Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-03-2012, n. 4568

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel corso dell’esecuzione del contratto di appalto stipulato il 2 6 marzo 1997 dall’ANAS s.p.a. e dalla Tecnosviluppo s.p.a., poi divenuta Impresa s.p.a., quale capogruppo dell’Associazione temporanea di imprese meglio individuata in epigrafe (da ora:

A.T.I.), per lavori di completamento della ricostruzione in variante del tratto "(OMISSIS)" della strada statale n. (OMISSIS) dello (OMISSIS), l’appaltatrice iscriveva sei riserve, per il cui pagamento aveva poi proposto domanda di arbitrato con atto notificato alla committente l’8 luglio 2004, con cui aveva pure nominato il suo arbitro.

Si costituiva l’ANAS s.p.a., nominando il proprio arbitro, e i due componenti designati dalle parti indicavano il terzo membro, presidente del collegio arbitrale che, con lodo depositato il 16 febbraio 2006, accoglieva parzialmente le domande di cui ai quesiti posti, condannando la committente a pagare circa Euro 1.500.000,00 con interessi e rivalutazione, per varianti eseguite dall’A.T.I. in accoglimento delle domande basate sulle prime cinque riserve ed Euro 67.435,64 a titolo di rimborso delle ritenute a garanzia con i soli interessi e senza rivalutazione per la sesta riserva, ponendo a suo carico i due terzi delle spese del procedimento e di funzionamento del collegio arbitrale. Sulla impugnazione per nullità di tale lodo proposta dall’ANAS s.p.a. con atto notificato il 24 luglio 2006, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 9 novembre 2009, ha dichiarato inammissibile quella relativa al rimborso delle ritenute della riserva iscritta al numero sei, dichiarando nullo parzialmente il lodo per le statuizioni delle condanne dipese dall’esecuzione delle varianti di cui alle prime cinque riserve. La Corte di merito ha rigettato in rescissorio le domande dell’A.T.I., relative alla esecuzione di varianti del progetto originale e posto la metà delle spese del procedimento arbitrale e del giudizio di impugnazione a carico dell’ANAS s.p.a. Superate le eccezioni dell’impugnante sulla costituzione del collegio e sulla sede della pronuncia del lodo, la Corte d’appello ha ritenuto nullo parzialmente quest’ultimo, per violazione dell’art. 1660 c.c., R.D. n. 2248 del 1865, artt. 342-343, all. F e del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 20, per la parte in cui aveva accolto le domande dell’A.T.I., di cui alle riserve n.ri 1, 2, 3, 4 e 5, ritenendo non dovuti i pagamenti richiesti per variazioni dell’appalto arbitrarie, relative a lavori aggiuntivi non autorizzati e non indispensabili, i cui maggiori oneri, riconosciuti dal collegio arbitrale, non spettavano alla appaltatrice, mancando le condizioni di indispensabilità per dette varianti e la stessa copertura di spese di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 103.

L’A.T.I. aveva eseguito variazioni o nuovi lavori senza segnalare al direttore dei lavori i vizi del progetto originario che avrebbero imposto tali nuove opere, così impedendo allo stesso di comunicare alla committente dette varianti, che neppure in via eccezionale e di urgenza potevano giustificarsi, perchè non indispensabili.

Si è quindi dichiarato nullo parzialmente il lodo in rapporto alle domande fondate su tali cinque riserve e, in sede rescissoria, si è denegato ogni diritto dell’A.T.I. al pagamento di tali opere aggiuntive eseguite senza consenso o autorizzazione della stazione appaltante, anche perchè la appaltatrice aveva assunto l’obbligo contrattuale di non avanzare richieste di modifiche dei lavori da eseguire, avendo perfetta conoscenza del progetto e dello stato dei luoghi, nei quali aveva già realizzato oltre la metà della galleria oggetto d’appalto.

Per la cassazione di tale sentenza non notificata, è stato proposto ricorso notificato il 7 – 10 maggio 2010 da Impresa s.p.a., quale capogruppo dell’A.T.I. appaltatrice, con quattro motivi, cui resiste, con controricorso notificato il 15 – 18 giugno successivo l’ANAS s.p.a.

