Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2012, n. 4539 sanità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso per cassazione contro M.C.A. e F. F. avverso la sentenza del 27 settembre 2010, con cui la Corte d’Appello di Roma ha provveduto sull’appello proposto da esso ricorrente (e dal Ministero della Salute, dal Ministero dell’Istruzione e Ricerca e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) avverso la sentenza definitiva con la quale il Tribunale di Roma, dopo avere con sentenza parziale ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione proposta dalle Amministrazioni, aveva accolto le domande della M. e del F. (intervenute in un giudizio introdotto da altri medici, riguardo ai quali viceversa il giudizio era stato definito con il riconoscimento della prescrizione) ed aveva condannato le stesse Amministrazioni al pagamento delle somme corrispondenti agli importi previsti dal D.Lgs. n. 257 del 1991 in relazione a ciascun anno del corso di specializzazione medica da essi seguito ed a titolo di adeguata remunerazione, in ragione dell’inadempimento da parte dello Stato delle direttive CEE 75/362/CEE e 82/76/CEE, rimaste inadempiute a far tempo dal 31 dicembre 1982. p.2. La sentenza qui impugnata ha accolto soltanto il motivo di appello con cui si faceva valere il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri convenuti e l’esistenza della legittimazione soltanto del Presidente del Consiglio dei ministri. p.3. Al ricorso, che propone un unico complesso motivo, hanno resistito con controricorso congiunto la M. ed il F., i quali hanno anche depositato memoria.

Motivi della decisione

p.1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia "violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., nonchè dei principi comunitari in tema di risarcibilità dell’incompleto recepimento di direttive comunitarie, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

La violazione dell’art. 115 c.p.c. viene argomentata assumendosi che erroneamente la Corte capitolina avrebbe rigettato il terzo e quarto motivo di appello, i quali lamentavano che il Tribunale avesse riconosciuto la remunerazione prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991 con una sorta di applicazione retroattiva senza che i medici avessero dimostrato "di avere per lo meno ottemperato ai contenuti minimi self executing delle Direttive", cioè ai presupposti di fatto previsti dalle Direttive, ed in particolare alle condizioni stabilite dal secondo considerando della Direttiva 75/363 e dall’allegato 1 alla Direttiva 82/76. In particolare, con detti motivi si era lamentato:

che i medici non avevano provato di non avere svolto alcuna attività lavorativa esterna remunerata, condizione che era indispensabile per poter fruire di una borsa di studio o, in base al D.Lgs. n. 257 del 1991, della remunerazione da esso prevista; che non poteva essere sufficiente produrre le certificazioni relative al conseguimento del diploma di specializzazione e della frequentazione del corso di specializzazione poichè non si poteva escludere che gli attori avessero frequentato il corso per una durata inferiore a quella di legge e non si poteva da esse inferire l’impegno a tempo pieno e l’esclusione di attività libero-professionale.

La Corte romana sarebbe incorsa in errore, perchè avrebbe supposto che tali deduzioni erano basate sulla qualificazione della domanda in termini di responsabilità contrattuale, mentre i motivi così articolati intendeva contestare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della remunerazione di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 (cioè frequenza a tempo pieno e mancato svolgimento di attività libero professionale) in ogni caso, cioè anche per il caso di qualificazione della responsabilità come extracontrattuale, cioè nel senso condiviso da quella Corte.

In pratica la Corte d’Appello avrebbe escluso la necessità della dimostrazione dei detti presupposti reputando a torto che essa si sarebbe configurata solo per il caso di responsabilità contrattale, mentre si configurava anche una volta considerata la domanda come di responsabilità extracontrattuale.

Nella seconda parte dell’illustrazione del motivo è esposta la censura di violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. ed essa si articola con l’assunto che, postasi nell’ottica della qualificazione extracontrattuale della responsabilità, la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato che i medici qui resistenti non avrebbero dovuto provare "di avere seguito i corsi di specializzazione nel pieno rispetto di tutti i criteri dettati dalla normativa europea" e che avevano diritto al risarcimento per il semplice fatto di "non avere avuto la possibilità di frequentare corsi di specializzazione conformi alle prescrizioni europee, ivi compreso l’aiuto alla completezza e serenità dello studio costituito dalla adeguata remunerazione". In tal modo si sarebbe riconosciuto un risarcimento per la semplice esistenza del fatto ingiusto, mentre proprio la qualificazione data alla pretesa dei medici, nel senso di risarcimento in forma specifica tramite l’attribuzione di quelle utilità che al medico sarebbero spettate se le direttive fossero state tempestivamente e correttamente recepite, avrebbe imposto la necessità della prova del tempo pieno e del mancato esercizio di altra attività. p.2. Il Collegio ritiene che il motivo di ricorso debba essere accolto per quanto di ragione e sulla base della applicazione da parte di questa Corte dell’esatto diritto alla fattispecie giudicata.

