Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-03-2012, n. 4566 Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1875/05, il Tribunale di Nola accoglieva la domanda per quanto di ragione, e condannava il Comune di Marigliano a corrispondere alla Cogin sas la somma di Euro 588.374, 17 oltre interessi legali dal 16 dicembre 2003 al soddisfo.

Avverso detta sentenza proponeva appello il comune di Marigliano.

Resisteva la Cogin sas.

Con sentenza n. 3193/10, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento sia dell’appello principale proposto dal Comune, sia di quello incidentale proposto dalla società, in riforma dell’impugnata sentenza, condannava il Comune a pagare alla Società CO.G.IN. la somma di Euro 276.473, 47, con gli interessi legali.

Con ricorso notificato in data 25.01.2011, la COGIN (divenuta S.p.a.) ha richiesto sulla base di tre motivi la cassazione della predetta sentenza.

Resiste con controricorso il comune di Marigliano.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente assume che la Corte napoletana avrebbe errato nel non riconoscere il diritto soggettivo alla revisione prezzi, inserita nello stato finale come riserva n. 4, poichè avrebbe omesso di considerare che siffatto diritto trovava un fondamento negoziale nel contratto di appalto n. 3023 del 20.05.1.94, nonchè in precedenti delibere consiliari, sicchè non poteva essere degradato a mero interesse legittimo.

Peraltro, secondo la società ricorrente, il Comune non avrebbe mai sollevato, sino alla comparsa conclusionale di secondo grado, osservazioni circa la quantificazione della contestata revisione operata dalla CTU, essendosi limitato soltanto a contestare l"’an debeatur dei compensi" ulteriori reclamati dall’appaltatore; mentre il Giudice a quo avrebbe rilevato motu proprio l’erroneità della consulenza d’ufficio, totalmente appiattita sui conteggi di controparte.

Con il secondo motivo di ricorso deduce che la Corte territoriale sarebbe incorsa "in errore di giudizio", ritenendo tardiva la relativa riserva, "allorchè aderendo alla tesi del Comune afferma che il maggior quantitativo di betonile era conoscibile sin dalla gettata dei primi pali"; il ricorrente continua assumendo che "l’errore di giudizio si manifesta nella scissione irrazionale nella fattispecie dannosa ripartita nella sola percezione della maggiore profondità dello scavo, laddove la pretesa reintegratoria investiva la globale quantità di betonile, conoscibile con la ordinaria diligenza solo a conclusione della frazione prestazionale, correttamente ritenuta tempestiva dal C. T. Uè dal Giudice di primo grado". Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ritiene tardiva anche la riserva per anomalo andamento del lavoro, atteso che la stessa sarebbe stata impedita dal periodo di sospensione dei lavori ed in maniera frettolosa la Corte avrebbe "collegato l’onere di tempestiva iscrizione della riserva alla data di nomina del collaudatore statico e di deposito presso l’ufficio del Genio civile", senza considerare che "la pendenza delle trattative sulla richiesta di proroga determina invero incertezza sull’assetto sulla durata del rapporto contrattuale e sulle ricadute economiche dell’anomalo andamento dei lavori".

Con il terzo motivo di ricorso l’impresa ricorrente assume il diritto ad ottenere il maggior danno ex art. 1224 da ritardo nel pagamento anche in presenza di un appalto pubblico regolato dalla disciplina del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35.

Il primo motivo è inammissibile.

La società ricorrente sostiene il proprio diritto a vedersi riconosciuta la revisione prezzi sulla base di una serie di documenti costituiti in primo luogo dal contratto rep. 3023 del 1994, ed, inoltre, dalle Delib. Consiliari n. 23 del 1993 e 1430 del 1990 nonchè da certificati di pagamento che includerebbero i compensi revisionali.

Il testo di tali atti non risulta peraltro riportato nel ricorso in violazione del principio di autosufficienza.

Inoltre a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, la nuova previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. (Cass. 20535/09; Cass. sez un 7161/10). Il mancato adempimento di tali obblighi rende il motivo non scrutinabile in questa sede di legittimità.

