Cass. pen., sez. III 04-04-2006 (22-02-2006), n. 11909 PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO – PRODOTTI ALIMENTARI – Responsabilità del titolare dell’azienda – Delega di funzioni – In azienda a struttura semplice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13 maggio 2004, il Tribunale di Salerno, in composizione monocratica, ha riconosciuto R? M? colpevole della contravvenzione di cui all’art. 81 cpv. c.p. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b), per avere posto in vendita, in data 2 novembre 2001, in qualità di legale rappresentante del supermercato Cosm Fiduciaria s.r.l. sito in Salerno alla via Acquasanta, tre confezioni di vino da tavola marca "Tavernello" con scadenza di validità nel 2000 e all’inizio del 2001, in cattivo stato di conservazione, condannandola alla pena di Euro 300,00 di ammenda.

Al riguardo, il giudice dichiara di aderire all’orientamento delle S.U. di questa Corte (sentenza del 4 gennaio 1996 n. 1) che esclude l’equiparazione tra la situazione di validità scaduta di un determinato prodotto e quella di cattiva conservazione dello stesso, ma osserva che nel caso di specie vi era stata una modificazione organolettica del sapore e del colore dovuta a cattivo stato di conservazione delle confezioni di vino: era infatti risultato che era in corso una ristrutturazione del supermercato per cui la merce era stata ripetutamente spostata e rimessa sui banchi e inoltre il perito aveva attribuito il deterioramento ad una probabile cattiva conservazione della merce.

Da ciò la valutazione di sussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato nonché della colpevolezza dell’imputata, per violazione del dovere di diligenza.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore, lamentando il mancato rilievo da parte del giudice di merito della nullità del decreto di citazione a giudizio, eccepita dalla difesa all’udienza del 9 febbraio 2004, deducendo la mancanza di requisiti di cui all’art. 552 c.p.p., lett. d), che avrebbero impedito alla imputata di partecipare all’udienza. In particolare, deduce che nel decreto non era stato indicato in quale dei quattro piani e in quale aula si sarebbe tenuta l’udienza; e non ritiene soddisfacente la risposta del giudice, secondo la quale l’aula dell’udienza era indicata in un foglio affisso presso la cancelleria della sezione, in quanto ella non era tenuta a conoscere la circostanza, recandosi in cancelleria.

Con altro motivo l’imputata lamenta la mancata sospensione del processo ai sensi della L. n. 134 del 2003, art. 5, motivata col fatto che l’udienza in cui questa era stata richiesta, il 9 febbraio 2004, non sarebbe stata la prima utile dopo l’entrata in vigore della suddetta legge; al riguardo, l’imputata deduce l’erroneità di tale motivazione, in quanto prima dell’udienza del 9 febbraio 2004 c’era stata un’udienza di mero rinvio per la disposta nuova notifica all’imputato del relativo avviso e una successiva, ancora di mero rinvio, da parte del G.O.T., in quanto il giudice titolare del processo era a tale data impedito.

Con un ulteriore motivo, la ricorrente censura il fatto che il giudice non abbia tenuto conto della sua estraneità al fatto, quantomeno quanto all’elemento soggettivo, poiché, essendo amministratrice e legale rappresentante della società che gestisce un supermercato di 26 dipendenti, non era certamente addetta alla sistemazione degli scaffali nè poteva seguire personalmente l’esecuzione dei relativi lavori.

Infine, la ricorrente deduce che, non essendo risultata dall’istruttoria alcuna alterazione di natura chimica dei prodotti in questione, ma solo una modificazione organolettica del gusto e del colore, senza implicazioni di tipo nocivo, la conclusione che la sostanza sarebbe stata tenuta in cattivo stato di conservazione sarebbe del tutto illogica.

L’imputata conclude pertanto chiedendo l’annullamento, in principalità senza rinvio e in subordine con rinvio, della sentenza impugnata.

In estremo subordine chiede la riduzione della pena e la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziario.

Motivi della decisione

Col primo motivo di ricorso, l’imputata censura la sentenza impugnata per non aver rilevato la nullità per indeterminatezza del decreto di citazione a giudizio, il quale non aveva indicato il piano e l’aula in cui si sarebbe tenuta l’udienza.

Il motivo è infondato.

La norma del codice di rito invocata dalla difesa della ricorrente stabilisce infatti (art. 552 c.p.p., comma 2) che il decreto è nullo se manca o è insufficiente l’indicazione, tra gli altri, dell’elemento indicato alla lett. d) del comma precedente, in particolare "del luogo, del giorno e dell’ora della comparizione". Poiché nel caso in esame il decreto indicava oltre al giorno a all’ora dell’udienza, anche la sezione del Tribunale di Salerno che avrebbe celebrato il processo, ciò appare, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, del tutto sufficiente per l’individuazione della relativa aula in un edificio di soli quattro piani e con la possibilità, menzionata anche dalla sentenza impugnata, di assumere, su di un piano di normale diligenza, informazioni presso la cancelleria della sezione ove per giunta era affisso un avviso contenente l’indicazione dell’aula. Col secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata in quanto avrebbe irragionevolmente respinto l’istanza di sospensione del processo, formulata dal difensore all’udienza del 9 febbraio 2004 ai sensi della L. n. 134 del 2003, art. 5, per consentire all’imputata di valutare l’opportunità di accedere al c.d. patteggiamento.

