Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’appello di Lecce ha respinto gli appelli, principale e incidentale, contro la pronuncia del Tribunale di Brindisi del 19 novembre 2009, che aveva parzialmente accolto la domanda di arricchimento ingiustificato dell’ing. P.C. per il pagamento delle sue prestazioni d’opera professionale, aventi ad oggetto un elaborato progettuale generale esecutivo di un centro commerciale nella zona 167 della città e un successivo progetto stralcio dello stesso centro per la sua esecuzione e per la direzione dei relativi lavori.
Il professionista aveva affermato di aver ricevuto, con Delib. G.M. 4 novembre 1986, n. 1320 l’incarico per la redazione del progetto esecutivo generale che precede e che il suo elaborato, con previsione di spesa di L. 645.000.000, era stato approvato da Delib. del consiglio comunale n. 22 del 13 febbraio 1987.
Comunicato il finanziamento parziale dell’opera dall’Assessorato regionale ai Lavori pubblici con nota del 2 marzo 1989, la Delib.
G.M. 10 marzo 1989, n. 323 conferiva altro incarico per un progetto stralcio di quello precedente approvato dal consiglio comunale con Delib. n. 333 del 10 aprile 1999, con cui si stabiliva di contrarre un mutuo di L. 300.000.000 con la Cassa depositi e Prestiti per dare esecuzione all’elaborato.
Con parcella vistata del Consiglio dell’ordine professionale l’ing. P. invano chiedeva all’ente locale il pagamento del compenso per la sua prestazione professionale. Il professionista allora conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Brindisi il Comune di Latiano, perchè fosse condannato a pagargli L. 52.600.526 per le sue prestazioni (L. 46.486.313, per il primo progetto generale e L. 6.132.213 per quello stralcio, oltre interessi legali) a titolo o di corrispettivo contrattuale dell’elaborato progettuale da lui redatto o, in subordine, di ingiustificato arricchimento.
Il Comune di Latiano si costituiva e domandava di rigettare le domande del professionista, per inesistenza di un valido contratto scritto di conferimento dell’incarico, eccependo in subordine la prescrizione del diritto azionato.
Dopo la nomina di un c.t.u. che liquidava i compensi astrattamente spettanti all’ing. P. in L. 33.102.429 per il primo progetto generale esecutivo ed in L. 4.809.040 per il secondo elaborato stralcio, il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande, condannava il Comune di Latiano a pagare al professionista la somma di Euro 2.603,00, oltre interessi legali e spese di lite, a titolo di ingiustificato arricchimento per l’espletamento del solo secondo incarico oggetto delle delibere del 1989.
Ritenuta infondata la domanda di compenso contrattuale, per la mancanza di un contratto in forma scritta, essenziale per dar luogo a obblighi della P.A., il primo giudice dichiarava l’azione di arricchimento senza causa sul primo progetto esecutivo generale prescritta, perchè il riconoscimento dell’utilità della prestazione professionale era intervenuto con Delib. C.C. 13 febbraio 1987, n. 22 cioè oltre dieci anni prima della citazione del novembre 1998. In ordine al secondo progetto stralcio elaborato per dare inìzio all’esecuzione dell’opera dopo il finanziamento, poichè l’ente locale aveva riconosciuto l’utilità della prestazione, facendo sorgere il diritto del professionista all’indennità di cui all’art. 2041 c.c., con la Delib. consiglio comunale 10 aprile 1989, n. 333, l’azione del P. non era prescritta.
