Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-03-2012, n. 4591 Riduzione di donazioni e di disposizioni testamentarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.A., dichiarandosi erede dei genitori, Ga.An. ed Ga.Em., deceduti, rispettivamente, il (OMISSIS), conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Salerno i fratelli S., Ca., A., F., M., T., G. e G.P.M., affinchè, accertata la lesione di legittima derivante da donazioni effettuate in vita dai genitori in favore dei figli, ma non in egual misura, si procedesse allo scioglimento della comunione ereditaria.

S., A., F., M., Ma., G. e G.P.M. nel costituirsi in giudizio eccepivano la prescrizione del diritto dell’attrice di accettare l’eredità dei genitori, proponendo, altresì, domanda riconvenzionale di collazione relativamente ad un fondo rustico che i genitori avevano intestato, con atto di donazione indiretta, alla figlia A..

Analoga eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità formulavano anche i convenuti T. e Ga.Ca.. Nel merito, ciascuno dei due domandava l’accertamento dell’usucapione della proprietà del fondo rispettivamente posseduto in via esclusiva.

Il Tribunale, con sentenza non definitiva, dichiarava la successione testamentaria di Ga.An., e quella legittima di G. E., ed accertava che il relictum oggetto di divisione tra le parti era costituito da un appezzamento di terreno con entrostante fabbricato rurale sito in (OMISSIS), in comunione ereditaria secondo le norme sulla successione legittima.

Gravata da tutte le parti, tale decisione era parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 25.10.2005, che dichiarava – per quel che ancora rileva in questa sede di legittimità – prescritto solo il diritto di Ga.Em. di accettare l’eredità di Ga.An.; e accertava, inoltre, che Ga.An. aveva disposto per testamento del terreno e del fabbricato siti in (OMISSIS).

Riteneva la Corte territoriale che la pur tempestiva accettazione da parte di G.A. dell’eredità di Ga.Em., manifestata il 26.5.1998, non costituiva efficace esercizio della delazione dell’eredità di Ga.An. pervenuta a E. G., in quanto il relativo termine era spirato decorsi i dieci anni dall’apertura della successione di Ga.An., avvenuta il 30.8.1987. Osservava la Corte territoriale che la facoltà di accettazione dell’eredità spetta anche agli eredi del chiamato il quale sia deceduto prima di averla accettata. Infatti, ai sensi dell’art. 479 c.c., la delazione resta identica nel passaggio dal chiamato al suo erede, e il termine di prescrizione è lo stesso che inizia a decorrere dall’apertura della successione del primo.

Rilevava, quindi, contrariamente all’avviso espresso dal Tribunale, che non poteva considerarsi atto di esercizio della delazione da parte di G.A. il fatto che il procuratore di quest’ultima, nell’ambito di un procedimento camerale definito con sentenza della Corte d’appello n. 315/96, avesse chiesto una nuova consulenza tecnica d’ufficio al fine di rideterminare le quote ereditarie spettanti a seguito della morte di Ga.Em., trattandosi tutt’al più di un atto processuale meramente conservativo, e non già a carattere dispositivo o gestorio.

Inoltre, la Corte d’appello riteneva che in base alla ridetta sentenza n. 315/96, passata in giudicato, l’appezzamento di terreno sito in via (OMISSIS), costituito quasi esclusivamente da fabbricati rurali, doveva ritenersi già contemplato nel primo testamento di Ga.An., del 29.10.1969, e poi in quello successivo del 3.2.1981, e devoluto a G.T., con la conseguenza che non residuava più alcun bene relitto, avendo il predetto de cuius disposto di tutti gli altri beni o con atti di donazione o con gli stessi testamenti, distribuendo tutto il suo patrimonio tra i propri dieci figli.

Inoltre, osservava che la domanda di G.A., diretta ad accertare l’inclusione nella massa relitta della somma da determinarsi ai sensi della L. n. 379 del 1967, art. 7 ponendola a carico di G.T., era da ritenersi nuova e pertanto inammissibile.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre G.A., formulando cinque motivi illustrati da memoria.

Resistono con controricorso Ga.Ca., che ha altresì depositato memoria, e G.T., il quale ha proposto ricorso incidentale subordinato.

Gli altri intimati – S., M., A.M., M., F., G. e G.P.M. – non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. – Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 476 e 479 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. Sostiene parte ricorrente che nel procedimento diretto alla determinazione della somma spettante al de cuius ai sensi della L. n. 379 del 1967, art. 7cui aveva preso parte Ga.Em., deceduta nel corso dello stesso, e la stessa G.A., la richiesta di quest’ultima di rideterminare le quote spettanti in seguito alla morte della madre, non poteva che implicare la volontà di agire quale erede di lei e come trasmissaria accettante di quanto dell’eredità del marito era stato devoluto alla stessa.

2. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 84 c.p.c. Posto che ai sensi di tale norma il procuratore in giudizio può compiere tutti gli atti che concretano la volontà della parte, la quale soltanto è legittimata a dolersi dell’eventuale eccesso del mandato, appare erronea l’opinione espressa dalla Corte d’appello, secondo cui la richiesta di rideterminazione delle quote non sarebbe rientrata nei poteri del procuratore, se intesa come accettazione, ma avrebbe integrato un’attività strettamente processuale di tipo conservativo. Tale richiesta non è stata altro che un consequenziale sviluppo dell’originaria domanda di G.A., diretta anche in concorso con la coerede Ga.Em., alla determinazione ed assegnazione di quota di eredità per successione di Ga.An., e dunque un logico svolgimento espansivo della domanda stessa.

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e l’omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi. Afferma la parte ricorrente che sono coperte dal giudicato solo le affermazioni costituenti il presupposto logico essenziale del decisum, non anche le altre svolte incidenter tantum. Nello specifico, l’affermazione contenuta nella sentenza n. 315/96 che, malgrado due distinti atti di assegnazione da parte dell’Ente di Riforma, i due immobili siti in (OMISSIS) costituivano un unico podere, non è presupposto logico-giuridico della decisione, che è stata di rigetto delle domande di subingresso ex L. n. 379 del 1967 per altra ragione, ossia per l’applicabilità della sopravvenuta L. n. 191 del 1992, con la conseguenza che alla fattispecie dovevano applicarsi le regole generali in materia di successione.

4. – Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e l’omessa motivazione su di un punto decisivo. Anche ipotizzando che il giudicato di cui alla citata sentenza n. 315/96 si sia formato sulla unicità del podere costituito da due fondi assegnati con atti diversi, la Corte d’appello ha omesso di esaminare un punto essenziale, ossia che il testatore, secondo la sua volontà, sarebbe stato libero di disporre del proprio patrimonio separando i due cespiti costituenti l’unico podere. Ed è ciò che risulta avvenuto nel caso di specie, atteso che il testatore ha attribuito al figlio T. soltanto uno dei due immobili, quello del primo atto di assegnazione dell’Ente di Riforma.

5 – Il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nonchè l’insufficiente motivazione su di un punto decisivo, lì dove la Corte ha ritenuto nuova la domanda diretta a includere nel relictum oltre al terreno e al fabbricato ubicati in (OMISSIS), anche la somma da determinarsi ai sensi della L. n. 379 del 1967, ponendo a carico di G.T. l’obbligo di conferirla.

6. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale subordinato G. T. sostiene che, anche in caso di accoglimento di alcuno dei motivi formulati a sostegno del ricorso principale, la sentenza impugnata debba essere mantenuta ferma, perchè G.A. non può neppure considerarsi chiamata all’eredità di Ga.An. per difetto di beni relitti suscettibili di divisione ereditaria e per il mancato esperimento, da parte della stessa attrice odierna ricorrente, di un’azione di riduzione delle disposizioni di liberalità o delle disposizioni testamentarie del predetto de cuius.

7. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono infondati.

7.1. – Quanto alla dedotta violazione o falsa applicazione delle norme di legge indicate, va osservato che è fermo indirizzo di questa Corte che nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 2707/04, 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06 e 14752/07).

Nella specie, parte ricorrente non addita alcuna erronea interpretazione degli artt. 476 e 479 c.c., o dell’art. 84 c.p.c., ma si limita a lamentare che la Corte d’appello non abbia considerato la condotta processuale tenuta da G.A. in un diverso giudizio come idonea manifestazione della volontà di avvalersi della delazione ereditaria. Imperniata unicamente su di un fatto e sulla sua interpretazione, tale critica è del tutto aliena dallo schema sotteso dall’art. 360 c.p.c., n. 3, accostandosi, invece, al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. 7.2. – Vizio che, però, non ricorre.

La Corte territoriale ha escluso che l’esercizio della delazione ereditaria da parte di G.A. potesse ravvisarsi nel fatto che il difensore di lei, nella diversa controversia avente ad oggetto la determinazione della somma spettante al de cuius, Ga.An., ai sensi della L. n. 379 del 1967, art. 7 avesse chiesto, in seguito al decesso della madre delle odierne parti, Ga.Em., una nuova consulenza tecnica per rideterminare le rispettive quote ereditarie. Ciò in quanto, ad avviso della Corte d’appello, a tale atto strettamente processuale non poteva riconoscersi una valenza dispositiva o gestoria, ma soltanto natura conservativa.