Applicazione cui la Corte può pervenire nell’esercizio dei propri poteri di individuazione delle norme regolatoci di essa nell’ambito di quanto prospettato dal motivo.

Queste le ragioni. p.2.1. Il motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente riconosciuto ai due medici quanto previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991.

Tale riconoscimento è avvenuto nel presupposto della qualificazione della loro domanda alla stregua della legge Aquilia e se ne lamenta l’erroneità perchè si sarebbe dovuto dimostrare la ricorrenza, nello svolgimento dei corsi di specializzazione seguiti dai due medici, delle condizioni alle quali il trattamento di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 era subordinato. Il motivo lamenta, dunque, al fondo, che si siano riconosciute ai medici per ciascun anno di corso le somme previste per i corsi di specializzazione secondo quel D.Lgs..

Il riconoscimento de quo, secondo il ricorrente, sarebbe stato in buona sostanza erroneo perchè per giustificarlo i medici avrebbero dovuto provare che la frequenza ai corsi di specializzazione seguiti nella situazione di inadempimento statuale alle note direttive si sarebbe estrinsecata con caratteristiche identiche a quelle richieste dal regime di cui al più volte citato D.Lgs..

Questo assunto non è fondato, ma la Corte, essendo la sua direzione volta a censurare la sentenza impugnata quanto al riconoscimento delle spettanze di cui al D.Lgs., deve rilevare che quest’ultimo è, in realtà, illegittimo per una ragione in iure diversa. p.2.2. Va premesso che al riconoscimento di tale illegittimità non è d’ostacolo la qualificazione della domanda operata dalla Corte territoriale nel senso che essa trovi origine nell’art. 2043 c.c..

E’ ormai noto che la responsabilità risarcitoria dello Stato per inadempimento di direttive comunitarie non self executing, ma sufficientemente specifiche per attribuire diritti ai singoli, qualora essi si siano venuti a trovare nelle situazioni di fatto che, se le direttive fossero state adempiute, avrebbero dato luogo all’attribuzione ad essi dei diritti stessi, non ha fonte in un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. dello Stato, ma origina da un obbligo risarcitorio ex lege verso quei soggetti (si veda Cass. Sez. Un. n. 9147 del 2009 e, in via complementare, le sentenze gemelle nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011 di questa Sezione).

Ora, se anche la qualificazione data dal giudice di merito si considerasse passata in cosa giudicata, i presupposti per il riconoscimento del danno richiesti in relazione all’obbligo risarcitorio di cui trattasi dovrebbero comunque operare anche nell’ottica di quella erronea qualificazione.

Peraltro, non essendovi stata situazione di contrasto fra le parti sul punto della qualificazione ed essendo essa prospettata dallo stesso motivo nella sua prima parte come ragione giustificativa della censura relativa alla mancata dimostrazione dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 257 del 1991, il Collegio ritiene che la questione di qualificazione dell’azione dei due medici sia ridiscutibile come quaestio iuris in questa sede e, pertanto, ai fini dello scrutinio del motivo, il Collegio ritiene che debba senz’altro affermarsi che l’azione andava e va qualificata nel senso ormai avallato dalla giurisprudenza di questa Corte, così sostituendosi l’esatta qualificazione a quella supposta dal giudice di merito. p.2.3. Ciò premesso, si rileva che la ragione indicata nel motivo per censurare il riconoscimento ai due medici delle spettanze di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 non è fondata quanto alla deduzione della mancanza di dimostrazione delle condizioni richieste da esso per l’attribuzione a regime della borsa di studio.

Le ragioni di tale infondatezza emergono da pronunce successive alle sentenze gemelle sopra citate nelle quali questa Sezione si è già occupata del problema dell’onere probatorio che i medici debbono assolvere nel rivendicare l’adeguata remunerazione ed in generale il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento statuale alle note direttive.

