Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-05-2011) 12-10-2011, n. 36773

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 1.6.2010 la Corte di assise di appello di Bari confermava la sentenza della Corte di assise di primo grado del 4.12.2008 che dichiarava T.P. colpevole dei reati di omicidio volontario, esclusa la premeditazione, in danno di D.C. A., di detenzione e porto illegale di una pistola, nonchè, del reato di cessione illegale continuata di sostanza stupefacente del tipo cocaina, e del reato di cui all’art. 81 cod. pen. e L. n. 1423 del 1956, art. 9 e lo condannava alla pena di anni trenta di reclusione ed Euro 40.000 di multa.

2. Dalle sentenze di primo e secondo grado si rileva che il 6.1.2007 veniva rinvenuto in agro di Ascoli Satriano il cadavere di un uomo;

accanto al capo vi era una chiazza di sangue fluida e venivano rinvenuti quattro bossoli uno dei quali sotto il capo. La vittima veniva identificata dai Carabinieri in D.C.A. la cui scomparsa era stata denunciata qualche giorno prima dal padre che aveva riferito che il giorno 3.1.2007 il figlio dopo avere ricevuto una telefonata, alla quale aveva assistito, si era recato a Foggia per incontrare un compagno di cella conosciuto nel carcere di Foggia ed acquistare droga. Sulla base di tali indicazioni veniva individuato il T. e venivano effettuate intercettazioni a bordo dell’auto di questi.

Rilevava la Corte che dall’istruttoria dibattimentale era emerso univocamente che: il T. era stato compagno di cella della vittima; che la telefonata riferita dal padre del D.C. era partita da un’utenza telefonica certamente riferibile all’imputato, benchè intestata ad altra persona, alla luce delle risultanze incrociate dei tabulati relativi a detta utenza; che, sulla base delle celle agganciate dalle utenze in uso al T. ed al D. C., effettivamente quel giorno la vittima si era recata a Foggia e si era messa in contatto con l’imputato al quale aveva inviato un sms; che dopo le ore 13,50 l’utenza della vittima non aveva avuto altri contatti; che l’altra utenza utilizzata dall’imputato aveva agganciato le celle da cui emergeva che alla 12,30 si trovava a Foggia e poco dopo nell’agro di Ascoli Satriano dove era stato trovato il cadavere.

All’esito della perizia medico-legale, la Corte di appello escludeva la tesi difensiva secondo la quale la chiazza ematica fluida rinvenuta il 6.1.2007 dal medico che aveva effettuato l’esame esterno era incompatibile con la morte avvenuta tre giorni prima, il 3.1.2007, come sostenuto dagli investigatori.

Sul punto, invero, la Corte affermava che l’epoca della morte con certezza doveva collocarsi il giorno 3.1.2007; il medico legale aveva, infatti, precisato che il sangue non coagulato trovava spiegazione nel fatto che nei giorni precedenti al rinvenimento del cadavere aveva piovuto.

Ad avviso della Corte, le dichiarazioni del padre e del fratello della vittima, che hanno riferito particolari molto precisi dei quali avevano diretta conoscenza, consentivano di ritenere accertato che questi aveva rapporti con il T. per acquistare cocaina e si recava a Foggia per incontrare l’imputato con tale finalità.

La Corte di appello, quindi, evidenziava come gli esiti delle conversazioni intercettate a bordo dell’autovettura dell’imputato confermavano ulteriormente il quadro probatorio: in esse, infatti, il predetto faceva evidente riferimento all’episodio omicidiarlo e ad alcune circostanze che solo l’autore del fatto poteva sapere. Il tenore delle conversazioni alla luce delle circostanze riferite dai familiari della vittima consentiva di individuare anche il possibile movente dell’omicidio.

In ordine alle Invocate circostanze attenuanti, la sentenza impugnata – richiamata la motivazione del giudice dì primo grado sul punto – rilevava che è di ostacolo al riconoscimento dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 la circostanza stessa che vi furono plurime forniture ognuna delle quali aveva ad oggetto consistenti quantitativi, come riferito dai congiunti della vittima.

