Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-03-2012, n. 4563

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 7.03.1989, D., T. e G.G., nonchè M.M., premesso di essere, i primi tre, comproprietari e, il quarto, colono del fondo sito in territorio di (OMISSIS), dell’estensione di circa Ha. 1, coltivato ad agrumeto, adivano il Tribunale di Palmi chiedendo la condanna del Comune di Palmi al pagamento delle indennità "da occupazione" spettanti e al risarcimento dei danni subiti, oltre interessi e rivalutazione. Esponevano che, in base al decreto n. 19674 dell’8 gennaio 1982, il Comune di Rosarno aveva occupato in via temporanea e d’urgenza, in data 8 gennaio 1983, una parte di detto fondo, estesa circa mq 5.000, per la costruzione di n. 24 alloggi di edilizia popolare, che successivamente, avviata la fase esecutiva del progetto, il medesimo ente aveva anche provveduto alla recisione dell’agrumeto, alla eliminazione della stradella d’ingresso ed alla trivellazione del terreno per la realizzazione di un pozzo, e che l’occupazione era divenuta illegittima essendo scaduto il relativo termine ed inutilmente scaduto anche il termine per il completamento della procedura espropriativa.

Con sentenza n. 302 del 7.05.2002, l’adito Tribunale, in base anche all’esito della disposta CTU ed ai ripetuti chiarimenti resi dall’esperto d’ufficio, in parziale accoglimento della domanda introduttiva, condannava il Comune convenuto alla restituzione del terreno agli attori ed al risarcimento dei danni in favore soltanto dei germani G., liquidati nella misura di Euro 15.413,14 ammessa dallo stesso convenuto, oltre rivalutazione e interessi, compensando le spese processuali.

Contro la sentenza di primo grado proponevano appello i G. ed il M., cui resisteva l’ente appellato, a sua volta eccependo la prescrizione dell’azionato credito risarcitorio.

Con sentenza del 21-28.06.2010, la Corte di appello di Reggio Calabria, accoglieva nei precisati limiti l’appello dei G. e del M. e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condannava il Comune a pagare ai germani G. la complessiva somma di Euro 29.786,07 nonchè al M. la somma di Euro 12.233,95, in entrambi i casi oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT ed oltre interessi da calcolarsi, al tasso legale, sulle predette somme previamente devalutate all’epoca del verificarsi del danno (30 settembre 1983) e, quindi, via via rivalutate, anno per anno, fino al soddisfo (o, in mancanza, fino al passaggio in giudicato della presente sentenza).

La Corte territoriale osservava e riteneva:

– che doveva essere disattesa l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune, giacchè:

a) gli appellanti avevano documentato l’esistenza di idoneo atto interruttivo costituito dalla notifica di un precedente atto di citazione, di identico contenuto rispetto a quello dell’atto introduttivo del presente giudizio (ma poi, a differenza di quest’ultimo, non seguito dall’iscrizione a ruolo della causa), notificato da G.G. (dante causa dei germani G. odierni appellanti) e da M.M. al Comune di Rosarno in data 11 gennaio 1988;

b) era pacifico in causa, che l’immissione nel possesso del terreno de quo da parte dell’amministrazione occupante risaliva all’8 gennaio 1983, ed anche ad ammettere (come per vero sembravano avere fatto gli stessi appellanti) che la radicale immutazione dei luoghi fosse stata avviata subito dopo, appariva certamente da escludere che essa, considerata l’estensione del terreno e la natura delle attività poste in essere (abbattimento di un agrumeto esteso per circa 5000 mq, eliminazione di una stradella e di un muro di recinzione, trivellazione, in più parti, del terreno medesimo), potesse essersi conclusa in data anteriore all’11 gennaio 1983;

c) appariva pertanto più ragionevole presumere che il menzionato atto di citazione fosse stato notificato prima che, a far data appunto dalla completa maturazione dei danni, fosse compiuto il termine prescrizionale di cinque anni;

d) in ogni caso, spettava al Comune dare prova del contrario (ossia vincere tale ragionevole presunzione, dimostrando l’ultimazione delle attività demolitive anteriormente all’11 gennaio 1983).

– che fossero invece fondati nei precisati limiti i motivi di gravame dedotti dai G. e dal M.;

– che in particolare meritavano favorevole apprezzamento:

a) i primi due motivi con cui gli appellanti avevano dedotto che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto inidonea a dimostrare l’entità dei danni, segnatamente rappresentati dalla perdita della produttività dell’agrumeto nel periodo intercorso tra la data dell’occupazione e quella del prevedibile ripristino produttivo del nuovo agrumeto piantato nel 1993, nonchè dalla demolizione del muro di recinzione, dal danneggiamento dei due fabbricati esistenti sul fondo e dall’eliminazione della strada poderale, la stima operata dal consulente tecnico d’ufficio e così finito per liquidare i pregiudizi in questione sulla base delle valutazioni del consulente tecnico di parte avversa. Infatti, il principio – in sè certamente condivisibile e fermo in giurisprudenza – secondo cui la c.t.u. non poteva mai essere utilizzata per sollevare una delle parti dall’onere della prova su di essa incombente, appariva essere stato erroneamente richiamato nella fattispecie atteso che, in realtà, quell’onere doveva ritenersi adeguatamente assolto con la prova (documentale) offerta dagli attori e segnatamente con il verbale di consistenza del fondo redatto al momento dell’immissione in possesso, dal quale erano desumibili elementi sufficienti per risalire con ragionevole certezza, raffrontata la situazione ivi descritta a quella direttamente percepita dall’ausiliario, non solo all’an del danno ma anche al quantum, almeno per buona parte delle voci dedotte, ed in particolare con esclusione del costo di reimpianto dell’agrumeto;

b) il terzo ed il quarto motivo inerenti alla decorrenza data agli interessi compensativi da ritardo ed al determinato loro tasso annuale;

d) il quinto motivo dedicato alla posizione del M. e volto a censurare il rigetto della domanda da questi proposta, anch’esso da accogliere in ragione della prodotta documentazione, ma limitatamente al danno rappresentato dalla mancata percezione di reddito dall’agrumeto, quantificabile in una percentuale del 48%.

