Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 13-10-2011, n. 36991 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Palermo confermò la sentenza 22 maggio 2008 del giudice del tribunale di Palermo, che aveva dichiarato S.A. e S.S. colpevoli dei reati di cui a D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), artt. 71 e 72, e art. 349 c.p. – in relazione alla edificazione, senza permesso di costruire, di un ampio manufatto in cemento armato a due elevazioni fuori terra con piani di copertura ed apprezzabile superficie – e li aveva condannati ciascuno alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa e con i doppi benefici.

Gli imputati propongono ricorso per cassazione deducendo:

– che l’immobile in questione era preesistente all’atto di acquisto del 22.2.2002 e già accatastato e che essi si erano limitati ad effettuare opere destinate al cambio di destinazione d’uso del piano terra e del primo piano con modeste modifiche ampliative;

– che inoltre avevano regolarizzato le opere mediante comunicazione al sindaco ai sensi della L.R. n. 37 del 1985, art. 9 e presentazione di istanza di sanatoria;

– che la sentenza impugnata ha omesso di motivare sui detti motivi di appello:

– che il reato era prescritto alla data della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

La corte d’appello, infatti, ha esattamente ritenuto che vi fosse bisogno del permesso di costruire, trattandosi di una nuova opera consistente nella realizzazione di un ampio manufatto in cemento armato con due elevazioni fuori terra con piani di copertura ed apprezzabili superfici.

In ogni caso, i reati edilizi sarebbero chiaramente egualmente configurabili quand’anche fosse vero l’assunto dei ricorrenti, che essi si sarebbero limitati ad eseguire opere destinate al mutamento di destinazione d’uso di un preesistente manufatto con modeste modifiche ampliative. E difatti, secondo costante giurisprudenza, il mutamento di destinazione d’uso di un immobile effettuato mediante la realizzazione di opere, anche interne, necessita del permesso di costruire. Nella specie, gli stessi ricorrenti ammettono che la modifica di destinazione d’uso sarebbe stata realizzate mediante opere ed addirittura mediante opere ampliative.

E’ manifestamente infondato il richiamo alla L.R. n. 37 del 1985, art. 9, perchè, come esattamente rilevato dalla corte d’appello, stante le caratteristiche, la struttura e le dimensioni delle opere realizzate, la fattispecie esula dalla sfera di operatività della disposizione regionale, la cui applicabilità del resto è stata solo affermata ma non motivata dai ricorrenti. In ogni caso, è evidente che l’istanza di sanatoria era irrilevante, se non altro perchè nemmeno si assume che sia stato rilasciato un provvedimento amministrativo di sanatoria (a prescindere dalla sua legittimità).

E’ infine manifestamente infondato anche il motivo sulla avvenuta prescrizione dei reati edilizi già all’epoca della sentenza impugnata, dal momento che la corte d’appello ha esattamente rilevato che al termine ordinario (scadente il 30 aprile 2008) dovevano aggiungersi i vari periodi di sospensione, rispettivamente di anni uno, mesi due e giorni 18, di anni uno, mesi uno e giorni 14 e di anni uno. Il motivo è anche aspecifico perchè omette totalmente di considerare la motivazione su cui si è fondata sul punto la sentenza impugnata.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

Essendo il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la eventuale prescrizione di alcuni reati verificatasi in una data successiva a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata (16.11.2010), è del tutto irrilevante perchè, a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato un valido rapporto di impugnazione il che preclude a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur. costante).

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, di ciascuno al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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