Dette ragioni, oltre che in altre decisioni di questa Corte, sono state esposte nelle sentenze nn. 24816 del 2011 e 23577 del 2011 con riferimento alla individuazione del danno evento oggetto dell’obbligo risarcitorio. p.2.3.1. In particolare, nella sentenza n. 23577 del 2011 sono state enunciate, all’espresso scopo di individuare "quello che le Sezioni Unite hanno riconosciuto come danno originante da una responsabilità contrattuale (nel senso precisato dalle citate sentenze "gemelle" di questa Sezione) per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato di adempiere le direttive comunitarie sufficientemente specifiche – come nella specie – da individuare una posizione di diritto dei singoli", le seguenti considerazioni, che si riproducono testualmente:

"In proposito è necessario precisare quanto segue:

a) il danno del singolo che lo Stato è tenuto a risarcire ha come fatto costitutivo la sussumibilità della sua posizione nell’ambito di quelle riguardo alle quali doveva avvenire l’adempimento delle direttive comunitarie di cui trattasi;

b) le direttive di cui trattasi e segnatamente quella cd. di coordinamento, cioè la direttiva 75/363/CEE, come modificata dalla direttiva 82/76/CEE nei suoi articoli 2, n. 1 e 3, corredati del relativo allegato, imponevano allo Stato Italiano, in relazione alle specializzazioni contemplate nell’elenco dell’art. 5, n. 2 e 7, n. 2 della direttiva cd. di riconoscimento ( direttiva 75/362/CEE) – rispettivamente concernenti le specializzazioni che erano comuni a tutti gli Stati membri e quelle comuni a due o più fra di essi – di assicurare lo svolgimento del corso di specializzazione secondo quanto previsto in detti artt. 2, n, 1 e 3 e nel relativo allegato, che constava di un punto 1, concernente la formazione a tempo pieno e di un punto 2, riguardante la formazione a tempo parziale;

c) i corsi di specializzazione ricadenti nei citati artt. 5, n. 2 e 7 n. 2, a seguito della scadenza del termine di adempimento delle direttive (31 dicembre 1982) potevano, dunque, essere conformi al diritto comunitario soltanto se organizzati in uno dei due modi indicati nell’allegato;

d) ne discende che i medici iscritti ai corsi di specializzazione dall’anno 1983-84, la cui specializzazione ricadeva negli elenchi di cui a quelle norme, non essendo state le direttive adempiute, si vennero a trovare tutti, per il sol fatto della frequenza dei corsi, in una situazione nella quale venivano disconosciuti i diritti che loro sarebbero spettati per effetto dell’adempimento statuale e, quindi, in una posizione tale da risentire il danno derivante dalla loro mancata acquisizione;

e) i diritti disconosciuti erano rappresentati, sia dal non poter conseguire il diploma in modo certificato ai fini comunitari (e, quindi, in modo da poterlo utilizzare in ambito comunitario fuori dall’Italia), sia – per quello che qui interessa – dalla negazione dell’adeguata remunerazione, prevista tanto per il caso di formazione a tempo pieno, quanto per il caso di formazione a tempo parziale, rispettivamente dall’ultimo inciso del comma 2 del punto 1 e dal comma 3 del punto 2 dell’allegato;

f) la negazione di tali diritti per l’inadempimento statuale ha determinato l’obbligo risarcitorio contrattuale ex lege dello Stato Italiano;

g) tale negazione si configura come danno evento conseguente all’inadempimento delle direttive, nel senso che si tratta di una perdita sofferta dagli specializzandi, i quali, se l’adempimento vi fosse stato avrebbero potuto seguire i corsi di specializzazione organizzati nei termini voluti dal diritto comunitario e conseguire i suddetti diritti;

h) è da tale evento dannoso, del quale lo Stato Italiano è tenuto a rispondere a prescindere da colpa (come affermarono le Sezioni Unite nella sentenza n. 9147 del 2009), che da luogo all’obbligo risarcitorio di natura contrattuale (nel senso indicato dalle sentenze "gemelle"). p.6.2. Ora, rimanendo sul piano della lesione del diritto alla consecuzione dell’adeguata remunerazione, lo specializzando che azionava l’obbligo risarcitorio doveva dimostrare esclusivamente di avere frequentato – con iscrizione collocantesi a far tempo dall’anno accademico 1983 – 1984 fino a quello 1990-1991 – un corso di specializzazione comune a tutti gli Stati membri e, quindi, rientrante nell’elenco di cui al citato art. 5, n. 2, o ad almeno due o più fra essi e, quindi, rientrante nell’elenco di cui al citato art. 7, n. 2. Poichè la frequenza di tali corsi in mancanza dell’adeguamento alle direttive si concretava nella impossibilità di conseguire l’adeguata remunerazione, egli, nell’individuare e provare la pretesa risarcitoria conseguente all’inadempimento statuale non aveva altro onere che dimostrare detta frequenza. Essa, congiunta all’inadempimento statuale per come sopra indicato, integrava i fatti costituivi dell’obbligo risarcitorio dello Stato nei termini indicati dalla sentenza n. 9147 del 2009 e, quindi, della relativa domanda.

