Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2012, n. 4544 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 10.3.1999 N.G. conveniva in giudizio la S.A.I. Spa, quale impresa designata alla gestione del F.G.V.S., per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro avvenuto il 4.9.1998 esponendo che, mentre si trovava alla guida di un motociclo, in via Barriera di Catania era stato tamponato da una Fiat Uno, che si era dileguata ed era rimasta non identificata.

Nel corso del giudizio, in cui si costituiva la SAI contestando la domanda, il Tribunale di Catania con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. ordinava alla Sai di pagare all’attore la somma di Euro 119.633,74 oltre interessi di legge e rivalutazione monetaria;

successivamente la Fondiaria-Sai notificava a controparte atto di rinuncia alla sentenza. Proponevano appello principale il N., impugnando il capo della decisione che aveva disatteso la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, ed appello incidentale la Fondiaria-Sai, deducendo la mancanza dei presupposti giustificativi della condanna. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Catania con sentenza depositata in data 20 ottobre 2009 rigettava entrambe le impugnazioni proposte.

Avverso la detta sentenza il N. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Resiste la Fondiaria-SAI con controricorso.

Motivi della decisione

In via preliminare, deve premettersi che il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata. Ciò premesso, va osservato che con la prima doglianza, deducendo il vizio di omessa ed insufficiente motivazione, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata deducendo che la Corte di Appello avrebbe "omesso ogni motivazione sulle specifiche argomentazioni espresse nella consulenza tecnica di parte del prof. M.S., depositata in grado di appello, con le quali si è evidenziato l’incidenza delle menomazioni accertate sulla capacità di produrre reddito da parte del sig. N.G., con riferimento all’attività di imbianchino svolta dal medesimo all’epoca dell’incidente".

Con la seconda doglianza, il ricorrente ha articolato le sue ragioni attraverso due profili: il primo, fondato sulla violazione dell’art. 32 Cost., artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., L. n. 39 del 1997, art. 4; il secondo, fondato sull’omessa e comunque insufficiente motivazione. Ed invero, la Corte – così scrive il ricorrente – avrebbe errato per il mancato risarcimento del danno patrimoniale e non avrebbe motivato circa l’incidenza delle menomazioni subite dal N. sull’effettiva capacità di svolgimento della attività lavorativa di imbianchino e di qualsiasi attività lavorativa manuale, trascurando che al N. non era possibile dare prova della riduzione del proprio reddito, non avendo una occupazione stabile e regolarizzata, per cui sarebbe stato necessario ricorrere alla prova per presunzioni.

Sia l’una che l’altra censura, che vanno trattate congiuntamente per l’intima connessione che le unisce, sono infondate. Al riguardo, torna utile premettere che il Consulente tecnico d’ufficio, in esito alle indagini peritali svolte, non ha minimamente accennato nella sua relazione ad alcuna riduzione della capacità di lavoro del N., non solo di quella specifica, ma neanche di quella generica e la Corte territoriale ha disatteso l’impugnazione formulato dall’appellante sia perchè dall’indagine medica non erano emerse indicazioni sull’asserita riduzione della capacità di lavoro specifica del N. sia perchè il suo stato di disoccupazione non era certamente dipeso dall’incidente subito.

La premessa torna utile perchè, secondo l’orientamento giurisprudenziale nettamente prevalente di questa Corte, cui questo Collegio intende aderire, le consulenze tecniche di parte costituiscono semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autonomo contenuto probatorio. Il giudice non è tenuto a motivare il proprio dissenso quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse e conformi al parere del consulente d’ufficio (Cass. 6089/00, 16030/02, 3480/02, 12116/03). Giova aggiungere peraltro che i rilievi contenuti nella consulenza di parte, come riportati in ricorso, non appaiono particolarmente precisi e circostanziati, riguardo al nesso di causalità, che deve necessariamente intercorrere tra la natura e l’entità delle lesioni patite, da una parte, e l’effettività dell’incidenza, permanente, sulla capacità di lavoro specifica, dall’altra, in modo da poter desumere in termini di certezza o di elevata probabilità la riduzione della capacità di guadagno del danneggiato.

