Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-03-2012, n. 4597 Servitù prediali pubbliche e di uso pubblico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I.C. conveniva dinnanzi al Tribunale di Messina M. M.L. chiedendo che venisse dichiarata la insussistenza del diritto della convenuta ad utilizzare due strisce di terreno a suo tempo concessele in comodato e che venisse alla medesima inibito di utilizzarle per raggiungere il proprio fondo.

Costituitosi il contraddittorio, la M. contestava la domanda, negando la natura di comodato dell’accordo intercorso con l’attore, del quale erano parti anche F.G. e S.S., e precisando che le strisce di terreno appartenevano al Comune di Taormina; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’attore alla restituzione della somma versata quale corrispettivo per l’uso del terreno.

Nel giudizio interveniva il Comune di Taormina, assumendo che il terreno era stato utilizzato per ampliare una strada vicinale, gravata sin dal 1901 da servitù di uso pubblico e chiedendo quindi che venisse dichiarata l’appartenenza della strada al demanio comunale e la sua destinazione a pubblico transito.

Nel corso del giudizio veniva disposta la chiamata in. causa di F.G. e S.S., i quali rimanevano contumaci.

L’adito Tribunale, con sentenza depositata il 6 marzo 1999, rigettava la domanda dell’attore e quella riconvenzionale e dichiarava che sulle strisce di terreno di proprietà I. contigue alla strada vicinale vi era servitù di passaggio di uso pubblico.

I.C. proponeva appello, cui resistevano il Comune di Taormina e M.M.L., mentre rimanevano contumaci il F. e lo S..

Con sentenza depositata il 21 luglio 2009, la Corte d’appello di Messina ha accolto il gravame e ha dichiarato che sulle strisce di terreno di proprietà I., utilizzate per l’ampliamento della strada vicinale (OMISSIS), M.M.L. non aveva più diritto di passaggio essendo scaduto il contratto di comodato, e non risultando provata la destinazione dell’area ad uso pubblico.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso M.M. L., con ricorso affidato ad un unico motivo. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

Avviata la causa alla trattazione camerale, all’udienza del 10 dicembre 2010, è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.C. e F.G..

La ricorrente ha adempiuto al detto incombente; nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

E’ quindi stata fissata la trattazione del ricorso alla pubblica udienza del 16 dicembre 2011.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia vizio di erronea e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere il diritto di passaggio di essa ricorrente sulle strisce di terreno di proprietà di I.C., utilizzate per l’ampliamento della strada vicinale (OMISSIS), avendo omesso di valutare l’effettivo status acquisito dalla strada stessa, assoggettata sin dal 1901 ad uso pubblico per mt. 1,10 di larghezza e poi per una larghezza maggiore.

La ricorrente rileva che il contratto di comodato, valorizzato dalla Corte d’appello per escludere la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulle dette strisce di terreno, non aveva fatto altro che recepire una situazione di fatto, caratterizzata dall’uso pubblico delle stesse strisce, bene evidenziata dal consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado, il quale aveva sottolineato come la strada lunga mt. 310 e larga mediamente mt. 4,00 fosse liberamente transitata e priva di qualunque sbarramento che ne impedisse l’accesso.

Ed ancora, la ricorrente rileva che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il proprietario avesse meramente tollerato un uso pubblico delle strisce di terreno, giacchè l’atteggiamento non oppositivo dell’ I., posto in essere ancora prima della sottoscrizione del contratto di comodato nel 1967, non si riferiva solo ad essa ricorrente o a pochi altri utenti della strada, ma alla collettività nel suo complesso.

In sostanza, la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere che si era verificata la costituzione di una servitù pubblica di passaggio per dicatio ad patriam, la quale, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non richiede che il proprietario metta a disposizione della collettività il proprio bene intenzionalmente, essendo sufficiente che il bene sia fruibile con carattere di continuità. Nella specie, la condotta concludente del proprietario era consistita nella richiesta, avanzata al Comune di Taormina unitamente ad essa ricorrente, di allargare la strada vicinale (OMISSIS) mediante utilizzazione delle strisce di terreno oggetto di causa, nel non essersi mai opposto all’uso pubblico della strada come allargata e nel non avere mai frapposto alcuno sbarramento idoneo ad impedire il passaggio. In sostanza, la strada, iscritta nell’elenco delle vie pubbliche del Comune di Taormina, doveva quindi presumersi di uso pubblico, con la conseguenza che sarebbe stato onere del privato fornire la prova del non uso ovvero di eventuali circostanze che potessero far presumere la volontà dell’amministrazione di non mantenere la detta destinazione. E tale prova non solo non era stata fornita, ma lo stesso I., nell’introdurre il giudizio, aveva ammesso espressamente che la strada, ivi comprese le strisce di terreno oggetto di causa, era assoggettata ad uso pubblico.

Il contratto di comodato, prosegue la ricorrente, era stato stipulato sul presupposto che la strada fosse in regime di proprietà privata, laddove già all’epoca era indiscussa l’utilizzazione pubblica della stessa. L’ampliamento della strada, inoltre, venne autorizzato dal Comune di Taormina il 5 agosto 1967 e, sin dall’epoca della sua realizzazione, la strada nella sua interezza era stata assoggettata ad uso pubblico.

In conclusione, sostiene la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere, nella specie, la sussistenza di tutti i requisiti della dicatio ad patriam ed avrebbe quindi dovuto rigettare l’appello.

