Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2012, n. 4545 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atti di citazione notificati tra il 16 ed il 26 ottobre 1999 F.M., presidente del collegio dei sindaci revisori dell’Ataf – Consorzio intercomunale dell’area fiorentina – esponeva che con lettera dell’11-8-1999 la Commissione di controllo sugli enti partecipati del Comune di Firenze, aveva richiesto la presenza del Collegio da lui presieduto in una riunione del 3 settembre successivo, invito respinto con fax del 31 agosto richiamandosi ad obblighi di riservatezza. Il 2 settembre 1999 su quattro quotidiani a tiratura nazionale (La Repubblica, l’Unità, La Nazione, il Giornale) veniva pubblicato il resoconto di una conferenza stampa indetta da membri della Commissione di Controllo, quali P.M., To.Ac. e T.F., cui partecipava Po.

N., ex Presidente della stessa Commissione. Deducendo che le dichiarazioni riportate dalla stampa lo avessero diffamato, il F. conveniva in giudizio i predetti per conseguire il risarcimento dei danni patiti. In esito al giudizio il Tribunale adito accoglieva la domanda attrice condannando i convenuti al pagamento in solido della somma di Euro 50.000,00 oltre interessi.

Avverso tale decisione il P., il To. ed il Po. proponevano appello, cui aderiva in seguito il T., ed in esito al giudizio, in cui si costituiva altresì il F. resistendo, la Corte di Appello di Firenze con sentenza depositata in data 16 dicembre 2009 in riforma della sentenza rigettava la domanda. Avverso la detta sentenza il F. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resistono con controricorso il P., il T. nonchè il To., che ha proposto a sua volta ricorso incidentale in due motivi. Tutte le parti hanno quindi depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

In via preliminare, va rilevato che sono riuniti il ricorso principale e quello incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Procedendo all’esame del ricorso principale, va rilevato che, con la prima doglianza articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 21 Cost., art. 51 c.p. e art. 2043 c.c.), il ricorrente F. ha censurato la sentenza impugnata deducendo che la Corte di Appello avrebbe violato i principi fissati in materia, esattamente quelli della verità e della continenza, sia quando ha valutato irrilevante il fatto – presupposto di tutte le invettive dei conferenzieri – che l’esistenza di una norma di legge o di una prassi che imponesse al F. di riferire alla Commissione fosse completamente falso, sia quando ha giudicato le invettive rivolte al F. contenute nei limiti della critica politica e non incidenti sulla reputazione personale e professionale, trascurando che la frase "Forse all’Ataf c’è qualcosa da nascondere".

Con la successiva doglianza, articolata sotto il profilo dell’omessa, ovvero erronea, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe omesso di verificare la sussistenza di tutti i presupposti necessari alla applicazione della scriminante della critica politica trascurando che non esisteva alcuna norma di legge nè alcuna prassi impositiva dell’obbligo di riferire alla Commissione di controllo; che la nomina dei sindaci revisori spetta all’assemblea dei soci dell’Ataf e non al Sindaco di Firenze; che il F. non era un soggetto di nomina o di espressione politica. Inoltre, la Corte avrebbe reso una motivazione contraddittoria quando ha dapprima asserito che il F. fosse soggetto di nomina politica e successivamente ha escluso la sua qualità di politico affermando che i conferenzieri avrebbero offeso il F. solo per colpire indirettamente la loro vera controparte politica.

I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, non meritano di essere accolti.

A riguardo, vale la pena di prendere le mosse dalle ragioni poste dalla Corte territoriale a base della propria decisione, fondate su una duplice considerazione: 1) nella specie non rilevava se i sindaci fossero, per legge o per prassi, tenuti a partecipare alle riunioni della Commissione di controllo, essendo invece rilevante che il rifiuto di riferire sull’andamento economico dell’azienda fu percepito dai controllori come impedimento all’espletamento della loro funzione pubblica; 2) il limite della continenza verbale deve essere valutato con minor rigore se riferito alla critica politica, per sua natura caratterizzata dall’asprezza dei toni.

Partendo da tali premesse la Corte territoriale è quindi pervenuta alla conclusione, ma in effetti si tratta di una vera e propria valutazione, che nel caso di specie, "nessuna delle espressioni di cui si tratta…. contiene attacchi di carattere personale, essendo tutte rivolte a stigmatizzare, sia pure vivacemente, il rifiuto, considerato pretestuoso e contrario alla prassi, di riferire in seno alla Commissione in ordine alla situazione economica, rilevantemente (all’82,18%) partecipata dal Comune di Firenze e sospettata di gestione inefficiente".

La premessa torna utile nella misura in cui consente innanzitutto di evidenziare come le doglianze in esame presentino, entrambe, profili di inammissibilità: la prima, per difetto di correlazione con la ratio decidendi, in quanto la decisione impugnata non si è affatto fondata su alcun obbligo a carico dei sindaci di riferire alla Commissione di controllo; la seconda perchè consistente in censure di merito, posto che la valutazione della verità dei fatti esposti e della continenza formale, compiuta dalla Corte territoriale, si risolve in un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se è stato sorretto da una motivazione corretta, esaustiva e coerente, come è avvenuto nel caso di specie.

Ma v’è di più, dovendosi ritenere altresì l’infondatezza delle due censure.

