne discende la manifesta infondatezza dei richiamati motivi di gravame.

3.5. – Infondato è il motivo di ricorso sub 7), relativo alla carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

La sentenza censurata afferma, infatti, che non sussiste alcun positivo elemento di valutazione e che, anzi il carattere violento dell’imputato è confermato da un precedente per resistenza a pubblico ufficiale possono; da ciò fa conseguire – con iter logico corretto e coerente -la mancanza dei presupposti per l’applicazione delle invocate attenuanti.

3.6. – Quanto al motivo sub 9) – con cui si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 609 ter c.p., n. 2, perchè trattasi di aggravante che si applica in una ipotesi diversa dal caso di specie, e cioè quella in cui la persona offesa e non il reo abbia fatto uso di stupefacenti – va rilevato che, dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado, emerge che l’aggravante in questione non è stata presa in considerazione, nè nella ricostruzione del fatto, nè ai fini della determinazione della pena. Deve dunque ritenersi che la stessa sia stata implicitamente esclusa già dal Tribunale.

Ne deriva l’infondatezza del relativo motivo di ricorso.

4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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