Escluso dal tribunale che potessero costituire atti interruttivi della prescrizione le richieste di pagamento del compenso fondate sul titolo contrattuale, il giudice adito accoglieva quindi parzialmente la subordinata domanda di ingiustificato arricchimento per il solo progetto stralcio nei limiti di cui sopra.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 19 novembre 2009, ha rigettato l’appello principale del P. e quello incidentale del Comune di Latiano avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, ritenendo infondata la deduzione del professionista che la forma scritta in unico documento non fosse essenziale per concludere il contratto di prestazione d’opera e che il requisito di forma potesse desumersi anche dalle varie Deliberazioni di giunta e consiglio comunale sopra richiamate, essendo queste atti interni irrilevanti per esprimere la volontà dell’ente locale, che non poteva dedursi da comportamenti delle parti o per facta concludentia. In ordine al secondo motivo d’appello del P. contro la dichiarata prescrizione del suo diritto all’indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c., la Corte di merito ha riaffermato che unico valido atto di riconoscimento della utilità della prima sua prima prestazione professionale era stata la Delib. del Consiglio comunale 12 febbraio 1987, che aveva ritenuto il progetto generale originario "degno di approvazione", negando lo stesso rilievo alla Delib. G.M. 4 novembre 1986, n. 1320, che aveva solo conferito l’incarico con atto funzionale ad ottenere i finanziamenti. Infine era negato che costituissero atti interruttivi della prescrizione dell’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c., il successivo riconoscimento del progetto aggiuntivo redatto su incarico della G.M. 10 marzo 1989, n. 223 e approvato dal consiglio comunale con Delib. 10 aprile 1989, n. 333 dato che tali atti erano rilevanti solo per la seconda prestazione professionale del P..
Veniva poi negata l’efficacia interruttiva della prescrizione del ricorso del professionista per decreto ingiuntivo n. 402 del 1996, trattandosi di atto tendente ad ottenere l’adempimento del contratto, che invece, per quanto rilevato, non esisteva e, come tale, non poteva costituire atto di esercizio del diritto del P. all’indennità da arricchimento senza causa del comune, che poteva sorgere solo in mancanza di rapporti obbligatori contrattuali.
Rigettato l’appello incidentale del Comune di Latrano, la corte adita ha compensato le spese del grado tra le parti. Per la cassazione di tale sentenza non notificata, ha proposto ricorso, notificato il 30 dicembre 2010, l’ing. P.C. e il Comune di Latiano si è difeso con controricorso notificato il 7 febbraio 2011. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo del ricorso del P. denuncia violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e degli artt. 1326 e 1350 e.e, anche per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul punto decisivo della esistenza di un contratto scritto delle parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Afferma il ricorrente che, in passato, si era sempre ritenuto che, allorchè la P.A. operava da privato, i contratti della stessa potessero concludersi con più modalità, per cui solo 1’interpretazione rigorosa della giurisprudenza aveva imposto con la forma scritta di ogni atto di autonomia dei comuni la necessità di un unico documento, negando la validità di accordi conclusi con atti separati.
Se la Corte d’appello avesse superato il formalismo eccessivo della indicata giurisprudenza, come accaduto con la sentenza della Cassazione n. 4290 del 2003 (specificamente: Cass. 6 marzo 2003 n. 4290), secondo il ricorrente, non si sarebbe affermato dai giudici di merito che nel caso era assente un contratto unico in forma scritta fonte regolatrice del rapporto del professionista con l’ente locale, a base della domanda di pagamento della prestazione.
Richiamate analiticamente le Delib. G.M. n. 1320 del 1986 e n. 223 del 1989, di conferimento dell’incarico all’ing. P., per la redazione del progetto esecutivo del centro commerciale nella zona 167 del Comune di Brindisi, il ricorrente deduce che, da tali atti, emerge chiara la volontà di obbligarsi dell’ente locale, per cui poteva riconoscersi con l’esecuzione del progetto un contratto perfezionato. 1.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 2041 e 2935 c.c., anche per insufficiente motivazione in ordine alla durata della prescrizione del diritto ad agire per ingiustificato arricchimento.
Erroneamente la Corte di merito ha individuato il riconoscimento della utilità della prestazione del ricorrente nella Delib. G.M. 13 febbraio 1987, n. 22 invece che in quella 10 marzo 1989, n. 223 così dichiarando estinto per prescrizione il diritto di agire del P. per il pagamento del primo progetto generale esecutivo del centro commerciale dallo stesso redatto.
Con l’atto di appello, il ricorrente aveva rilevato che, se la Delib.
G.M. n. 1320 del 1986 era stata necessaria per ottenere i finanziamenti regionali per realizzare il suo progetto, quella del consiglio comunale n. 22 del 1987 non aveva un fine diverso, anche se conteneva l’affermazione che il progetto era "degno di approvazione", per cui il pagamento della redazione di esso doveva avvenire pure in caso di mancata realizzazione"dell’opera per carenza di finanziamenti regionali.