L’obiettiva gravità dei fatti e la spiccata capacità criminale manifestata attraverso dette condotte, così come i precedenti penali, non consentivano la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, con due distinti atti.

3.1. Con il ricorso proposto a mezzo dell’Avv.to Francesco Paolo Ferragonio deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata dichiarazione di inammissibilità dei motivi di gravame del pubblico ministero; nonchè, in relazione ai reati di cui agli artt. 416-bis, 416, 629 e 513-bis cod. pen. e alla L. n. 1423 del 1956, art. 9.

Inoltre, si censura per violazione di legge e vizio di motivazione l’omessa concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, quanto meno ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

3.2. Il ricorso proposto a mezzo dell’Avv.to Franco Metta si articola in tre motivi.

Con il primo motivo si denuncia il vizio di motivazione per manifesta illogicità e contraddittorietà in ordine:

a) alla ritenuta accertata epoca della morte della vittima tratta da elementi non univoci (il sangue sul volto della vittima; l’accertata assenza di contenuto gastrico) ed omettendo la valutazione in ordine allo stato di decomposizione del cadavere ed alla temperatura dello stesso;

b) alla affermata possibilità che nei tempi accertati attraverso le celle agganciate dal telefono dell’imputato, un’ora e ventuno minuti, questi fosse stato in grado di portarsi dal centro di Foggia nel luogo dell’omicidio, uccidere il D.C. e rientrare a Foggia;

nonchè sulla asserzione che l’sms partito dall’utenza della vittima al numero dell’imputato abbia certamente messo in contatto i predetti.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.. Tale violazione viene richiamata, altresì, con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, atteso che la Corte di appello è pervenuta alla conclusione che il T. aveva fornito la vittima di ingenti quantitativi di stupefacente esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dei familiari della vittima.

Infine, denuncia la carenza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche invocate.

Motivi della decisione

1. Deve essere rammentato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Al giudice di legittimità resta, invece, preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).

Inoltre, è orientamento consolidato quello secondo il quale la specificità dei inerisce al concetto stesso di "motivo" di impugnazione e trova la sua ragione di essere nella necessità di porre il giudice dell’impugnazione In grado di individuare i punti e i capi del provvedimento impugnato oggetto delle censure, ossia l’individuazione dei punti ai quali la censura si riferisce (Sez. 4, n. 25308, 06/04/2004, Maviglia, rv. 228926). Si tratta di un requisito espressione di un’esigenza di portata generale, che implica, a carico della parte, non solamente l’onere di dedurre le censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime e le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contra legem la decisione, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Sez. 4, n. 24054, 01/04/2004, Distante, rv. 228586).

2. Alla luce di tali necessarie premesse, deve rilevarsi, in primo luogo, che il ricorso proposto a mezzo dell’Avv.to Francesco Paolo Ferragonio – che reca, peraltro, l’indicazione di date diverse rispetto a quelle della emissione e del deposito della sentenza relativa all’imputato – è aspecifico, atteso che le censure mosse non sono riferibili ai punti ed ai capi della sentenza impugnata.

Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 591 c.p.p., lett. c) e art. 581 c.p.p., lett. c).

3. Manifestamente infondato è il dedotto vizio di motivazione in ordine alla accertata epoca della morte della vittima che, ad avviso del ricorrente, sarebbe stata tratta da elementi non univoci ed omettendo la valutazione di alcune circostanze rilevanti come lo stato di decomposizione del cadavere e la temperatura dello stesso al momento del rinvenimento.

