Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-09-2011) 13-10-2011, n. 36908

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il g.u.p. presso il Tribunale di Palermo, con sentenza del 1 ottobre 2008, ha ritenuto D.P.F. colpevole, in concorso con terzi, del reato estorsione in danno di M.F.. Tale sentenza è stata interamente riformata dalla Corte d’appello competente che, in data 26 maggio 2010, ha assolto l’imputato dai reati ascrittigli, considerando che dal materiale probatorio (costituito per la quasi totalità da intercettazioni telefoniche) non si ricava che il D.P. abbia mai rivolto alla persona offesa la minaccia che se non gli avesse pagato del denaro non avrebbe mai più rivisto la sua moto.

Avverso l’assoluzione ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale presso la Corte d’appello di Palermo, denunciandone il vizio di motivazione. In particolare, osserva il P.G. che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare il contenuto della telefonata intercettata alle ore 18,20 del 2 dicembre 2003, nel corso della quale si discuteva del compenso preteso dall’imputato per essersi adoperato nel far ritrovare la motocicletta rubata al M..

Osserva inoltre il P.G. che l’elemento della minaccia sarebbe in questi casi inevitabilmente latente.

Il ricorso è inammissibile, in quanto contiene unicamente censure di merito con prospettazioni alternative; censure che quindi, essendo in punto fatto, non possono trovare ingresso in questa sede.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.p., lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche.

La corte d’appello, in particolare, ha tenuto in ampia considerazione la conversazione telefonica del 2 dicembre 2003, ore 18,20, il cui contenuto è interamente trascritto in sentenza; tuttavia, di tale conversazione, dal tenore obiettivamente equivoco anche a causa di numerose frasi incomprensibili, offre una interpretazione diversa da quella proposta dal P.G. ricorrente e conclusivamente osserva "dunque, la somma per la restituzione del bene non venne pagata, nè richiesta, prima della restituzione del motoveicolo al M.".

Il che porta all’affermazione finale secondo cui "viene dunque a mancare la prova certa che una minaccia, sia pure implicita, sia stata rivolta alla parte offesa e, in presenza di un profitto che è costituito da una regalia, se ne deve concludere che, difettando uno degli elementi costitutivi del delitto dì estorsione, esso non può ritenersi sussistente".

Il ricorso si limita a proporre una lettura alternativa degli elementi di fatto emersi nel corso dell’istruttoria. Si tratta di doglianze attinenti al merito della decisione, che non danno luogo a censure che possano trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

Il ricorso è quindi inammissibile.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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