La Delib. citata del 1987 rendeva il riconoscimento dell’utilità del lavoro professionale dell’ing. P. in essa contenuto, solo ai fini del pagamento dell’elaborato anche se non si fosse eseguito il progetto.
Ad avviso del ricorrente, quindi, la Delib. del 1987 che approvava il progetto, non riconosceva l’utilità di esso, che poteva emergere solo dal successivo finanziamento, che risulta dalla Delib. G.M. 10 marzo 1989, n. 223 che è quindi l’unica ad evidenziare il vantaggio conseguito dal Comune per il lavoro del professionista.
Il controricorrente afferma che, con la Delib. 13 febbraio 1987, non solo si è approvato il progetto ma lo si è trasmesso per il finanziamento alle autorità regionali, per cui da tale atto già poteva rilevarsi il riconoscimento della utilità della prestazione dell’ing. P., come rilevato nel merito, essendosi la stessa riconosciuta come vantaggiosa indipendentemente dal finanziamento della Regione Puglia, tanto che l’ing. P. avrebbe dovuto essere retribuito per il suo lavoro anche in mancanza dei fondi regionali.
1.3. Si denuncia in terzo luogo la violazione dell’art. 2944 c.c. dalla Corte di appello di Lecce, per non avere rilevato i successivi atti di riconoscimento dell’utilità del progetto, tra cui la già indicata Delib. G.M. n. 223 del 1989, che comportava l’interruzione della prescrizione del diritto di agire ai sensi dell’art. 2041 c.c., per cui non erano decorsi dieci anni dall’atto che precede alla data della notifica della citazione.
Secondo il ricorrente, la Corte di merito ha esaminato la Delib.
Consiglio Comunale n. 333 del 1989 e non quella della G.M. n. 223 del 1989, che fa riferimento anche alla concessione del finanziamento per il primo progetto redatto dal professionista, così evidenziando il vantaggio ottenuto dal comune anche per la prima prestazione, per cui il diritto di agire si è erroneamente ritenuto estinto per prescrizione. Rileva il ricorrente che di regola gli atti interruttivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza, anche per l’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c., sono di natura negoziale, come la ricognizione di debito; il realtà, poichè è la legge la fonte del diritto all’indennizzo, dovrebbero rilevare solo altri fatti idonei a produrre per la normativa vigente il medesimo effetto indennitario, come nel caso è accaduto con la Delib. G.M. e i successivi atti che hanno riconosciuto l’utilità del progetto nel 1989. 1.4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza di appello per violazione dell’art. 2943 c.c. e per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sui fatti controversi delle richieste di pagamento del lavoro fatte dall’ing. P., di cui si è negata la natura interruttiva. Tali richieste, ad avviso della Corte, facendo riferimento al contratto di prestazione d’opera professionale e alle relative obbligazioni, non erano idonee a interrompere la prescrizione dell’azione subordinata ex art. 2041 c.c..
La Corte d’appello ha escluso che la richiesta di decreto ingiuntivo, pur tendendo a ottenere il pagamento della prestazione professionale a base dell’arricchimento ingiustificato dell’ing. P., abbia avuto effetti interruttivi del diritto di agire ai sensi dell’art. 2041 c.c., pur se fondata sugli stessi fatti a base di tale ultima domanda della parte.
Richiamata la sentenza delle S.U. n. 23284 del 18 novembre 2010, che ritiene sussistere una sostanziale identità delle due domande, contrattuale e di indebito arricchimento, quando gli elementi di fatto a base di esse siano gli stessi, si insiste nel denunciare l’errore della Corte di merito che, sulla diversità di natura delle sue azioni, ha fondato la esclusione dell’effetto interruttivo delle richieste di pagamento del compenso contrattuale per il professionista. La natura dell’azione di ingiustificato arricchimento esclude ovviamente una fonte contrattuale del pagamento dei compensi, ma la richiesta di pagamento della prestazione professionale fondata sulle stesse delibere a base del ricorso per decreto ingiuntivo del 1996, si è erroneamente negato fosse idonea a interrompere la prescrizione anche dell’azione subordinata di arricchimento senza causa.
