Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2012, n. 4540 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7/10/2009 la Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento del gravame interposto dalla società Terra Caffè s.r.l. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Firenze 25/9/2008, rigettava la domanda di risoluzione del contratto di locazione intercorrente tra la medesima e la società Hotellerie s.r.l. unipersonale.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito quest’ultima propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con distinti controricorsi la società Terra Caffè s.r.l. e la società Low Cost Parking s.r.l., cessionaria del ramo d’azienda corrente nel locale in oggetto, la quale ultima ha presentato anche memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità del proposto ricorso nei confronti della società Low Cost Parking s.r.l., della società La Ciambellina Immobiliare s.r.l. e della sig. C.P. B., intimati pur non avendo partecipato al giudizio di merito, con condanna al pagamento delle spese – liquidate come in dispositivo, – in favore della controricorrente società Low Cost Parking s.r.l., mentre non è a farsi luogo a relativa pronunzia in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1367, 1325, 1372, 1456 e 1587, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto la clausola risolutiva espressa contemplata nel contratto di locazione in argomento come meramente di stile, laddove ad essa non può non riconoscersi natura precettiva tra le parti, in base sia al tenore testuale che all’interpretazione secondo buona fede e funzionale del contratto, avuto riguardo alla forza di legge che esso ha tra le parti e all’obbligo normativo per il conduttore di corrispondere il canone nei termini convenuti.

Con il 2 motivo denunzia insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ravvisato trattarsi di clausola di stile argomentando dall’essere le parti contrattuali "soggetti qualificati", e cioè in ragione della loro "professionalità", trattandosi di due società di capitali.

Con il 3 motivo denunzia insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che, prendendo esclusivamente in considerazione il ritardato pagamento dell’ultimo trimestre, la corte di merito ha erroneamente escluso la ricorrenza nel caso del requisito della gravità dell’inadempimento richiesto dall’art. 1455 c.c., non assegnando rilievo ad una "pluralita di comportamenti anticontrattuali" e non potendo invero valorizzarsi la "prassi invalsa di differire il pagamento anticipato del canone trimestrale alla ricezione della fattura (in effetti pervenuta alla conduttrice in data 9.7.2007)", in mancanza dell’indicazione degli elementi da cui la stessa sia stata invero desunta, e che si appalesa in ogni caso per converso "inconcepibile", attesa la "raccomandata di contestazione e invito al rigoroso rispetto dei termini contrattuali".

Con il 4 motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che "l’accoglimento del presente ricorso travolge ovviamente anche la statuizione in appello sulle spese del doppio grado di giudizio".

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte infondati – nei termini e limiti di seguito indicati – e in parte inammissibili.

Ai sensi dell’art. 1456 c.c. i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.

Trattasi di patto accessorio al contratto principale, stipulato tra le medesime parti, con il quale si attribuisce al creditore il potere di far valere la risoluzione del contratto al verificarsi del fatto d’inadempimento convenzionalmente elevato a condizione risolutiva, dichiarando all’altro contraente che intende avvalersi della clausola risolutiva (art. 1456 c.c., comma 2).

A tale stregua, da un canto, l’operatività della clausola non è rimessa alla valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. da parte del giudice; e, per altro verso, al verificarsi del fatto d’inadempimento previsto dalle parti la risoluzione del contratto non può essere dichiarata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere (cfr. Cass., l/8/2007, n. 16993).

Giusta l’interpretazione legale della clausola, e pertanto anche in assenza di specifica previsione delle parti al riguardo, l’interessato che intende avvalersi della clausola risolutiva espressa ha l’onere di manifestare alla controparte inadempiente (cfr. Cass., 11/5/1973, n. 1275), con stragiudiziale atto negoziale recettizio avente la stessa forma del contratto risolto, la propria volontà di avvalersi della risoluzione del contratto operante di diritto, in tal caso la sentenza del giudice essendo di mero accertamento, dichiarativa dell’avvenuto scioglimento del rapporto.

Le parti possono invero anche convenire che il contratto si risolva senza l’onere della preventiva comunicazione della dichiarazione richiesta dall’art. 1456 c.c., comma 2 (cd. clausola risolutiva automatica), ma in tal caso l’esclusione di siffatto onere deve risultare espressamente.

Il riferimento alla scadenza di un termine non è allora di per sè sufficiente a deporre per la relativa essenzialità, e la conseguentemente ineluttabile risoluzione del contratto.

In tal senso non può invero nemmeno valorizzarsi la previsione negoziale della risoluzione del contratto all’esito dell’inutile decorso del termine.

Laddove il carattere di essenzialità del medesimo non risulti altrimenti, la risoluzione del contratto di norma consegue in realtà solamente all’esito dell’assolvimento da parte del creditore dell’onere di comunicazione in argomento al debitore inadempiente.

In mancanza, quest’ultimo può invero utilmente adempiere anche tardivamente, successivamente cioè alla scadenza del termine (cfr.

Cass., 30/9/1954, n. 3175. V. anche Cass., 9/11/1976, n. 4098; Cass., 8/7/1983, n. 4591; Cass., 27/6/1987, n. 5710; Cass., 22/7/1993, n. 8195).

La clausola risolutiva espressa (da interpretarsi non già in base al relativo rigoroso tenore formale bensì in senso rispondente al ragionevole affidamento delle parti, particolare rilievo al riguardo assumendo il criterio interpretativo della buona fede ex art. 1366 c.c.: cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 15/2/2007, n. 3462;

Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651. E già Cass., 5/1/1966, n. 89) di norma non comporta dunque la risoluzione del contratto in ragione del mero avvenuto decorso del termine, ma a tal fine assume pur sempre rilievo la condotta colposa del debitore (cfr.