Anche tale motivo è infondato, avendo il giudice di merito adeguatamente motivato in proposito, rilevando come la prima udienza successiva all’entrata in vigore della L. 12 giugno 2003, n. 134, entro la quale era diritto dell’imputato di chiedere e ottenere, ai sensi della legge, art. 5, comma 2, la sospensione del processo per valutare l’opportunità di formulare la richiesta di cui all’art. 444 c.p.p., non era quella del 9 febbraio 2004, ma quella precedente del 18 dicembre 2003, in ragione del fatto che si era trattato di una udienza effettiva in cui, prima di disporre il rinvio, il G.O.T. aveva proceduto alle attività preliminari al dibattimento, con la dichiarazione della contumacia dell’imputata, per cui in tale sede avrebbe dovuto trovare ingresso l’istanza in parola. Col terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza in quanto non avrebbe adeguatamente valutato la propria estraneità al fatto di reato, in ragione della posizione di vertice rivestita e quindi dell’impossibilità di seguire personalmente l’esecuzione delle singole operazioni del supermercato, a maggior ragione le più banali, come quella relativa alla sistemazione della merce sugli scaffali.

In proposito, si rileva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il tema dell’eventuale delega di funzioni, espressa (cfr., ad es. Cass. sez. 3^ 26 maggio 2003 n. 22931) o implicita (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^ 28 aprile 2003 n. 19642), all’interno delle aziende, dai vertici verso le strutture intermedie e periferiche, assume normalmente rilievo sul piano della individuazione della responsabilità penale unicamente all’interno di strutture complesse, corrispondendo allora alla necessità di decentrare, in funzione partecipativa di professionalità ed esperienze differenziate, l’esercizio dei poteri di direzione e controllo dell’attività produttiva (così, implicitamente, anche le sentenze citate; come espressa condizione di legittimità della delega, cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^ 17 gennaio 2000 n. 422 e sez. 6^ 29 ottobre 1997 n. 9715).

Nel caso in esame, l’imputata non deduce neppure l’esistenza di una delega esplicita o implicita, ma si limita a rilevare che non rientrava tra i suoi compiti la movimentazione della merce sugli scaffali del supermercato (ritenuta, come vedremo, all’origine della accertata cattiva conservazione delle confezioni di vino), dimenticando peraltro che rientra nei compiti dell’amministratore di una società l’organizzazione dell’impresa e la vigilanza sull’intero andamento aziendale (Cass. sez. 3^ 9 luglio 2004 n. 36055), di cui è praticamente impossibile ipotizzare una delega anche solo parziale all’interno di una struttura semplice come appare essere il supermercato gestito dalla società di cui la ricorrente è amministratrice, alla stregua del resto delle indicazioni contenute nello stesso ricorso (supermercato con 24 dipendenti, di cui non è specificata l’eventuale organizzazione in del resto improbabili articolazioni complesse).

Il motivo appare pertanto infondato.

Col quarto motivo di ricorso l’imputata deduce la contraddittorietà della sentenza, laddove pur dando atto, sulla scia della relazione del chimico che aveva eseguito le analisi del prodotto, dell’assenza di mutamenti di natura chimica, aveva ritenuto provato che la sostanza era stata tenuta in cattivo stato di conservazione. Anche tale motivo è infondato.

Al riguardo va premesso che secondo la giurisprudenza delle S.U. di questa Corte (Cass. S.U. 9 gennaio 2002 n. 443), la contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è reato di pericolo presunto, ma di danno, in quanto persegue il fine di benessere, consistente nell’assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. In altri termini, l’interesse protetto dalla norma e leso dal comportamento punito va individuato nel rispetto di quello che è stato definito "ordine alimentare", ovvero quello del consumatore a che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. sez. 3^, 2 settembre 2004 n. 35828). Ciò premesso sull’argomento, va rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver rilevato l’alterazione organolettica del gusto e del colore del vino sequestrato e quindi la lesione del c.d. "ordine alimentare", con l’avvio di un processo degenerativo della bevanda, ne ha attribuito la causa al cattivo stato di conservazione del prodotto, ipotizzato come probabile dato causale anche dal perito chimico esaminato in giudizio e confermato dal fatto, emerso in giudizio, che il prodotto aveva subito nel passato una movimentazione anomala, in occasione di lavori di ristrutturazione che avevano interessato il supermercato.

Infine appare manifestamente infondata la richiesta di riduzione della pena, che il giudice ha contenuto in prossimità del minimo edittale e genericamente motivata quella di concessione del beneficio della non menzione.

Concludendo, il ricorso va pertanto rigettato, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese processuali, operato in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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