Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-06-2011) 12-10-2011, n. 36817 Contestazione dell’accusa Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 14 luglio 2010, la Corte d’appello di Roma ha confermato, quanto all’accertata responsabilità penale, la sentenza del Tribunale di Roma del 12 gennaio 2009, con la quale l’imputato era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 600 quater c.p., e, in parziale riforma di detta pronuncia, ha riconosciuto la continuazione con il reato accertato da una precedente sentenza del Tribunale di Roma del 9 ottobre 2003, rideterminando la pena.

2. – Avverso tale provvedimento, l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando: 1) la violazione del principio di correlazione fra imputazione e pronuncia sancito dall’art. 521 c.p.p., sul rilievo che nell’imputazione sarebbe contestata la condotta del procacciamento di immagini pedopornografiche, mentre l’oggetto della condanna sarebbe la diversa condotta della detenzione di tale materiale; 2) la mancata assunzione di una prova decisiva e la contraddittorietà della motivazione, perchè la Corte distrettuale non avrebbe rinnovato il dibattimento al fine di "acquisire la perizia sul supporto informatico dalla quale desumere se e quale materiale (…) fosse stato nuovamente scaricato dall’imputato".

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3.1. – Il primo motivo – con cui l’imputato deduce che nell’imputazione sarebbe contestata la condotta del procacciamento delle immagini pedopornografiche mentre l’oggetto della condanna sarebbe la diversa condotta della detenzione di tale materiale – è infondato.

Come questa Corte ha già rilevato (Sez. 3, 9 ottobre 2008, n. 43189) il reato di cui all’art. 600 quater c.p. può configurarsi con due condotte: il procurarsi ed il detenere. Quanto a tale ultima condotta, prima della riforma introdotta la L. 6 febbraio 2006, n. 38, art. 3, anzichè alla detenzione, si faceva riferimento alla disponibilità, che è nozione più ampia e sfumata della detenzione, allo scopo di rendere la norma sicuramente applicabile anche al possesso di immagini pedopornografiche ottenute mediante l’accesso a siti internet opportunamente protetti. Le due forme con cui poteva manifestarsi la condotta all’epoca del fatto per cui si procede (2004) hanno evidentemente un elemento comune, che è costituito dalla disponibilità sia pure momentanea del materiale pedopornografico, tanto che, sul piano sistematico, una parte della dottrina dubita dell’utilità della distinzione tra il procacciamento e la disponibilità (o la detenzione) operata dal legislatore.

E ciò, perchè non è possibile configurare il procacciamento a prescindere da una almeno momentanea disponibilità della res.

L’unica spiegazione plausibile dell’autonoma configurabilità come reato del mero procacciamento deve, allora, ravvisarsi nell’intentio legis di consentire di reprimere penalmente il tentativo di procurarsi il materiale. Si tratta, dunque, di due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato, con la conseguenza che le due condotte non possono concorrere tra di loro, perchè hanno un elemento comune, che è costituito dalla disponibilità ossia dalla detenzione del materiale pedopornografico.

Va poi ricordato che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. un., 15 giugno 2010, n. 36551; Sez. 6, 2 febbraio 2003, n. 34051) – in tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 c.p.p.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicchè non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. In altri termini, poichè la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi.

Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, perchè nel dibattimento non è emerso che il procacciamento formalmente contestato escludesse la successiva disponibilità del materiale pedopornografico in capo all’imputato; disponibilità che la sentenza censurata – con ampia e circostanziata motivazione – desume dalla presenza delle immagini negli hard disk dell’imputato stesso e dalle modalità della condotta.

3.2. – Le considerazioni appena svolte dimostrano, altresì, l’infondatezza del secondo motivo di doglianza – con cui il ricorrente sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto rinnovare il dibattimento al fine di "acquisire la perizia sul supporto informatico dalla quale desumere se e quale materiale (…) fosse stato nuovamente scaricato dall’imputato" -, posto che la Corte di secondo grado ha motivatamente affermato l’imputato aveva inequivocabilmente la disponibilità di quel materiale pedopornografico che si era in precedenza procurato.

4. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2011

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