Invero, la Corte di merito sul punto ha esaminato compiutamente una pluralità di elementi di fatto sui quali ha motivato con argomenti logici ed immuni dalle censure di contraddizione mosse dal ricorrente. Al fine di superare i dubbi introdotti dalla difesa è stata anche disposta una perizia il cui esito ha confermato l’epoca della morte, escludendo l’ipotesi difensiva secondo la quale la morte del D.C. poteva essersi verificata dopo il 3.1.2007, posto che accanto al capo della vittima era stata rinvenuta (il 6.1.2007) una chiazza ematica fluida incompatibile con la morte avvenuta tre giorni prima. La Corte ha sottolineato, in fatti, che il medico legale aveva precisato che nei giorni precedenti al rinvenimento del cadavere aveva piovuto, pertanto, mentre le tracce ematiche sul viso della vittima erano essiccate, il sangue più copioso dietro il capo della vittima non si era coagulato. Inoltre, il perito aveva fornito elementi idonei anche a determinare l’ora della morte intorno alle 13, evidenziando la totale assenza di contenuto gastrico che deponeva per un exitus verificatosi in un momento lontano dall’assunzione dell’ultimo pasto che presumibilmente, alla luce delle circostanze acquisite, era avvenuto la sera precedente. Invero, deve essere rilevato che – a differenza di quanto assume il ricorrente – detta valutazione non ha riguardo alla determinazione della data del decesso, bensì, alla presunta ora del delitto.

Quanto alla rigidità cadaverica, come è stato compiutamente evidenziato dalla Corte di merito, il medico che aveva effettato l’autopsia aveva spiegato che la fase di rigidità cadaverica riscontrata era ricollegabile al clima freddo del mese di gennaio ed aveva escluso che il cadavere fosse stato spostato prima del suo rinvenimento; circostanza, peraltro, confortata dal reperimento di un bossolo sotto al cadavere.

Prive di pregio devono ritenersi le doglianze relative alla ricostruzione degli spostamenti dell’imputato operata dai giudici di merito attraverso le celle agganciate dal telefono del T. ed alla affermazione che l’sms partito dall’utenza della vittima al numero dell’imputato avesse messo in contatto i predetti.

L’iter motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla valutazione complessiva degli indizi, gravi, plurimi e concordanti è, ad avviso del Collegio, coerente, logico ed ancorato alle circostanze di fatto acquisite in dibattimento; la interpretazione alternativa cui sono finalizzate le censure del ricorrente è, come si è detto, preclusa in questa sede.

Nello stesso senso, invero, deve essere ritenuta manifestamente infondata la dedotta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., attraverso, invero, argomentazioni aspecifiche. L’art. 192 cod. proc. pen., lungi dal limitare l’operatività del principio del libero convincimento del giudice, codifica i canoni di valutazione della prova e tra questi quello secondo il quale l’esistenza di un fatto può essere ritenuta certa in presenza di indizi che siano gravi, precisi e concordanti. Di conseguenza, esso non consente al giudice di legittimità un controllo sul significato concreto di ciascun indizio – controllo che invaderebbe, inevitabilmente, la competenza del giudice di merito – ma gli conferisce solo il compito di verificare l’adeguatezza e la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza probatoria dei vari indizi, in se stessi e nel loro reciproco collegamento.

Ne consegue, altresì, la manifesta infondatezza della censura relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. La Corte di appello ha sottolineato che il padre e il fratello della vittima hanno riferito particolari molto precisi dei quali avevano diretta conoscenza e che consentivano di ritenere accertato che questi aveva rapporti con il T. per acquistare cocaina e si recava a Foggia per incontrare l’imputato con tale finalità. In particolare il fratello della vittima ha riferito di essere a conoscenza del fatto che il D.C. aveva acquistato droga per il prezzo di 3.000 Euro e che aveva programmato l’acquisto di un ulteriore quantitativo dalla stessa persona che aveva conosciuto nel carcere di Foggia. Di tal che, la motivazione in ordine alla invocata attenuante della sentenza impugnata è immune dalle censure proposte dal ricorrente.

Infine, assolutamente generico è il motivo di ricorso relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a fronte della valutazione operata dalla Corte di merito che ha sottolineato, sia pure sinteticamente, l’obiettiva gravità dei fatti e la spiccata capacità criminale manifestata dal T. attraverso le condotte poste in essere, così come i precedenti penali.

E’ noto che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno del pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688, 24/09/2008, Caridi, rv. 242419).

4. I ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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