Cass., 6/2/2007, n. 2553), per la cui configurabilità non può non tenersi conto – a fortiori ove come nella specie trattisi di contratto di durata – del contegno dalle parti mantenuto anche durante l’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.).

Orbene, a fronte di una clausola del tenore "le parti convengono espressamente che il mancato pagamento del canone; o dell’acconto per gli oneri accessori entro i termini di legge costituisce motivo di risoluzione del contratto, a norma dell’art. 1456 c.c.", e in presenza di un adempimento della prestazione effettuato con "minimo ritardo", giacchè nella specie "il canone scadente il 5.7.2007 fu pagato con bonifico bancario del 20.7.2007", nel considerare siffatto ritardo "giustificato dalla prassi invalsa di differire il pagamento anticipato del canone trimestrale alla ricezione della fattura (in effetti pervenuta alla conduttrice in data 9.7.2007)", e nel dare atto che "le fatture venivano emesse prima del pagamento", la corte di merito ha ravvisato la sussistenza nella specie di una "deroga di fatto accordata dalla locatrice circa il termine di adempimento indubbiamente rilevante quanto meno sul piano della buona fede in fase esecutiva; tenuto anche conto che il differimento del pagamento alla ricezione della fattura non era inutile ma funzionale all’esatto Adempimento, variabile in ragione della variabilità degli oneri accessori". Ed è pervenuta a ritenere la clausola in argomento come "vuota formula di stile", invero "irrilevante nel contesto del regolamento pattizio perchè priva di concreto significato".

Alla stregua dei valorizzati elementi, nonchè in base ai criteri dell’interpretazione secondo buona fede dell’interpretazione letterale e di quella funzionale della clausola, siffatta affermazione si appalesa invero illogica e contraddittoria, chiaramente per converso emergendo non già la mancanza di contenuto precettivo della stessa ma solo l’impossibilità di qualificarsi essenziale il termine di scadenza ivi indicato, come risulta sintomaticamente confermato dalla riscontrata ed evidenziata "prassi invalsa di differire il pagamento anticipato del canone trimestrale alla ricezione della fattura".

Non risultando in base ad elemento alcuno che nella specie le parti abbiano inteso stipulare una clausola risolutiva automatica, decisivo rilievo viene allora ad assumere la circostanza che la ricorrente non ha in effetti provato (e in realtà nemmeno allegato) di avere assolto l’onere, su di essa incombente, di comunicare al debitore inadempiente la dichiarazione ex art. 1456 c.c., comma 2, di volersi avvalere della risoluzione.

L’inoperatività della clausola risolutiva espressa in argomento discende allora nel caso non già dal palesarsi essa quale meramente di stile, come illogicamente e contraddittoriamente affermato dalla corte di merito, bensì in ragione della mancata prova del ricorrere nella specie dei relativi presupposti.

Nè, vale ulteriormente sottolineare, può al riguardo in qualche modo valorizzarsi l’evocata "lettera raccomandata di contestazione e invito al rigoroso rispetto dei termini contrattuali a data 24.1.2007", giacchè (a parte il rilievo del mancato rispetto del principio di autosufficienza: v. oltre) la dichiarazione di cui trattasi deve sostanziarsi nella manifestazione della volontà di avvalersi della risoluzione del contratto, e non già in un mero invito al puntuale adempimento della prestazione (a fortiori se come nella specie periodica).

Attesa l’inoperatività della clausola risolutiva espressa in argomento, correttamente la corte di merito ha allora fatto luogo alla valutazione dell’importanza dell’inadempimento, pervenendo (nell’esercizio dei poteri ad essa al riguardo spettanti: v. Cass., 8/10/2008, n. 24799; Cass., 25/10/2006, n. 22899; Cass., 29/11/2004, n. 22415) ad escludere il carattere di gravità richiesto dall’art. 1455 c.c. per potersi nella specie emettere declaratoria (costitutiva) di risoluzione del contratto in ragione del tardivo adempimento del debitore.

Nè rilievo alcuno può d’altro canto al riguardo riconoscersi alla più sopra indicata "lettera raccomandata di contestazione e invito al rigoroso rispetto dei termini contrattuali a data 24.1.2007" giacchè, a parte ogni considerazione in merito alla relativa valenza ai fini della valutazione della gravità del ritardo ex art. 1455 c.c., essa è stata dall’odierna ricorrente evocata in violazione del principio di autosufficienza, non risultando debitamente riportata – per la parte d’interesse in questa sede – nel ricorso, nè puntualmente indicato in quale sede processuale, pur individuata in ricorso, risulti prodotta, e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se sia stata prodotta anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n.19069; Cass., 23/9/2009, n.20535; Cass., 3/7/2009 n.15628).

Corretta – ricorrendone i presupposti – la motivazione ex art. 384 c.p.c. nei sensi fatti sopra palesi, i primi tre motivi vanno dunque rigettati, inammissibile essendo invece il 4 motivo, non contemplante in realtà una censura dell’impugnata sentenza ben comprensibile nella sua formulazione, nè risultando spesi argomenti a relativo sostegno.

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso nei confronti della controricorrente società Terra Caffè s.r.l..

Le spese, liquidate in favore della medesima come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della società Low Cost Parking s.r.l., della società La Ciambellina Immobiliare s.r.l. e della sig. C.P.B.. Rigetta il ricorso nei confronti della controricorrente società Terra Caffè s.r.l. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore delle controricorrenti società Terra Caffè s.r.l. e Low Cost Parking s.r.l..
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