Viceversa, il concreto svolgimento del corso di specializzazione, secondo modalità di fatto corrispondenti al tempo pieno nei termini indicati dal comma 2 del punto 1 dell’allegato oppure secondo modalità corrispondenti al tempo ridotto nei termini indicati al comma 1 del punto 2, non poteva assurgere a fatto costitutivo dell’obbligo risarcitorio, per l’assorbente ragione che l’obbligo risarcitorio discende dal non avere provveduto lo Stato italiano ad organizzare in iure i corsi di specializzazione secondo l’una o l’altra modalità. Onde, non si comprende come ad una situazione di fatto, quella relativa allo svolgimento concreto del corso di specializzazione, si possa attribuire il valore di fatto costitutivo dell’obbligo risarcitorio e, quindi, del relativo diritto.

La frequenza in concreto di un corso di specializzazione con modalità non riconducibili nè a quelle a tempo pieno nè a quelle a tempo ridotto, d’altro canto, non potrebbe assumere nemmeno il valore di fatto impeditivo dell’insorgenza del diritto al risarcimento del danno, per l’assorbente ragione che essa di norma dipenderebbe da un fatto addebitabile allo Stato, il quale, in relazione al concreto corso di specializzazione di cui si tratti, non aveva assicurato lo svolgimento o secondo la modalità a tempo pieno o secondo la modalità a tempo parziale. Al riguardo va rilevato che fino all’entrata in vigore della riforma di cui alla L. 9 maggio 1989, n. 168 le università erano enti statali e successivamente competeva allo Stato legislatore dettare le regole interne di adeguamento alle note direttive. Si potrebbe semmai ipotizzare che, qualora lo svolgimento del corso di specializzazione fosse stato organizzato in concreto – secondo la legislazione vigente all’epoca – in modo tale da consentire allo specializzando di seguirlo o con modalità a tempo pieno o con modalità a tempo parziale o con modalità minori rispetto anche a quest’ultimo, l’avere lo specializzando scelto di seguirlo secondo la terza opzione concessa potrebbe assumere il carattere di fatto impeditivo dell’insorgenza del diritto al risarcimento.

Anche se occorrerebbe valutare che tale scelta sarebbe stata resa possibile proprio a cagione dell’inadempimento statuale all’obbligo di organizzare i corsi secondo le modalità a tempo pieno o parziale.

Poichè per tali corsi erano obbligatorie modalità organizzative a tempo pieno o a tempo parziale con adeguata remunerazione l’obbligo risarcitorio si ricollega, infatti, al non averle assicurate. Lo Stato risponde, cioè, proprio per non averle assicurate.

Ne deriva che allo specializzando attore che fa valere la pretesa all’adempimento dell’obbligo statuale ex lege di risarcire il danno da mancata attuazione delle direttive competeva e compete solo dimostrare di trovarsi in una situazione rispetto alla quale la direttiva doveva essere adempiuta e tale situazione, rappresentante il fatto costitutivo del danno da lui lamentato (perdita dei diritti che gli sarebbero spettati nel caso di adempimento della direttiva), inteso nel senso di cd. danno evento, è data dalla mera frequenza di un corso ricadente nei due elenchi.

Le concrete modalità di svolgimento del corso potrebbero, in realtà, venire in rilievo solo quali circostanze rilevanti ai fini della quantificazione del risarcimento del danno, nel senso che quest’ultimo non può essere riconosciuto nella stessa misura allo specializzando che frequentò un corso con modalità simili a quelle a tempo pieno e ad uno specializzando che lo frequentò con modalità simili a quelle tempo parziale o addirittura minori rispetto a queste ultime. Ma ciò solo se la scelta dell’una piuttosto che dell’altra opzione sia dipesa dallo specializzando, che, avendo possibilità di optare per l’una o per l’altra in relazione alla circostanza che il corso era organizzato con due modalità, abbia preferito l’opzione a tempo parziale anzichè quella a tempo pieno. Se invece il corso era organizzato solo con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, la negazione della possibilità di scelta evidenzia che lo specializzando perse – in ragione dell’inadempimento statuale – il diritto alla frequenza del corso a tempo pieno e, quindi, le corrispondenti utilità, in primis la remunerazione adeguata al tempo pieno.