Entrambe le parti hanno illustrato le loro istanze e difese con memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 16 e 25, dell’art. 1453 c.c. e della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342 e del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 20, in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando pure disapplicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4 e la illogicità e insufficienza di motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., commi 1 e 2, e, quindi, dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Per l’A.T.I. ricorrente nel caso si erano applicati erroneamente i principi regolatori dell’appalto a rilevanza pubblica a base del rigetto delle sue domande, fondato sulla natura arbitraria delle varianti eseguite, in quanto le stesse erano state effetto di errori e carenze progettuali, costituenti violazioni della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 16, per le quali le variazioni in corso d’opera sono ammesse ai sensi dell’art. 25, lett. d, della indicata legge quadro sui lavori pubblici, quando vi siano stati errori e omissioni nel progetto esecutivo, che pregiudichino la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione.

Le riserve proposte avevano ad oggetto domande risarcitorie per inadempimenti degli obblighi di progettazione da parte della committente, tanto che, nei quesiti agli arbitri, si erano chiesti la rivalutazione e gli interessi, riconosciuti nel lodo per la natura di debito di valore dell’obbligazione controversa. Afferma l’A.T.I. che la Corte d’appello, pur rilevando che a base delle domande vi erano carenze ed errori progettuali, non ha esaminato le domande in base all’art. 1453 c.c., ma valutandole solo come richieste di maggiori compensi e indennizzi. Agli inadempimenti progettuali non vi è cenno nella sentenza che ha deciso l’impugnazione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., e, comunque, mancando ogni motivazione sul rigetto dell’azione risarcitoria.

Inoltre, la corte di merito ha esaminato le riserve, dando spazio al merito della controversia risolta dagli arbitri, per valutare la indispensabilità delle opere e dei lavori aggiuntivi, mentre doveva solo decidere sulla impugnazione per nullità che costituisce un giudizio di mera legittimità.

Anche l’esame in sede rescindente delle circostanze di fatto a base delle domande tese a ottenere maggiori compensi sono state valutazioni di fatto e di merito non previste nell’impugnazione per nullità regolata dall’art. 829 c.p.c..

In sede rescissoria, la Corte d’appello non ha riconosciuto, neppure a titolo di maggiori compensi, le somme chieste dall’A.T.I., senza considerare che anche i lavori aggiuntivi erano stati collaudati e che sulla loro indispensabilità il c.t.u. non si è pronunciato, solo perchè non è stato all’ausiliare proposto il relativo quesito.

Erroneamente infine si è negata la copertura finanziaria di tali opere aggiuntive, che invece vi era, come emergeva dall’importo stesso di spesa approvato dalla committente, di gran lunga maggiore dei crediti dell’appaltatrice come accertati dal c.t.u., per cui la sentenza della Corte di merito è, anche in rescissorio, errata e da riformare.

1.2. Il secondo motivo del ricorso lamenta violazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 1, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 71 e della L. 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 16 e 25, anche per carenze motivazionali in ordine alla affermata conoscenza o almeno al dovere di conoscere le carenze dei progetti da cui sono derivate le varianti. Diversamente da quanto deciso nel merito, la dichiarazione dell’A.T.I. di avere conosciuto il progetto da realizzare e i luoghi dove esso doveva eseguirsi, in base al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 1, per avere già eseguito la prima parte della galleria da completare con il nuovo appalto, non costituisce esimente da responsabilità per la stazione appaltante per la violazione dei suoi obblighi di progettazione, che hanno comportato le varianti a base delle riserve dell’impresa. Le sorprese geologiche e gli altri ostacoli occultati nel progetto per la esecuzione dell’opera appaltata non impediscono che la committente debba rispondere delle deficienze progettuali, non essendovi liberazione dai suoi obblighi per la dichiarazione resa dall’appaltatrice, ai sensi dell’art. 71 del D.P.R. n. 554 del 1999, d’avere esaminato gli elaborati progettuali, in base ai principi dell’esecuzione del contratto secondo le regole di buona fede, di cui all’art. 1375 c.c.. Invero, non può configurare una rinuncia a quanto alla appaltatrice compete, la dichiarazione della stessa di conoscenza del progetto e dello stato dei luoghi. La Corte sembra collegare alla circostanza che nel caso erano in corso lavori di completamento di una galleria già in parte eseguita dalla stessa A.T.I., l’obbligo di conoscenza per questa degli ostacoli occulti che si sarebbero avuti in sede di esecuzione, pur essendo chiara la diversità del progetto di completamento rispetto a quello originario, tanto che di esso vi erano state due approvazioni da parte del c.d.a. dell’ANAS, necessarie per la complessità della nuova opera, per cui ogni equiparazione tra lavori già eseguiti e quelli di completamento era errata, con conseguente insufficiente motivazione su tali fatti decisivi dalla sentenza impugnata.

