Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28-09-2011) 13-10-2011, n. 36937 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Verbania, con provvedimento in data 8.2. 2011.respingeva la proposta di applicazione concordata della pena proposta nell’interesse di M.P., ritenendo il fatto diverso rispetto a quello descritto nel capo d’imputazione, in relazione al quale le parti avevano raggiunto il consenso, dovendo ascriversi all’imputato il delitto di ricettazione di tutta la merce indicata nel processo verbale di sequestro, disponendo la trasmissione degli atti al PM. Proponeva ricorso per cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Verbania, rilevando l’abnormità della provvedimento che determina la regressione del procedimento.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il giudice del "patteggiamento" può modificare la qualificazione giuridica data dal Pubblico Ministero al fatto per cui si procede, in quanto l’esatta attribuzione del "nomen juris" è connaturale all’esercizio della giurisdizione (Sez. 3, Sentenza n. 1803 del 01/12/2010 Ud. (dep. 20/01/2011) Rv. 249334; Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996 Cc. (dep. 22/10/1996) Rv. 205617).

In tema di applicazione della pena concordata, poichè tale rito speciale comporta un accordo sulla pena, ma non anche sul fatto- reato, il giudice ha l’obbligo di procedere "ex officio" a verifica non meramente formale (limitata cioè alla esattezza della qualificazione giuridica del fatto e dunque alla correttezza estrinseca della imputazione), ma anche sostanziale e specifica, vale a dire estesa alla fattispecie concreta quale emerge dagli atti; con la conseguenza che dovrà essere dichiarata inammissibile la richiesta di patteggiamento, non solo nel caso di inesatta qualificazione giuridica del fatto contestato, ma anche nel caso di errore sul "nomen iuris", originato dalla contestazione di un fatto diverso da quello risultante dagli atti. D’altra parte, dall’obbligo di correlazione tra imputazione e sentenza, applicabile anche nei procedimenti speciali, consegue che, quando il giudice ritenga di dover pervenire a diversa qualificazione giuridica del fatto, non potendo egli modificare l’imputazione, deve respingere la richiesta e procedere con rito ordinario, mentre, quando egli accerti la diversità del fatto, deve necessariamente restituire gli atti al P.M. (Sez. 5, Sentenza n. 467 del 26/01/1999 Cc. (dep. 30/03/1999) Rv. 213185).

La verifica della corrispondenza tra imputazione sentenza costituisce il principio generale dell’ordinamento, valevole anche nel caso di giudizio abbreviato.

In base alla giurisprudenza di questa Corte va escluso ogni profilo di abnormità del provvedimento quando si sia in presenza di un provvedimento del giudice emesso nell’esercizio del potere di adottarlo, salvo il caso limite che ad esso consegua la stasi del procedimento per l’impossibilità da parte del P.M. di proseguirlo senza concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del procedimento. (Sez. U, Sentenza n. 25957 del 26/03/2009 Cc. (dep. 22/06/2009) Rv. 243590).

Non è, quindi, abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento disponga la trasmissione degli atti al P.M., avendo verificato la mancata corrispondenza delle imputazione ai fatti.

Indipentemente dalla sua correttezza giuridica, il provvedimento è stato emesso nell’esercizio del potere di verifica che costituisce espressione di un potere riconosciuto al giudice dall’ordinamento e, quindi, non può essere qualificato abnorme anche se esso sia stato male esercitato in quanto il cattivo esercizio del potere può al più sfociare in un atto illegittimo, ma non in un atto abnorme.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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