2. Il ricorso è in parte infondato e nel resto inammissibile, in quanto si fonda sul presupposto errato della equipollenza delle delibere del consiglio comunale e della giunta municipale in esso richiamate, aventi rilievo interno e prive di rilevanza esterna, con i provvedimenti e gli atti degli organi rappresentativi del comune, cioè del sindaco o degli assessori all’uopo delegati, che possono essi soli vincolare l’ente locale nei confronti di terzi e dar luogo a validi contratti (sulla distinzione cfr. Cass. 13 maggio 2011 n. 10663, 23 dicembre 2010 n. 26010, 2 marzo 2006 n. 4635).
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, dovendosi negare che nella fattispecie vi sia una manifestazione di volontà esterna idonea a vincolare il Comune di Latiano nella forma scritta che la legge impone con le delibere di giunta e di consiglio comunale sopra richiamate.
Il R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, sulla contabilità generale dello Stato, impongono a quest’ultimo di regola la forma scritta per la conclusione di qualsiasi contratto, e sono applicabili anche ai Comuni, già ai sensi del T.U. della legge comunale e provinciale di cui al R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 87, comma 1, applicabile ratione temporis nella fattispecie (così tra altre Cass. 26 giugno 2010 n. 12880, 19 ottobre 2006 n. 22501). Peraltro si riteneva in passato possibile un contratto concluso a distanza, sempre in forma scritta, con una proposta e una accettazione provenienti dal contraente privato e da organo dell’ente locale, facendo riferimento in particolare, per i comuni, al R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 87 e 251 (Cass. 6 luglio 2007 n. 15296 e 26 gennaio 2007 n. 1752).
Nel caso alcun atto prenegoziale, di proposta o accettazione, risulta emesso da organi rappresentativi del Comune di Latiano, non potendo avere tale rilievo le delibere del consiglio e della giunta a base dell’azione del P., cui nessuna rilevanza esterna può riconoscersi.
Si ritiene ormai di regola necessaria la unicità del documento scritto, in cui è contenuto il contratto ad evidenza pubblica stipulato dal comune con il privato, per agevolare il controllo formale – e contabile degli atti della P.A., anche per la verifica dell’eventuale responsabilità amministrativa degli organi di essa (Cass. S.U. 22 marzo 2010 n. 6827, Cass. 26 marzo 2009 n. 7297).
Pertanto, a differenza di quanto si deduce in ricorso, mai sulla conclusione dei contratti degli enti pubblici, vi è stata una giurisprudenza difforme da quella che ritiene necessaria la forma scritta, essendovi stata una variazione solo in ordine al rilievo della conclusione di contratti della P.A. per iscritto e a distanza, dovendosi in tali casi esaminare il contenuto dei due atti per desumere da esso l’incontro delle volontà a base dell’accordo costituente il contratto ed essendo ritenuto solo di recente necessario anche l’unico documento per far sorgere il vincolo (da Cass. 30 maggio 2002 n. 7913 a Cass. 14 aprile 2011 n. 8539).
In ordine alla sentenza n. 4290 del 2002 citata in ricorso perchè, ad avviso del P., consentirebbe una lettura estensiva dell’obbligo della forma scritta nei contratti degli enti locali, la pronuncia si riferisce, con chiarezza, ad un’insufficienza di motivazione dalla Corte di merito circa il rilievo di un documento a firma di un assessore delegato dal sindaco ad esternare la volontà dell’ente pubblico, cioè di un organo del comune, nell’ambito dell’incontro di volontà delle parti espresso in documenti separati, avendo la Corte suprema cassato la pronuncia della Corte d’appello per omesso esame del documento del comune a firma di detto assessore, necessario per negare che con esso si fosse concluso un contratto a distanza.
Riconosciuta la fedeltà alla tradizionale lettura delle giurisprudenza di questa corte della pronuncia impugnata in questa sede, in rapporto alla necessità della forma scritta di atti provenienti da organi legittimati ad esternare la volontà dell’ente, per riconoscere esistente un contratto e far sorgere da esso obblighi per le parti, deve rigettarsi il primo motivo di ricorso, che vorrebbe far riconoscere alle delibere di giunta e di consiglio comunale prive di rilievo esterno, l’effetto di atti scritti prenegoziali idonei a formare il contratto dell’ente locale.