1.3. Infine si chiede che, con l’annullamento della sentenza della Corte d’appello, si riesaminino anche le disposizioni accessorie sulle spese sia del lodo che del giudizio di impugnazione.

2.1. Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile e nel resto infondato.

La Corte d’appello (pagg. 8 e seguenti della sentenza) rileva che il lodo "ha accolto le cinque domande sulla base del presupposto che i lavori come contrattualmente previsti non sarebbero stati a regola d’arte a causa di carenze progettuali", qualora non si fossero apportate le varianti in concreto eseguite dall’appaltatrice.

Non è quindi negata la natura risarcitoria dell’azione di Impresa s.p.a. nella qualità, che del resto risultava espressa in. ciascuna delle cinque riserve, come prima delle causae petendi alternative delle domande dell’associazione, essendo richiesti i pagamenti di cui alle cinque riserve, "occorrendo a titolo risarcitorio, ovvero in via subordinata ex art. 2041 c.c., ovvero in via gradatamente subordinata ex art. 2043 c.c., il tutto oltre gli interessi, anche anatocistici, legali e moratori ed alla rivalutazione monetaria come per legge" (così la riproduzione testuale delle riserve per cui è causa nel controricorso dell’ANAS s.p.a., a pag. 4).

Anche a non rilevare che le riserve di cui al R.D. n. 850 del 1895, art. 54, comma 3, sono previste solo per indennità e per compensi suppletivi e non riguardano le azioni risarcitorie, comunque nel merito si è esattamente affermato, con rilievo assorbente di ogni altra questione, che, nel corso dei lavori, nessuna variante può apportarsi ai progetti a base del contratto da eseguire, senza previa autorizzazione del committente pubblico (sulla necessità di un nuovo appalto in caso di varianti rilevanti cfr. Cass. 13 maggio 2011 n. 10663). Tale regola è espressamente sancita dalle norme applicate dalla Corte d’appello ( art. 1660 c.c., L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 342-343, all. F, R.D. n. 350 del 1895, art. 20 e art. 829, nella versione ratione temporis applicabile successiva alla riforma del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, dopo la quale si è proposta la domanda di arbitrato).

L’appaltatrice, anche se vi fossero state le carenze progettuali di cui alla domanda di lodo, comunque non poteva variare il progetto esecutivo oggetto della disciplina di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16 senza applicare l’art. 25 della stessa legge che, alla lettera e del primo comma, ammette le varianti in corso d’opera "per il manifestarsi di errori e omissioni del progetto esecutivo", stabilendo per tale fattispecie che "il direttore dei lavori è tenuto a dare, senza ritardo, comunicazione al responsabile del procedimento che ne da immediatamente notizia all’Autorità e al progettista". In particolare, esattamente si afferma a pag. 9 della sentenza oggetto di ricorso che "non è stato neppure allegato che l’appaltatrice abbia segnalato per tempo al direttore dei lavori le lacune del progetto e i mezzi per porvi rimedio nè che il direttore dei lavori abbia avvisato il committente e poi, previa deliberazione di quest’ultimo, abbia autorizzato le lavorazioni aggiuntive".

