Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-03-2012, n. 4583 Retribuzione pensionabile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Bari del 15 gennaio 2008 e, in riforma della sentenza stessa, rigetta la domanda proposta da I.G. volta ad ottenere la riliquidazione della pensione INPS in godimento dal 1 luglio 1990 attraverso l’utilizzazione, ai fini della determinazione della retribuzione media pensionabile, del salario medio convenzionale degli operai agricoli a tempo determinato, risultante dal decreto ministeriale pubblicato nell’anno immediatamente successivo a quello di prestazione dell’attività lavorativa.

La Corte d’appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il giudice di primo grado ha affermato l’erroneità del calcolo dell’ammontare della pensione effettuato dall’INPS nella parte in cui per la determinazione della retribuzione annua pensionabile si è fatto riferimento ai salari medi convenzionali pubblicati con decreti ministeriali degli anni di prestazione del lavoro invece che al salario medio convenzionale degli operai agricoli a tempo determinato, risultante dal decreto ministeriale pubblicato nell’anno immediatamente successivo a quello di prestazione dell’attività lavorativa;

b) tuttavia, deve essere accolta la tesi dell’INPS perchè è conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità – consolidatosi a partire dalla sentenza della Corte di cassazione 30 gennaio 2009, n. 2531 – al quale si aderisce in ragione della funzione nomofilattica delle decisioni e del loro elevato numero.

2 – Il ricorso di I.G. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, l’INPS. Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1- Con il primo motivo di ricorso: 1) si eccepisce l’illegittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 5, in relazione all’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., comma 2, art. 38 Cost., comma 2, artt. 53, 111, 117 Cost.; 2) si assume che l’efficacia retroattiva della suddetta disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 11 disp. gen..

Si sostiene che la suddetta disposizione – che prevede un peggioramento delle prestazioni rese ai lavoratori agricoli rispetto a quelle previste in favore degli altri lavoratori dipendenti – non sia una vera e propria norma interpretativa (e, quindi, non possa avere efficacia retroattiva) e comunque discrimini irragionevolmente i lavoratori agricoli e, per questo, si ponga in contrasto con i menzionati parametri costituzionali.

2 – Con il secondo motivo di ricorso si denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 488 del 1968, artt. 5 e 28 della L. n. 457 del 1972, art. 3 della L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21, della L. n. 297 del 1982, art. 3 e del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 3.

Si auspica un cambiamento del consolidato (a partire da Cass. 23 febbraio 2009, n. 4355) orientamento di questa secondo cui per la pensione di vecchiaia in favore degli operai agricoli a tempo determinato la retribuzione pensionabile va determinata, per ciascun anno, sulla media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale dell’anno precedente.

3.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sottolinea che la Corte d’appello si è limitata a riprodurre la massima della citata sentenza n. 2531 del 2009 di questa Corte, senza argomentare o motivare sulle numerose questioni di diritto proposte per contestare la pronuncia richiamata.

2 – Sintesi delle memorie depositate in prossimità dell’udienza.

4- Il ricorrente, nella propria memoria, dando atto della sopravvenuta sentenza di rigetto della Corte costituzionale n. 257 del 2011, sostiene che, tenendo conto di tale pronuncia, sarebbe possibile fornire del citato L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 5 una terza interpretazione – intermedia rispetto a quelle, rispettivamente, sostenute nel ricorso e dall’INPS – che potrebbe portare ad un accoglimento parziale del ricorso e che consisterebbe nel ritenere che il punto focale dell’intervento interpretativo sia rappresentato dalla volontà legislativa di cristallizzare la normativa collettiva di riferimento a quella vigente al 30 ottobre precedente (onde facilitare i calcoli). Ma i contratti vigenti al 30 ottobre precedente normalmente prevedono uno scatto rivalutativo decorrente dal successivo primo gennaio che, quindi, andrebbe calcolato.

5.- L’INPS, invece, nella propria memoria sostiene che il sopravvenuto intervento del Giudice delle leggi ha chiarito la portata precettiva della L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 5, ed ha posto in luce la sua conformità a Costituzione rendendo ancor più evidente l’infondatezza del ricorso avversario.

3 – Esame delle censure.

6. -I motivi del ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono fondati.

Lo steso ricorrente muove dalla premessa dell’esistenza, a partire dalla sentenza 30 gennaio 2009, n. 2531, di un consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui: "in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va calcolata applicando il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 28 e, dunque, in forza della determinazione operata anno per anno dai Dd.Mm. sulla media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale nell’anno precedente, ciò trovando conferma – oltre che nella impossibilità di rinvenire un diverso e più funzionale sistema di calcolo, che non pregiudichi l’equilibrio stesso della gestione previdenziale di settore – anche nella disposizione di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21, che – nell’interpretare autenticamente la L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3 concernente le prestazioni temporanee in favore dei lavoratori agricoli – ha inteso estendere ai lavoratori agricoli a tempo determinato l’applicazione della media della retribuzione prevista dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente prevista per i salariati fissi, così da ricondurre l’intero sistema ad uniformità, facendo operare, ai fini del calcolo di tutte le prestazioni, le retribuzioni dell’anno precedente" (vedi, fra le tante successive: Cass. 3 febbraio 2009, n. 2596; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4355; Cass. 20 agosto 2010, n. 18833; Cass. 3 giugno 2011, n. 12143).

Tale indirizzo – pienamente condiviso dal Collegio – è stato confermato dalla disposizione interpretativa di cui alla L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 5, che recita: "la L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3, comma 3 si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini detta determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche e per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato è il medesimo di quello previsto dalla citata L. n. 457 del 1972, art. 3, comma 2 per gli operai a tempo indeterminato.

Di recente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 257 del 2011, ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della suddetta L. n. 191 del 2009, art.. 2, comma 5 sollevate, in riferimento all’art. 3 cost., art. 111 Cost., commi 1 e 2, art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli arti 6 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848.

Il Giudice delle leggi ha, fra l’altro, sottolineato che la conformità a Costituzione della norma censurata si desume, principalmente, dal fatto che essa: a) ha affermato un principio già presente nell’ordinamento per gli operai agricoli a tempo determinato, sia pure limitatamente alla liquidazione delle prestazioni temporanee ( L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21); b) ha enucleato una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo; c) ha superato una situazione di oggetti va incertezza di tale testo, evidenziata dai diversi indirizzi interpretativi che si erano manifestati nella giurisprudenza di legittimità prima della citata sentenza n. 2531 del 2009; d) non ha inciso su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza in materia.

Alle suesposte considerazioni consegue il totale rigetto del ricorso, non apparendo percorribile la "terza via interpretativa" proposta dal ricorrente nella memoria, perchè di fatto si tradurrebbe in una modifica del significato della disposizione in oggetto, tale da incidere negativamente sulla ratio di ricondurre l’intero sistema ad uniformità, posta a base sia della giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 2531 del 2009 sia del successivo intervento legislativo interpretativo, positivamente scrutinato dalla Corte costituzionale.

4 – Conclusioni.

7.- In sintesi, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo precedente all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie applicabile ratione temporis. (vedi, per tutte: Cass. 27 gennaio 2011, n. 1943).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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