Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-09-2011) 13-10-2011, n. 36911

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’appello di Ancona ha interamente confermato la condanna inflitta a F.L. dal Tribunale di Urbino alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa per i reati di truffa, ricettazione, falsità in titoli di credito e tentata estorsione.

Avverso la sentenza d’appello il F. propone personalmente ricorso per cassazione, indicando a sostegno due violazioni della legge penale.

In particolare, col primo motivo di ricorso deduce che la falsità in titoli di credito non potrebbe concorrere con la ricettazione degli stessi, trattandosi comunque di un’unica condotta materiale – identificata dall’elemento comune di possedere e far uso del documento falso – per la quale si verrebbe a determinare una indebita duplicazione della pena.

Il secondo motivo attiene, invece, alla violazione degli artt. 640 e 629 c.p., Al riguardo il F. osserva che le due condotte criminose non potrebbero concorrere fra di loro, in quanto le relative condotte sono antitetiche e si escludono a vicenda: l’una richiede l’artifizio o il raggiro, l’altra invece la violenza.

Il ricorso è inammissibile.

Con riguardo al primo motivo basta osservare che non vi è alcun rapporto di continenza fra le fattispecie criminose descritte dall’art. 648 (ricettazione) e dagli artt. 491 e 485 c.p., (falsità in titoli di credito), sicchè non si pone un problema di reciproca alternatività o di specialità. Il fulcro naturalistico della prima condotta è rappresentato dall’acquisto dalla ricezione o dall’occultamento, mentre nel secondo delitto l’azione qualificante è costituita dalla formazione di una scrittura falsa o dalla alterazione di una scrittura vera. E’ dunque del tutto irrilevante la circostanza che per compiere la falsificazione sia necessario che l’autore abbia il previo possesso dei titoli di credito: tale possesso costituisce un antefatto non punibile rispetto alla fattispecie di cui agli artt. 491 e 485 c.p., ed è del tutto irrilevante – anche nella prospettiva di cui all’art. 648 c.p. – se il titolo di credito non è di provenienza delittuosa. Tali considerazioni sono assorbenti rispetto all’ulteriore rilievo che, stante la diversità dei beni penalmente protetti dalle due fattispecie, in ogni caso si farebbe luogo ad un concorso formale fra i reati.

Il secondo motivo di ricorso risulta invece viziato in radice da un errore logico: l’ipotesi di truffa contestata all’imputato e quella di estorsione riguardano due condotte autonome perfezionatesi in momenti successivi, in quanto il secondo fatto delittuoso è stato posto in essere per dissuadere la persona offesa dal presentare querela rispetto al Primo reato. E’ quindi evidente che la questione posta dal ricorrente è priva, innanzitutto di qualsivoglia aderenza ai fatti contestati.

Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile.

Potendosi ravvisare profili di colpa nell’inammissibilità del ricorso, l’imputato va condannato al pagamento di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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