Il ricorso è infondato.

La Corte d’appello ha dato atto delle seguenti circostanze di fatto:

a) la originaria stradella pedonale (OMISSIS) della larghezza media di mt. 1,10 era inserita nell’elenco delle strade comunali del territorio di Taormina compilato nel settembre 1899 come strada vicinale soggetta a servitù pubblica (qualità, quest’ultima, riconosciuta con Delib. consiliare comunale in data 8 settembre 1901); b) negli anni 30 la detta stradella risultava ampliata e recava una larghezza media di mt. 2,50; c) l’ampliamento successivo sino ai 4 mt. rilevati dal c.t.u. risaliva ad un periodo di poco anteriore e successivo alla data del 15 giugno 1967, allorquando furono concesse in comodato da I.C. ad alcuni soggetti, tra i quali la odierna ricorrente, le due strisce di terreno utilizzate per l’ampliamento, autorizzato dal Comune di Taormina; d) nella scrittura privata del 15 luglio 1967 si leggeva che "3) il comodato è concesso per consentire ai sigg.ri comodatari il passaggio pedonale e carraio anche con automezzi, attraverso la strada sia nel tratto che verrà ampliato sia in quello già ampliato di cui alla lettera a) ed allo scopo di accedere alla loro proprietà. 4) A tale effetto il comodante consegnerà a ciascuno dei comodatari una chiave del lucchetto di chiusura del cancello di sua proprietà esistente verso l’inizio della strada per impedire l’accesso ai veicoli. Le chiavi saranno restituite al termine del comodato al comodante".

Alla stregua di tali clausole, la Corte d’appello ha ritenuto che fosse chiara la volontà del comodante di limitare l’utilizzo dell’ampliamento realizzato sul proprio terreno ai comodatari al fine di consentire loro l’accesso carrabile alle rispettive proprietà e non già quella di destinare il detto terreno all’uso di un pubblico indifferenziato. Il fatto, poi, che il comodante non si sia attivato durante la vigenza del contratto di comodato per assicurarsi che venisse rispettata la clausola n. 4 non poteva, ad avviso della Corte territoriale, essere inteso come significativo della volontà del comodante di destinare il terreno di sua proprietà all’uso pubblico, potendosi al più ritenere l’esistenza di un comportamento tollerante dell’inadempimento della controparte.

Orbene, il Collegio ritiene che la motivazione ora richiamata sia immune dal vizio denunciato dalla ricorrente.

Premesso che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il C controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (Cass., n. 4178 del 2007; Cass., n. 13777 del 2007, in motivazione; Cass., n. 15604 del 2007), deve qui rilevarsi che il nucleo della motivazione della sentenza impugnata poggia sulle clausole del contratto di comodato, l’interpretazione delle quali data dalla Corte d’appello appare pienamente rispondente alla lettera e al complesso dell’atto oggetto di interpretazione. Invero, posto che non era in discussione la destinazione all’uso pubblico della stradella nella sua configurazione antecedente all’ampliamento realizzato attorno al giugno 1967, ma solo la possibilità di considerare l’ampliamento, pacificamente realizzato su terreno di proprietà dell’ I., strutturalmente connesso alla stradella e partecipe della destinazione di questa, deve escludersi che nella sentenza impugnata possa ravvisarsi il denunciato vizio. La Corte d’appello, nella interpretazione della volontà del proprietario, quale risultante dal richiamato contratto di comodato, ha valorizzato il tenore letterale, del tutto incompatibile con la volontà di destinare il terreno stesso ad uso pubblico; nè appare censurabile l’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito in ordine alla significatività della condotta dell’ I. successivamente alla conclusione del contratto di comodato, non implausibilmente ritenuta dalla Corte d’appello riferibile a mera tolleranza di un inadempimento del detto contratto e del conseguente possibile uso da parte di soggetti indifferenziati della parte di strada oggetto di ampliamento.

In questo contesto, la pretesa della ricorrente di affermare l’esistenza di una dicatio ad patriam si fonda su un dato – quello secondo cui l’ampliamento della strada, autorizzato dal Comune di Taormina, comportasse l’automatica inclusione della strada nella sua interezza nel detto elenco, con le richiamate conseguenze in tema di presunzione di destinazione ad uso pubblico – che appare contrastare con la volontà esplicitata dal proprietario nel citato contratto, non illogicamente ritenuta dalla Corte d’appello significativa della non destinazione del terreno ad uso pubblico. Del resto, ove questa fosse stata l’intenzione dell’odierno intimato, resterebbe da spiegare perchè mai una simile volontà avrebbe dovuto essere veicolata da un contratto di comodato con la ricorrente. Il mero dato dell’utilizzo di fatto della strada da parte di soggetti diversi dalla ricorrente e dagli altri proprietari di terreni nella zona non appare, ove sganciato da una chiara manifestazione di volontà in tal senso, sufficientemente univoco ai fini pretesi dalla ricorrente stessa.

Invero, la cosiddetta dicatio ad patriam quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima.

Tale accertamento in fatto è compito del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass. n. 12167 del 2002; Cass. n. 3075 del 2 006). Proprio in applicazione di tale principio, si è escluso che tale comportamento potesse essere ravvisato nel fatto che il proprietario avesse consentito il passaggio pubblico su parte della sua proprietà (Cass. n. 3742 del 2007).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non avendo gli intimati svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2012

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