Il secondo motivo è infondato e per certi aspetti inammissibile. Va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che in tema di appalti assoggettati a disciplina pubblicistica, l’appaltatore che, in relazione a situazioni sopravvenute, intenda far valere pretese relative a compensi aggiuntivi rispetto al prezzo contrattuale ha l’onere di inserire, nella contabilità, formali riserve entro il momento della prima iscrizione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle vantate ragioni, e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non immediata portata onerosa, la potenzialità dannosa delle quali si presenti, peraltro, già dall’inizio obbiettivamente apprezzabile – secondo criteri di media diligenza e di buona fede – e consenta, pertanto, una corretta valutazione della situazione in base ai dati disponibili, onde segnalare, conseguentemente, alla parte committente il presumibile, maggiore esborso da affrontare (salvo poi a precisarne la relativa entità nelle registrazioni successive – o in sede di chiusura del conto finale – se la quantificazione sia, al momento, impossibile). (Cass. 13399/99, 2097/80; 394/79; 726/78;

21/78; 4430/77; 476/81).

A tali principi si è correttamente attenuta la Corte d’appello, la cui decisione in punto di diritto risulta del tutto corretta.

Quanto alla contabilizzazione del compenso per l’uso di betonite ha rilevato sulla base della CTU che il maggior uso di tale materiale si era evidenziato fin dalla fase di scavo, essendo risultato che la profondità dei pali era risultata maggiore di un metro e mezzo rispetto a quella originariamente indicata e che conseguentemente era evidente che per la gettata dei pali sarebbe stata necessaria una maggiore quantità di betonite e ciò si doveva rilevare fin dalla prima gettata degli stessi. Ciò comportava che la riserva avrebbe dovuto essere iscritta già nel primo stato di avanzamento.

Tale motivazione risulta assolutamente logica e basata sulle risultanze oggettive della consulenza tecnica, onde la stessa non è sindacabile in questa sede di legittimità.

Quanto poi alla tardività della riserva per anomalo andamento dei lavori per tutto il periodo tra la consegna dei lavori (14 giugno 1994) fino al 23 settembre 1994, data di deposito del progetto al genio civile, che risulta proposta solo il 22 marzo 1996 con lo stato finale dei lavori, la Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui l’onere dell’appaltatore di formulare tempestiva riserva di maggiori compensi o indennizzi rispetto al corrispettivo pattuito, sorge nel momento in cui si evidenziano degli elementi che comportano, secondo indici di media diligenza e buona fede, un aggravio di spesa a suo carico.

Pertanto, in relazione ai fatti produttivi di danno continuativo, la riserva va iscritta contestualmente o immediatamente dopo che detti fatti abbiano evidenziato una potenzialità dannosa, percepibile con la normale diligenza, mentre il "quantum" può essere successivamente indicato.

In osservanza di detti principi la Corte d’appello ha rilevato la tardività della iscrizione a riserva avvenuta non solo dopo che i fatti produttivi del danno continuativo avevano iniziato a produrre i loro effetti ma addirittura circa un anno e mezzo dopo che gli stessi erano cessati.

Anche in tal caso trattasi di una motivazione del tutto adeguata sotto il profilo logico e fattuale e come tale non sindacabile in questa sede di legittimità.

Sotto altro profilo, entrambe le censure che la società ricorrente avanza nei confronti delle due esposte argomentazioni della Corte d’appello tendono a proporre delle censure sul merito della decisione e non possono quindi trovare ingresso avanti questa Corte.

Il terzo motivo è infondato.

Questa Corte ha in ripetute occasioni affermato che in tema di pagamento di corrispettivi dovuti per opere pubbliche, gli interessi moratori, calcolati nella misura prevista dal D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35, comma 1, devono ritenersi comprensivi anche del maggior danno ex art. 1224 cod. civ., e, conseguentemente satisfattivi di ogni ulteriore pregiudizio da ritardo nell’adempimento, atteso che la norma, a carattere speciale, si sostituisce alla disciplina generale codicistica. (Cass. 19960/11;

Cass. sez. un. 27186/07).

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in 3000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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