Ed invero, come ha già avuto modo di statuire questa Corte, posto che qualunque critica che concerna persone è idonea a incidere in qualche modo in senso negativo sulla reputazione di qualcuno, escludere il diritto di critica ogniqualvolta leda, sia pure in modo minimo, la reputazione di taluno significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Infatti, sostenere una tesi diversa significherebbe affermare che nel nostro ordinamento giuridico è previsto e tutelato il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero solo ed esclusivamente nel caso che questo consista in approvazioni e non in critiche. Pertanto il diritto di critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purchè siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato. Consegue che non è giuridicamente nè logicamente corretto sostenere il prevalere del diritto all’onore ed alla reputazione sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero in chiave critica, anche in presenza di capacità lesive estremamente ridotte, tali, quindi, da non giustificare in nessun caso detta prevalenza, (cfr Cass. n.12420/08 in motivazione) Giova aggiungere che, ad avviso della Corte territoriale, le espressioni asseritamente diffamatorie furono rese nel contesto di una diatriba politica, essendo i revisori riferibili alla maggioranza politica del governo comunale ed i membri della Commissione di controllo all’opposizione. Il ricorrente contesta tale assunto deducendo in contrario che la nomina dei sindaci revisori spetta all’assemblea dei soci dell’Ataf e non al Sindaco di Firenze per cui egli non era un soggetto di nomina o di espressione politica.

Anche tale profilo non convince. Ed invero, a parte il rilievo evidenziato dalla difesa di uno dei controricorrenti, il P., secondo cui "il rag. F. è stato nominato dall’assemblea dell’ATAF in cui l’82% è detenuto dal Comune di Firenze e che quindi lo stesso rag. F., volente o nolente, è espressione della maggioranza politica del Comune stesso", mette conto di sottolineare che il termine "politico" non va inteso come riferibile solo ai partiti che partecipano alle competizioni elettorali ed ai soggetti appartenenti ad essi ma deve essere inteso in un senso più ampio, nel rispetto dell’etimologia del termine. Con la conseguenza che il diritto di critica politica può essere esercitato anche nei confronti di quei soggetti che, pur non essendo politici di professione, ricoprano una carica nell’interesse della collettività, esercitando nello svolgimento di un pubblico servizio un potere ed un ruolo, nella cui valutazione si ingeriscano i rappresentanti politici.

Ed è appena il caso di considerare che, in tal caso, poichè coloro che si assumono la responsabilità di gestire un ruolo preminente all’interno di una società di rilevante interesse pubblico, non possono esimersi dall’accettare altresì la verifica pubblica dei propri comportamenti, ne deriva che, come ha già statuito questa Corte, l’interesse della comunità alla conoscenza dei fatti, al fine di una più accurata valutazione dei comportamenti dei soggetti che gestiscono la funzione di interesse collettivo, ben può giustificare un più ampio margine di tolleranza, a fronte dell’esercizio del diritto di critica, in considerazione dell’utilità sociale della discussione in materia. (cfr Cass. n.7684/08 in motivazione).

Con la conseguenza che il diritto di critica nei confronti dei soggetti predetti può essere esercitato in termini anche più incisivi rispetto ad un normale cittadino che non svolge attività di rilievo per la collettività, purchè non si ricorra comunque ad attacchi personali o ad espressioni inutilmente volgari o umilianti.

Ne deriva l’infondatezza delle censure in esame.

Passando all’esame del ricorso incidentale proposto dal To., va rilevato che la prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe ingiustamente compensato le spese di entrambe le precedenti fasi del giudizio trascurando la totale soccombenza dell’appellato. Del resto, non è un caso – così scrive il ricorrente – che nel testo attuale della norma – il legislatore abbia esplicitato che le ragioni che possono autorizzare il giudice a compensare le spese tra le parti devono essere "gravi ed eccezionali".

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della motivazione insufficiente e contraddittoria – la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio motivazionale dedotto indicando la presunta equivocabilità delle espressioni usate quale buon motivo per disporre la compensazione integrale delle spese del giudizio, trascurando che tale indicazione "non da conto del motivo giusto su cui si fonderebbe tale punto della sentenza".

Entrambi i motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sostanzialmente prospettano un’unica censura concernente la disposta compensazione di tutte le spese dei due giudizi di merito, sono infondati.

Ed invero, premesso che la novella di cui alla L. n. 69 del 2009 è inapplicabile alla fattispecie de qua ratione temporis in quanto ai sensi dell’art. 58, comma 1 della predetta legge la nuova disposizione si applica ai soli giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, vale a dire il 4 luglio 2009 mentre il giudizio de quo è stato introdotto con atti di citazione notificati tra il 16 ed il 26 ottobre 1999, deve rilevarsi che a norma dell’art. 92 cpv c.p.c., applicabile ratione temporis, il giudice può compensare, parzialmente o per intero le spese tra le parti se vi è soccombenza recìproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione. Ora, la Corte di merito ha motivato esplicitamente la disposta compensazione con l’espressione "tenuto conto dell’oggettiva equivocabilità delle espressioni usate" rifacendosi in qualche modo all’insegnamento di questa Corte, la quale tra le ipotesi di giusti motivi di compensazione ha indicato in una precedente decisione "l’obiettiva controvertibilità della questione affrontata" (cfr Cass.18744/03).

Ciò posto, considerato che la valutazione dell’opportunità della compensazione rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, pertanto, esula dal sindacato di legittimità, salva la possibilità di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddittorie, ipotesi non ricorrente nella specie, alla luce di quanto osservato in precedenza, ne deriva l’infondatezza delle doglianze in esame.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che entrambi i ricorsi per cassazione in esame, siccome infondati, devono essere rigettati. Sussistono giusti motivi per compensare fra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità in ragione dell’alternarsi dell’esito delle decisioni di merito nonchè – tale ultima considerazione attiene al solo rapporto processuale tra le parti ricorrenti – in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta. Compensa tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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