Le circostanze relative allo svolgimento in concreto del corso saranno, però, deducibili e dimostrabili al fine di determinare il danno risarcibile dallo Stato, tenuto conto che l’organizzazione del corso di specializzazione seguito dallo specializzando era all’epoca dipendente in astratto dallo stato della legislazione statuale non rispettosa del diritto comunitario ed in concreto dalla scelta seguita nell’organizzazione del corso dalla singola università. p.6.3. Da quanto osservato consegue che il giudice di rinvio non potrà, come ha fatto la Corte d’appello nella sentenza impugnata – sia pure nella prospettiva della qualificazione dell’azione come diretta a rivendicare la diretta attribuzione dei benefici del D.Lgs. n. 257 del 1991 – addebitare al ricorrente di non avere provato le modalità di svolgimento del corso.". p.2.4. Le considerazioni qui riportate evidenziano come la prospettazione del motivo di ricorso, là dove imputa alla sentenza impugnata di non avere ritenuto necessaria, ai fini del riconoscimento del danno, la prova da parte dei due medici di avere seguito un corso di specializzazione a tempo pieno e senza svolgimento di altra attività lavorativa, siccome richiesto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, non è fondata.

I due medici non dovevano fornire detta prova. p.2.5. Tuttavia, il motivo, là dove prospetta tale ragione per sostenere che sia stato riconosciuto un danno indimostrato per mancata ricorrenza dei presupposti voluti dal D.Lgs. n. 257 del 1991 e, quindi, si duole comunque che sia stato riconosciuto un danno che non doveva essere riconosciuto, si presta a consentire alla Corte un rilievo d’ufficio di una ragione di fondatezza parziale del motivo sotto altro profilo che si colloca su un piano preliminare alla dimostrazione dei presupposti richiesti dal D.Lgs. citato e che attiene alla stessa possibilità di applicare, per individuare l’ammontare del danno, proprio le previsioni del D.Lgs. in punto di borsa di studio a regime.

Poichè il motivo postula che male sia stato applicato il D.Lgs. per individuare il danno, questa Corte, non essendosi sul punto formato giudicato interno, per non essere stata la questione discussa e, quindi, espressamente decisa, può, nell’esercizio dei suoi poteri di individuazione dell’esatto diritto applicabile alla fattispecie, procedere a tale individuazione e rilevare che la stessa adozione scelta di commisurare il danno risarcibile a quanto previsto dal D.Lgs. è priva di fondamento giuridico.

E’ stato, infatti, già più volte statuito che "In ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè per omologia con quanto prevede la norma di cui all’art. 384 cod. proc. civ., comma 2 (là dove consente la salvezza dell’assetto di interessi, per come regolato dalla sentenza di merito, allorquando la soluzione della questione di diritto data dalla sentenza impugnata sia errata e, tuttavia, esista una diversa ragione giuridica, che, senza richiedere accertamenti di fatto, sia idonea a giustificare la soluzione della controversia sancita dal dispositivo della sentenza in relazione alla questione sollevata dal motivo di ricorso), deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto" (Cass. n. 19132 del 2005; in senso conforme: Cass. n. 20328 del 2006; n. 24183 del 2006; n. 6935 del 2007; n. 4994 del 2008; n. 10841 del 2011). p.2.6. Tanto rilevato si osserva che il motivo è parzialmente fondato perchè è erronea la scelta della Corte d’Appello di individuare il parametro per la determinazione del danno in base alle spettanze di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991.

Invero, l’ammontare del danno sofferto in ragione dell’inadempimento statuale dai due medici qui resistenti dev’essere parametrato a quanto previsto dalla L. n. 370 del 1999, art. 11.