Tale motivazione, pur nella sua sinteticità, deve ritenersi sufficiente e logica, e quindi insindacabile in questa sede. Atteso che la procura alla lite attribuisce poteri e facoltà processuali inerenti al diritto oggetto di controversia, ma non anche il potere di porre in essere attività negoziali di diritto sostanziale, come accettare un’eredità, e che un’istanza volta ad ottenere l’iterazione di accertamenti tecnici costituisce una caratteristica esplicazione dell’attività del procuratore costituito in giudizio rispetto alla quale è affatto gratuito supporre volontà ulteriori, la valutazione che nella specie è stata compiuta dal giudice di merito, che ha ritenuto l’istanza espressione di una volontà processuale a fini soltanto conservativi e non dispositivi, è coerente con i canoni sia di sufficienza, sia di logicità della motivazione e si sottrae, pertanto, alla censura dedotta. Nè ha pregio dedurre che la violazione del potere rappresentativo può essere fatta valere soltanto dal rappresentato, in quanto l’astratta possibilità di ratificare la condotta di un falsus procurator trae punto la dimostrazione che quest’ultima sia stata in concreto posta in essere, con un dato contenuto e per di più in maniera efficiente e riconoscibile all’esterno.

8. – Il quarto motivo, il cui esame è prioritario rispetto a quello del terzo, è fondato.

Sul punto decisivo della controversia concernente l’interpretazione della disposizione testamentaria relativa ai beni immobili di Ga.

A. siti in (OMISSIS), la Corte salernitana ha fatto discendere il proprio accertamento secondo cui il de cuius dispose dell’intero podere posto in detto comune, comprensivo, cioè, sia del fondo (OMISSIS), sia della casa colonica e degli annessi rurali, dal fatto che in altra sentenza della stessa Corte (n. 315/96), emessa fra le medesime parti, era stato accertato che il fondo sito in agro di (OMISSIS) venduto ad G. A. nel 1967, e composto quasi esclusivamente da fabbricati rurali, aveva funzione pertinenziale rispetto all’appezzamento di terreno, sicchè esso doveva ritenersi già contemplato nei testamenti pubblici del 29.10.1969 e del 3.2.1981.

Tale motivazione è viziata sotto il profilo logico-giuridico, poichè il nesso pertinenziale, essendo istituito fra beni dotati di propria individualità, può essere sempre scisso dal proprietario di entrambi, sia con atti inter vivos che mortis causa, in nessun caso ostandovi la pregressa destinazione dell’un bene al servizio o all’ornamento dell’altro, destinazione il cui accertamento con sentenza passata in giudicato non è dirimente ai fini dell’interpretazione dell’attività negoziale successiva.

9. – L’accoglimento del quarto motivo assorbe l’esame del terzo mezzo di annullamento.

10. – Il quinto motivo è infondato.

Esclusa in radice la rilevanza di ipotetici vizi di motivazione riguardanti questioni di corretta interpretazione o applicazione di norme di legge (dato il potere correttivo della S.C., esercitarle ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.), va osservato che la censura è priva del requisito di autosufficienza, poichè non trascrive compiutamente le conclusioni assunte nel giudizio di primo grado, sicchè non è possibile verificare se la Corte d’appello abbia valutato correttamente o non come nuova la domanda diretta ad accertare l’inclusione nel relictum anche della somma già spettante al de cuius ai sensi della L. n. 379 del 1967, art. 7. 11 – Infine, il ricorso incidentale condizionato è infondato.

11.1. – Esso, infatti, si fonda su di un postulato – quello secondo cui Ga.An. avrebbe disposto di tutti i suoi beni per donazione o per testamento, sicchè all’apertura della successione di lui non vi sarebbero stati beni relitti, con la conseguenza che A. G. non potrebbe considerarsi chiamata all’eredità per mancanza di oggetto – non verificabile allo stato e in questa sede di legittimità, posto che l’accoglimento del quarto motivo del ricorso principale pone nuovamente in discussione, nell’instaurando giudizio di rinvio, proprio tale assunto.

12. – In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Salerno, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il quarto motivo del ricorso principale, assorbito il terzo motivo e rigettati il primo, il secondo e il quinto motivo, nonchè rigettato il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Salerno, che provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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