Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 12-10-2011, n. 36820 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 12 ottobre 2010, pronunciata ex art. 444 c.p.p., il Tribunale di Brescia ha applicato all’imputato la pena da lui proposta in riferimento ad una serie di reati connessi alla gestione abusiva di rifiuti.

2. – Avverso tale provvedimento l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando: a) l’erronea applicazione dell’art. 640 c.p. e dell’art. 444 c.p.p., in relazione all’art. 129 c.p.p., comma 1, perchè che il giudice avrebbe dovuto pronunciare, quanto al reato di truffa aggravata di cui al capo C), sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, come già rilevato dal Tribunale del riesame di Brescia, sulla scorta dei documenti relativi alla gara per la bonifica dei giardini cui la società dell’imputato aveva partecipato; b) l’erronea applicazione degli artt. 485 e 493 bis c.p., nonchè dell’art. 444 c.p.p., in relazione all’art. 129, comma 1, c.p.p., perchè all’imputato sarebbe contestato, al capo I), il reato di cui all’art. 485 c.p. in relazione ad un falso ideologico (la falsa attestazione dell’avvenuto smaltimento dei rifiuti), mentre la stessa norma punisce la sola falsità materiale; con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè proposto per motivi manifestamente infondati.

3.1. – Con il motivo sub a), l’imputato sostiene che il giudice avrebbe dovuto pronunciare, relativamente al reato di truffa aggravata di cui al capo C), sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, come già rilevato dal Tribunale del riesame di Brescia, sulla scorta dei documenti in atti.

Deve qui richiamarsi, sul punto, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la sentenza di applicazione della pena su richiesta della parte non contiene un vero e proprio giudizio e l’intervento del giudice per il controllo della legittimità dell’accordo intervenuto risponde a una funzione di garanzia di carattere ordinamentale, volta ad assicurare che il patteggiamento non diventi un accordo sui reati e sulle stesse imputazioni in violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale (explurimis, Sez. 6, 11 gennaio 2007, n. 4120; Sez. 3, 15 aprile 1991, n. 4271; Sez. 3, 11 dicembre 1992, Greco). Ne consegue che il giudice ha solo funzione di controllo del rispetto delle regole del procedimento e deve limitarsi, perciò, a prendere atto dell’accordo stesso e della richiesta congiunta delle parti, dandovi esecuzione con una motivazione che non contiene un accertamento e una valutazione dei fatti, ma piuttosto un resoconto del sindacato di legalità da lui eseguito, mediante l’identificazione del fatto, qual è delineato nell’imputazione, e la verifica della correttezza della qualificazione giuridica di esso, dell’inesistenza delle cause di non punibilità indicate nell’art. 129 c.p.p. e della legittimità e della congruità della pena patteggiata, nel rispetto dell’art. 27 Cost. (ex multis, Sez. 6, 11 dicembre 2003, n. 6510/2004).

Se ne conclude che la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento prevista dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal suo tenore letterale appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. (Sez. 3, 18 giugno 1999, n. 2309), senza che il giudice possa svolgere una valutazione di merito sugli elementi fattuali posti a sostegno dell’accusa.

Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui il Tribunale, dato atto che la fattispecie – ivi compreso il reato di cui al capo C) – appariva ben qualificata sotto il profilo giuridico, ha correttamente constatato l’inesistenza delle condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., non potendosi attribuire alcun rilievo alle valutazioni del compendio probatorio svolte, nella fase cautelare, dal Tribunale del riesame.

Tali valutazioni esulano, infatti, dai poteri del giudice del patteggiamento, che sono limitati – come visto – al controllo formale della legittimità dell’accordo raggiunto dalle parti.

Ne consegue la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.

3.2. – Con il motivo sub b), l’imputato rileva che gli è stato erroneamente contestato, al capo I), il reato di cui all’art. 485 c.p. in relazione ad un falso ideologico (la falsa attestazione dell’avvenuto smaltimento dei rifiuti), mentre la stessa norma punisce la sola falsità materiale.

Anche tale motivo è manifestamente infondato, perchè, dalla semplice lettura dell’imputazione, risulta che al capo I) è contestata un’ipotesi di concorso formale fra più reati, fra i quali vi è il falso, ideologico, in registri e notificazioni, riconducibile all’art. 484 c.p., correttamente richiamato nella stessa imputazione insieme agli altri articoli di legge violati.

4. – Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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