1.2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili, per la parte nella quale chiedono una nuova valutazione di merito delle citate delibere di giunta e di consiglio comunale, succedutesi nel tempo per il conferimento degli incarichi al P. e per l’approvazione del progetto redatto dal ricorrente, per rilevarne l’effetto interruttivo della prescrizione, chiedendo di sostituire quanto deciso dalla Corte di appello con una diversa valutazione delle delibere comunali poste a base della scelta di riconoscere l’ingiustificato arricchimento in favore del professionista. Anche a riconoscere effetti esterni ai detti provvedimenti, comunque la Corte di merito ha ritenuto che la Delib. G.M. n. 223 del 1989 e quella del consiglio comunale n. 333 dello stesso anno, in alcun modo confuse dai giudici di merito, riguardano solo il progetto stralcio o integrativo, aggiunto – a quello già approvato nel 1987, per cui non possono rilevare per interrompere la prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento del ricorrente rispetto a detta prestazione professionale del primo progetto generale. Si chiede dal ricorrente alla Corte di legittimità una valutazione che attiene palesemente al merito della controversia e non può operarsi in sede di legittimità, senza essere indicate dal ricorrente le carenze nella ricostruzione dei fatti e gli errori di qualificazione giuridica, che potrebbero giustificare l’intervento della Cassazione.
Non emergono dal ricorso elementi di fatto o di diritto che consentano di discostarsi dalla valutazione operata dalla Corte di merito con la sentenza, la cui impugnazione deve quindi ritenersi preclusa per tale profilo.
Assolutamente inammissibile è inoltre il ricorso in ordine alla lettura data dalla Corte d’appello della Delib. Consiglio Comunale 10 aprile 1989, n. 333 (cfr. pag. 5 della sentenza, che a pag. 4 afferma essere invece tale atto della giunta con evidente lapsus calami), per rilevare un rinnovato riconoscimento dell’utilità del primo progetto del P.; tale impugnazione è priva di autosufficienza non chiarendo le ragioni della diversa lettura dell’atto chiesta dal ricorso. Il secondo e il terzo motivo del ricorso del P. sono quindi inammissibili.
2.3. Anche il quarto motivo di ricorso è da rigettare. Il richiamo al ricorso per decreto ingiuntivo come atto interuttivo della prescrizione della azione di arricchimento senza causa, per essere fondata la richiesta di ingiunzione sui medesimi fatti a base della domanda di indennizzo, presuppone l’identità delle due domande di pagamento – da contratto o da arricchimento senza causa – che nessuna sentenza di questa Corte ha mai sostenuto.
Anche il richiamo a S.U. 18 novembre 2010 n. 23284, per la quale non costituisce mutatio libelli ma mera emendatio la domanda di pagamento di compensi professionali in esecuzione di un contratto regolarmente stipulato di prestazione d’opera professionale avente i medesimi presupposti di fatto necessari a chiedere l’indennizzo da arricchimento senza causa, parte comunque dal presupposto della sicura differenza delle due domande come regola generale, solo eccezionalmente e in concreto derogabile (sulla diversità delle domande è tutta la giurisprudenza da S.U. 22 maggio 1996 n. 4712 a Cass. 2 agosto 2007 n. 17007).
Nel caso di specie, come si è chiarito, le delibere a base della domanda di ingiustificato arricchimento, in quanto non costituiscono atti di organi del comune, indispensabili a concludere un contratto, non bastano ad integrare la identità dei presupposti di fatto del ricorso per decreto ingiuntivo con l’azione di arricchimento senza causa e la idoneità del primo a interrompere la prescrizione della seconda. Pertanto, in concreto, il ricorso per decreto ingiuntivo del P. contro 1’ente locale non era idoneo a interrompere la prescrizione dell’azione di ingiustificato arricchimento, trovando fondamento solo se fondato su un contratto di prestazione d’opera intellettuale che si è escluso si fosse concluso, per mancanza della forma scritta necessaria. L’indicata sentenza delle sezioni unite n. 23284/2010 afferma solo esattamente che il petitum sostanziale dell’azione di pagamento contrattuale e di quella di arricchimento senza causa, costituiscono comunque richiesta di tutela di un diritto soggettivo che, salvo deroghe collegate alla materia e alla eventuale giurisdizione esclusiva del G.A., deve essere conosciuta dall’A.G.O..
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ma, in deroga alla regola della soccombenza, le ragioni a fondamento della presente decisione giustificano la compensazione totale delle spese del giudizio di cassazione tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
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