Al riguardo va rilevato che, con riferimento a una fattispecie nella quale il giudice si merito aveva ritenuto direttamente estensibile la disciplina della L. n. 370 del 1999 agli specializzandi da essa non contemplati, venutisi a trovare in condizioni tali che, se le note direttive fossero state adempiute, avrebbero potuto beneficiare del riconoscimento di una remunerazione per lo svolgimento del corso di specializzazione in condizioni conformi a quanto imposto dal diritto comunitario, questa Sezione ha già avuto modo di affermare il seguente principio di diritto: "In tema di corresponsione di borse di studio agli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983- 1991, la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, pone delle condizioni dettagliate per il riconoscimento del relativo diritto, coerenti con le corrispondenti disposizioni delle direttive n, 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, così da doversi applicare retroattivamente a tutti coloro che si sono trovati nella situazione contemplata dal medesimo art. 11, in quanto la più idonea al raggiungimento dello scopo di attuare le citate direttive a far tempo dalla scadenza del termine dato allo Stato per la relativa trasposizione (nella specie, 31 dicembre 1982).

Non trova, invece, giustificazione, alla luce del diritto comunitario, la limitazione del riconoscimento operata dallo stesso art. 11 in favore dei destinatali delle sentenze passate in giudicato emesse dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sicchè, sotto questo specifico profilo, la disciplina è disapplicabile, in quanto essa subordina il riconoscimento, in ambito interno, di un diritto attribuito ai singoli da direttive comunitarie a condizioni (quella di aver adito l’autorità giudiziaria ed aver ottenuto una sentenza favorevole addirittura ancor prima dell’emanazione della legge di trasposizione) non contemplate da tali direttive" (Cass. n. 17682 del 2011).

Successivamente, sempre questa Sezione, scrutinando questa volta un ricorso che si innestava su uno svolgimento del giudizio di merito che aveva visto atteggiarsi la pretesa dei medici specializzandi sub specie risarcitoria, ha affermato che "In tema di risarcimento dei danni, per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE (in materia di adeguata remunerazione della formazione dei medici specializzandi), in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, la relativa liquidazione non può che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe, dovendo utilizzarsi come parametro di riferimento le indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con cui lo Stato italiano ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle citate direttive comunitarie e che non risultano considerate nel D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257" (Cass. n. 23275 del 2011).

Come si vede il punto di approdo della individuazione del criterio di liquidazione del danno nell’uno e nell’altro caso è stato il medesimo, cioè il riferimento agli importi indicati dalla L. n. 370 del 1999. p.2.7. A questo approdo il Collegio intende dare continuità e farne affermazione in linea generale sulla base dei seguenti rilievi, che si riferiscono alla pretesa risarcitoria che individui il danno non solo nella mancata consecuzione della adeguata remunerazione, ma anche sotto altri possibili profili inerenti l’inidoneità del diploma sul piano comunitario.

Punto di partenza dev’essere la constatazione che, giusta la costruzione della fattispecie risarcitoria nei sensi indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 9147 del 2009, il diritto al risarcimento spettante agli specializzandi in relazione alla remunerazione e agli altri vantaggi che avrebbero potuto conseguire, per il caso che la normativa comunitaria fosse stata adempiuta e fosse stata loro assicurata la possibilità di seguire corsi conformi ad essa, ha natura di credito di valore, sia pure originante da responsabilità contrattuale (nel senso specificato dalle sentenze gemelle).

La giurisprudenza di questa Sezione nelle sentenze gemelle ha, come si è visto, riconosciuto che fino all’emanazione della L. n. 370 del 1999 l’obbligo risarcitorio, pur insorto con riguardo alle posizioni dei singoli che si erano venuti a trovare nella condizione di fatto che avrebbe dato diritto al beneficio ricollegato all’attuazione delle direttive, si era connotato come un obbligo di natura permanente fino al momento dell’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, con la conseguenza che il corso della prescrizione non era iniziato prima di quel momento.

In ordine al momento di insorgenza dell’obbligo risarcitorio, sempre le dette sentenze avevano sottolineato che esso si doveva rinvenire, peraltro, non già con riferimento al momento di verificazione della situazione di fatto che a direttive adempiute avrebbe giustificato la corresponsione della remunerazione e la consecuzione degli altri vantaggi, bensì solo dal momento della sopravvenienza della nota sentenza comunitaria sul caso F..