Peraltro, la prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento e può essere anche presuntiva, purchè sia certa la riduzione della capacità di guadagno (ex plurimis Cass. civ., Sez. 3A, 14/12/2004, n. 23291). Invero, compete al danneggiato l’onere di dimostrare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità lavorativa specifica (e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno), provando altresì, di svolgere un’attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto dopo l’infortunio una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali. E ciò, in quanto solo nell’ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti una riduzione della capacità di guadagno e, in forza di questa, del reddito effettivamente percepito, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante (cfr Cass. n. 19357/07). In definitiva, occorrono la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse un’attività lavorativa produttiva di reddito, nonchè la prova della mancanza di persistenza, dopo l’infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte (così Cass. n. 10074/2010).

Ne deriva l’infondatezza di entrambe le censure. Con la terza doglianza, articolata sotto il profilo della violazione degli artt. 244, 255 e 184 c.p.c. e art. 2721 c.c., il ricorrente censura la sentenza in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale in quanto la Corte avrebbe erroneamente ritenuto la genericità degli articolati di prove mentre questi avevano invece ad oggetto circostanze specifiche volte a dimostrare sia l’attività lavorativa effettuata sia il periodo di tempo in cui non era stato possibile svolgere l’attività a causa delle lesioni patite.

Anche tale censura non è meritevole di accoglimento. A riguardo, deve premettersi che, nel caso di specie, il primo dei capitoli di prova non ammessi era ininfluente ai fini della decisione, vertendo su circostanze di fatto, quali la inabilità temporanea del N. per circa sei mesi, già ampiamente riconosciuta dal perito d’ufficio il quale aveva accertato che, in conseguenza del sinistro era derivato al N. un danno biologico temporaneo parti a 120 giorni di inabilità assoluta e 90 giorni di inabilità parziale al 50%, mentre il secondo (vero o no che il sig. N.G. nello svolgere la detta attività lavorativa di pittore edile accusa dolori e si dedica a tale attività in modo ridotto

P.Q.M.

richiedeva ai testi la formulazione di pareri, giudizi e valutazioni.

Ciò premesso, è appena il caso di rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il giudice di merito ha il potere-dovere di rilevare di ufficio la inammissibilità di una prova che verta su apprezzamenti e valutazioni dei testi, e non su fatti specifici a conoscenza dello stesso, e sia irrilevante ai fini della decisione. E ciò, secondo il suo discrezionale apprezzamento, incensurabile in sede di legittimità (cfr Cass. n.2201/07, Cass. 25127/06, Cass. n.18222/04, Cass. n. 5232/2004) Resta da esaminare l’ultimo motivo per motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, riguardo all’omessa personalizzazione del danno biologico, fondato sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe "liquidato con tre parole "inconsistente, generica e quindi inammissibile" sia la censura mossa…. riguardo alla quantificazione del danno biologico in via equitativa, sulla base delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, senza rendere conto dell’iter logico seguito nella liquidazione del detto danno, non essendo a tal fine sufficiente la mera parametrazione del detto danno biologico al cd. punto d’invalidità, e sia il correlativo diritto del N. ad aver riconosciuta una maggiore liquidazione del danno morale alla luce della personalizzazione del danno biologico spettantegli".

Anche tale doglianza è infondata. A riguardo, corre l’obbligo di rilevare che il criterio di personalizzazione del danno, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, postula che si tenga conto, pur nell’ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e, dunque, delle particolarità del caso concreto, oltre che della gravità della lesione e della reale entità del danno.

Ciò posto, mette conto di sottolineare che la ragione fondamentale, che ha indotto la Corte territoriale a disattendere l’impugnazione proposta dal N. sul punto, si è basata sul difetto di riscontro in ordine al lavoro, anche in nero, che sarebbe stato da lui svolto prima dell’incidente de quo nonchè sulla mancata prova in ordine all’asserita riduzione della capacità di guadagno dell’appellante, "il cui stato di disoccupazione di certo non è dipeso dall’incidente subito". Ora, appare di ovvia evidenza il carattere assorbente di tali considerazioni rispetto al profilo di doglianza in esame. Del resto, ai fini della liquidazione del danno biologico, il giudice del merito ha fatto riferimento alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, ed è appena il caso di osservare che le dette tabelle costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa del danno ex art. 1226 cod. civ.. Ciò, in base all’ormai consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perchè esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ.-, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono" (Cass. n.12408/2011).

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che anche la censura in esame va disattesa. Il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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