Come chiarito dalla L. n. 109 del 1994, applicabile alla fattispecie ratione temporis, in caso di errori o carenze degli elaborati progettuali forniti dal committente nei lavori pubblici, la stazione appaltante può autorizzare variazioni del progetto e dei lavori, che l’appaltatore non può porre in essere senza consenso del committente, salvo il caso di indifferibilita e urgenza delle varianti stesse (cfr. in tal senso, fra molte, con la cit. Cass. n. 10663/2011, Cass. 8 luglio 2009 n. 16046 e Cass.. 2 aprile 2008 n. 8512).

Pertanto, se inadempimento vi è stato nell’esecuzione del contratto di appalto oggetto di causo, questo è costituito dalla condotta dell’A.T.I. appaltatrice, che non ha chiesto all’ANAS s.p.a. le necessarie autorizzazioni alle varianti poste in essere, in mancanza di ragioni di necessità e urgenza. Quanto poi alla esistenza di carenze progettuali che avrebbero imposto l’aumento dei consumi di calcestruzzo a base della domanda di pagamento in questa sede, la corte di merito rileva in sede rescissoria che, nella fattispecie, la capogruppo dell’A.T.I., odierna ricorrente si era obbligata a non avanzare richieste di modifiche dei progetti, avendo già eseguito una parte dei lavori di escavazione e realizzazione di circa novecento metri della galleria, il cui completamento per altri settecento metri era stato oggetto del presente appalto. L’aumento di consumo del calcestruzzo dovuto al progetto modificato di completamento dei lavori, se derivato da carenze o errori dell’elaborato progettuale esecutivo di cui l’impresa non poteva che avere perfetta conoscenza, potendone rilevare eventuali errori per avere già eseguito il primo lotto della medesima galleria, non può dare diritto a maggiorazione del prezzo dei lavori, in mancanza della previa autorizzazione al maggiore uso di materiali dalla stazione appaltante. In tale contesto è chiara pure la ragione per la quale l’impresa si era impegnata a non chiedere modificazioni progettuali, sul presupposto della conoscenza del lavoro da farsi non diverso, in sostanza, da quello già eseguito per realizzare la prima parte dei lavori da proseguire con le medesime o analoghe modalità.

L’esecuzione a regola d’arte della galleria, se non realizzabile con il progetto originario dei lavori, dava diritto all’impresa di chiedere all’ANAS s.p.a. l’autorizzazione alla variazione, non chiesta nel caso, per cui nessun obbligo aveva la committente di pagare il corrispettivo dei lavori da essa non autorizzati nè approvati.

Non sono stati violati della L. n. 104 del 1999, gli artt. 16 e 25, nè tanto meno le norme sulla esecuzione degli appalti pubblici applicate, – dalla sentenza impugnata, che esattamente ha ritenuto che l’appaltatrice avrebbe dovuto fare istanza alla direzione dei lavori, per potere procedere a lavori aggiuntivi ed essendo di merito e non valutabili in cassazione le osservazioni del ricorso sulla eventuale urgenza dei lavori di cui alla variante e sul finanziamento di essi.

2.2. Il secondo motivo di ricorso risulta già deciso con il rigetto del primo ed è destinato a sorte analoga, avendo riguardo al rescissorio piuttosto che al rescindente.

L’inadempimento preteso della committente nella progettazione del completamento della galleria in nessun caso poteva consentire le varianti poi eseguite, senza autorizzazione o approvazione della committente, per le ragioni di cui al motivo che precede; non essendosi neppure dedotte ragioni di indifferibilità e urgenza dei lavori eseguiti che avrebbero potuto giustificare la condotta dell’A.T.I., il secondo motivo di ricorso resta assorbito dal rigetto del primo.

2.3. Il rigetto dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento anche del terzo sulla disciplina delle spese.

3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi e per la soccombenza, le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico della ricorrente, liquidandosi in favore della controricorrente, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di cassazione alla controricorrente, che liquida in Euro 10.200,00 (diecimiladuecento/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese prenotate a debito.

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