Le sentenze gemelle, infatti, avevano sottolineato quanto segue: "il dictum della sentenza (poi ribadito qualche anno dopo dalla sentenza (OMISSIS)), attesa l’efficacia vincolante nell’ordinamento interno della decisioni della Corte di Giustizia in guisa sostanziale di una vera e propria fonte del diritto oggettivo, ha avuto l’efficacia di introdurre nell’ordinamento italiano (come in buona sostanza hanno affermato le Sezioni Unite) una particolare fonte di obbligazioni risarcitorie, il cui fatto costitutivo è l’inadempienza ad una direttiva di quel contenuto. Ne deriva che solo dalla pubblicazione della sentenza F. le situazioni fattuali degli specializzandi che avevano conseguito il diploma dopo il 31 dicembre 1982 a seguito di un corso che, in base alle note direttive avrebbe giustificato l’attribuzione dei diritti da esse previste, sono state giuridificate nel nostro ordinamento come idonee a giustificare l’obbligo risarcitorio. L’assunto, naturalmente, vale per qualsiasi ipotesi di inadempienza a direttive di contenuto sufficientemente specifico nell’attribuzione di diritti da giustificare l’obbligo risarcitorio, verificatasi anteriormente alla sentenza F.. … Potrebbe addirittura sostenersi che, essendosi la giurisprudenza comunitaria definitivamente assestata, dopo l’irruzione della sentenza F. nei suoi esatti termini soltanto con la sentenza (OMISSIS), come non manca di rilevare la dottrina quando deve individuare i caratteri dell’obbligo risarcitorio, addirittura solo dalla data di quella sentenza l’obbligo sia insorto nell’ordinamento italiano …. Il diritto degli specializzandi, infatti, si potrebbe dire sorto addirittura soltanto dall’ottobre del 1996".

Ora, sopravenuta la L. n. 370 del 1999, si è verificata nell’ordinamento, secondo la giurisprudenza inaugurata dalle sentenze gemelle, una situazione nella quale la permanenza dell’obbligo risarcitorio de quo è venuta a cessare, perchè come si rilevò in esse fu chiaro che lo Stato, riconoscendo un risarcimento a taluni specializzandi appartenenti alle categorie riguardo alle quali non aveva operato la tardiva attuazione solo de futuro di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, palesò che non vi sarebbe stato più un adempimento spontaneo. Di modo che l’obbligo risarcitorio cessò di essere qualificabile come permanente e divenne un obbligo risarcitorio ormai nella sostanza definitivamente inadempiuto.

Tuttavia la L. n. 370 del 1999 si caratterizzò anche come un intervento del legislatore italiano che per i soggetti contemplati, sulla sola condizione dell’essere beneficiari di taluni giudicati, procedete alla quantificazione del dovuto per l’obbligo risarcitorio.

Poichè tale obbligo risarcitorio era riferibile anche ai soggetti non contemplati e la relativa quantificazione è avvenuta con un atto legislativo, la posizione degli specializzandi rimasti esclusi, in relazione all’operare del principio di eguaglianza sul piano del diritto interno ed a maggior ragione rispetto alla posizione dello Stato Italiano di fronte all’obbligo comunitario, non poteva che meritare lo stesso trattamento. Si deve allora considerare che la quantificazione assunse anche nei confronti degli specializzandi non contemplati il valore di una sorta di aestimatio dell’obbligo risarcitorio fatta spontaneamente dallo Stato.

Tale aestimatio risultò effettuata dallo Stato quale soggetto obbligato, sul piano dell’ordinamento comunitario, a rimediare alla situazione di inadempimento del diritto comunitario nell’esercizio della sua attività legislativa e, quindi, con necessari riflessi sul piano dell’ordinamento interno riguardo al diritto al risarcimento dei singoli.

Si deve allora ritenere che, a seguito della sopravvenienza della L. n. 370 del 1999, stante la identità di posizione degli specializzandi non contemplati rispetto a quelli contemplati dalla legge (identità che, naturalmente va apprezzata con riguardo all’atteggiasi della loro posizione non già secondo l’ordinamento interno e, quindi, in relazione all’essere essi beneficiari di giudicati amministrativi, bensì in relazione all’ordinamento comunitario), si verificò nell’ordinamento interno una situazione per cui il "valore" dell’obbligo risarcitorio risultò apprezzato dallo Stato italiano nella misura prevista dall’ari. 11 della legge stessa. Tale situazione determinava che agli specializzandi non contemplati, i quali erano ormai messi nella condizione di doversi attivare nell’esercizio della pretesa risarcitoria per scongiurare la prescrizione, fosse palesata una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato. Quantificazione che l’ultima proposizione del comma 1 dell’articolo diceva comprensiva di interessi e rivalutazione, così rispettando la natura di valore del credito nel procedimento che condusse a una sorta di auto-aestimatio dello Stato legislatore.

