Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-03-2012, n. 4594 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8 gennaio 2003 il Tribunale di Alessandria, in accoglimento delle domande di reintegrazione o manutenzione nel possesso proposte da F.G., R.F. e R.P. nei confronti di B.P. e di B.L., ordinò a questi ultimi di rimuovere alcune condutture di scarico di acque nere e bianche che avevano collocato nelle loro proprietà, prolungandole in quella limitrofa degli attori.

Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino, che con sentenza del 24 ottobre 2005 ha rigettato il gravame.

B.P., L.M. e Lo.Mo., questi ultimi quali eredi di B.L., hanno proposto ricorso per cassazione, in base a sette motivi. F.G., F. R. e R.P. si sono costituiti con controricorso.

Motivi della decisione

In sede di merito è stato accertato, in fatto, che le condutture di scarico oggetto della causa sono state collocate nel 1994 da B.P. e B.L. in percorsi che provengono dai fabbricati rispettivamente di loro proprietà e si inoltrano in una porzione di cortile intestata catastalmente a F.G., R.F. e R.P., fino a un pozzetto ivi esistente e all’acquedotto pubblico.

Che questo sia stato lo svolgimento della vicenda, non è contestato dai ricorrenti, i quali essenzialmente lamentano che la Corte d’appello abbia confermato con motivazione estremamente lacunosa la decisione di primo grado, disattendendo ingiustificatamente le difese che essi avevano opposto alla domanda possessoria proposta dagli attori: difese basate sia sulla circostanza che condutture analoghe esistevano da tempo immemorabile a servizio dei loro immobili, anche se in diversa collocazione, sia sulla loro qualità di comproprietari dell’area in questione.

Tali essendo i termini della materia del contendere, risulta infondato il primo motivo di ricorso, con cui B.P., L.M. e Lo.Mo. si dolgono del carattere a loro dire puramente apparente o comunque intrinsecamente perplesso e contraddittorio della motivazione della sentenza impugnata, nella quale invece è stato dato adeguatamente conto dei fatti di causa, dello svolgimento del processo, delle posizioni che le parti vi hanno assunto, delle ragioni della decisione.

Oggetto del secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso è il rigetto, da parte del giudice di secondo grado, delle istanze istruttorie che gli erano state rivolte dagli appellanti, per provare la fondatezza delle eccezioni feci sed iure feci, da loro opposte agli originari attori.

Neppure queste censure possono essere accolte, per l’assorbente ragione che le prove dedotte e gli accertamenti tecnici richiesti sarebbero comunque inidonei a dimostrare la situazione di possesso o di comproprietà dei ricorrenti, che secondo il loro assunto legittimava il loro operato: la preesistenza da tempo immemorabile di altre condutture, ma in diversa posizione, può in ipotesi costituire ragione per ritenere che B.P. e L. B. possedessero la corrispondente servitù, o anche che ne fossero titolari per intervenuta usucapione, ma non che potessero esercitarla modificandone il percorso, come riconoscono di aver fatto collocando le tubazioni nella parte centrale del fondo servente, mentre in precedenza erano ubicate lateralmente; nè la circostanza appare utile a provare una situazione di condominialità di quella porzione del cortile, in contrasto con il titolo che aveva dato luogo al suo accatastamento in capo a F.G., R.F. e R.P., così come un’altra era intestata in via esclusiva proprio ai B..

Ancora con il sesto motivo di ricorso e con il settimo si sostiene che lo stato dei luoghi è tale da permettere la costituzione della servitù in questione in via coattiva o lo spostamento di quella preesistente, peraltro con notevole vantaggio anche per i proprietari del fondo servente.

L’assunto è inconferente, poichè attiene a circostanze che comunque non consentivano a B.P. e B.L. di esercitare di fatto un diritto che ancora non era stato loro attribuito con sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 1032 o dell’art. 1068 c.c..

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa – a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

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