Avverso questa sentenza il Comune di Rosarno ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 30.11.2010, cui hanno resistito sia i C. che il M., con controricorsi notificati l’8.01.2011.

Motivi della decisione

Preliminarmente in rito, va dichiarata l’inammissibilità del controricorso del M.. Al controricorso si applica, infatti, la disposizione dell’art. 365 cod. proc. civ., in base alla quale si richiede a pena di inammissibilità – rilevabile d’ufficio indipendentemente dall’eccezione della parte interessata, il cui eventuale comportamento acquiescente rimane irrilevante – la sottoscrizione dell’atto da parte di avvocato iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale; in particolare, il requisito di specialità della procura implica l’esigenza che questa riguardi, "ex professo", il giudizio di legittimità sulla base di una valutazione della sentenza impugnata. Ne consegue come necessario corollario che la procura non può considerarsi speciale se rilasciata in data precedente a quella della sentenza da impugnare, e, pertanto, che è inammissibile un controricorso sottoscritto, come quello in esame, da difensore che si dichiari legittimato da procura a margine dell’atto di citazione o della comparsa di primo grado (cfr. tra le altre, cass. n. 2125 del 2006). Sempre in via preliminare va aggiunto che essendo stata la sentenza impugnata depositata il 28.06.2010, non è applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c., in tema di formulazione dei motivi (L. n. 60 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d) e art. 58, comma 5. In tema, cfr cass n. 7119 del 2010) A sostegno del ricorso il Comune di Rosarno denunzia:

1. "Violazione dell’art. 2947 c.c., comma 1".

Sostiene che il diritto al risarcimento avrebbe dovuto ritenersi estinto per prescrizione l’8 gennaio 1983, non essendo stata la relativa azione esercitata nei termini di legge previsti dalla rubricata norma, dal momento che l’atto di controparte, contrariamente a quanto sostiene la Corte reggina, si sarebbe potuto considerare valido ai fini dell’interruzione della prescrizione, soltanto se fosse intervenuto durante il corso della prescrizione, non quando invece la stessa era già maturata ex art. 2947 c.c., comma 1 e che il diritto relativo al risarcimento per i danni subiti dall’8 gennaio 1983 all’11 gennaio 1988, doveva ritenersi estinto per intervenuta prescrizione. Il motivo è inammissibile giacchè non inerisce alla ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui nel caso, quale quello di specie, di responsabilità extracontrattuale, la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento, danno che la Corte distrettuale ha argomentatamente datato ad epoca non anteriore all’11 gennaio 1983. 2. "Violazione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.".

Relativamente ai danni derivati dall’apprensione del bene, il Comune censura il recepimento delle conclusioni della CTU, sostenendo che sarebbe stato onere delle parti richiedenti, ovvero dei resistenti, fornire i riscontri non solo della fondatezza della domanda, ma anche della quantificazione dei pregiudizi subiti, e, dunque, documentare sia il mancato reddito attraverso il reddito medio percepito durante gli anni anteriori all’occupazione del bene da parte del Comune, sia le spese necessarie per il reimpianto dell’agrumeto e per il ripristino dei fabbricati, il cui stato di manutenzione, già all’epoca dell’immissione nel possesso, "lasciava molto a desiderare". Sottolinea che il CTU non ha mai esibito alcuna prova fotografica sullo stato effettivo dei luoghi al momento del proprio sopralluogo peritale, nè tantomeno documentato il reddito prodotto dall’agrumeto durante gli anni immediatamente precedenti l’occupazione del suolo da parte del Comune di Rosarno, al fine di stabilire il reddito effettivo dell’agrumeto percepito dai resistenti. Deduce conclusivamente che stante la violazione dell’onore probatorio, la Consulenza di Ufficio è affetta da nullità e le relative conclusioni sono state erroneamente avallate dalla Corte di Appello reggina. Il motivo non ha pregio, in quanto in parte attiene al costo del reimpianto dell’agrumeto che risulta espunto dall’attribuito ristoro e per il residuo si fonda sulla premessa, smentita dal contenuto dell’impugnata pronuncia, del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sui ricorrenti, nonchè su infondate critiche rivolte alla CTU, dal momento che l’esperto d’ufficio appare avere irreprensibilmente assolto il suo compito, mantenendosi nei limiti dell’incarico conferitogli, essendosi limitato a verificare i riflessi economici dei danni dimostrati dai deducenti, con valutazione condotta in base ad oggettivi criteri tecnici e formule scientifiche di commisurazione, in rapporto alla acquisita documentazione sull’an, integrata dai rilievi da lui personalmente compiuti sul sito.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del Comune di Rosarno soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti G., liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Rosarno a rimborsare ai G. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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