Ne deriva che, emergendo una precisa quantificazione del valore dell’obbligo risarcitorio, ad essa si doveva e si deve commisurare la pretesa degli specializzandi.

E ciò non tanto sulla base di considerazioni equitative, bensì quale necessario riflesso della facoltà dello Stato di individuare il contenuto economico dell’obbligo risarcitorio sul piano dell’ordinamento comunitario.

Infatti, la sentenza della Corte di Giustizia sul caso (OMISSIS) ebbe a precisare che "in mancanza di norme comunitarie in materia di risarcimento del danno da inadempimento di direttive non self-executing, spetta all’ordinamento giuridico di interno di ciascuno stato membro fissare i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, fermo restando che essi non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi fondati sul diritto interno e che non possono in nessun caso essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile il risarcimento".

Il che giustifica che, in relazione al noto inadempimento, spettasse allo Stato di determinare l’entità del risarcimento, naturalmente in modo da non renderlo apparente E gli importi riconosciuti dalla citata legge non potevano essere riconosciuti tali, tenuto conto della oggettiva risalenza delle situazioni dei soggetti vittima dell’inadempimento.

Tanto comporta che, in ragione di quanto appena esposto e rilevato d’ufficio, la sentenza impugnata debba essere cassata con rinvio nel punto in cui ha liquidato il danno ai resistenti parametrandolo alle somme di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991.

E’ appena il caso di rilevare che la posizione degli specializzandi rimasti esclusi dal D.Lgs. n. 257 del 1991 in alcun modo poteva essere assimilata a quella degli specializzandi da esso contemplati, per l’assorbente ragione che detto D.Lgs. non solo operava solo in relazione a situazioni future, cioè per coloro che avessero iniziato il corso di specializzazione nell’anno accademico 1991-1992, ma, soprattutto, riguardava soggetti che frequentavano corsi oramai organizzati in conformità a quanto imposto dalla normativa comunitaria, là dove, invece, i corsi frequentati o iniziati anteriormente all’entrata in vigore della disciplina del D.Lgs. erano organizzati secondo il sistema previgente, non conforme al diritto comunitario, il che aveva integrato la situazione di inadempienza statuale.

Il ragionamento fatto sopra a proposito della L. n. 370 del 1999 circa il valore di aestimatio sotteso alla quantificazione da essa fatta dell’obbligo risarcitorio non potrebbe, dunque, in alcun modo essere fatto per quanto concerne gli importi di cui al D.Lgs. ed è per questo che non possono avere fondamento i tentativi di utilizzarla come parametro di determinazione del quantum del danno.

Si deve escludere, in particolare che applicare il trattamento di cui alla L. n. 370 del 1999 rispetto al trattamento di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 possa rappresentare un criterio meno favorevole (alla stregua della citata sentenza comunitaria) rispetto a casi analoghi, posto che la situazione degli specializzandi che seguirono i corsi cui non era applicabile il D.Lgs. n. 257 del 1991 non era analoga a quella degli specializzandi che li seguirono.

In sede di rinvio la Corte d’Appello di Roma dovrà, dunque, provvedere, pertanto, a liquidare il risarcimento del danno sulla base del parametro della L. n. 370 del 1999. p.3. Il Collegio ritiene anche necessario precisare, ai fini della corretta gestione dei giudizio di rinvio ed al fine di evitare che insorgano ulteriori questioni, che per effetto della L. n. 370 del 1999, l’aestimatio dell’obbligo risarcitorio da parte del legislatore italiano si risolse in una attività di vera e propria autoliquidazione (consentita, come s’è visto, dato che lo Stato poteva nella sua qualità di legislatore disporre, dovendo rispettare solo esigenze di effettività rispetto all’ordinamento comunitario) del danno derivante dal suo inadempimento. Dal momento dell’entrata in vigore della legge si evidenziò, allora, una monetizzazione del danno derivante dall’inadempimento di quell’obbligo e si trattò di una monetizzazione correlata ad un inadempimento ormai definitivo di esso.

Ritiene il Collegio che tale monetizzazione, dal momento dell’entrata in vigore della legge, determinò la sostituzione all’obbligazione risarcitoria avente natura di debito di valore qual era stata quella dello Stato fino a quel momento, in mancanza di determinazione del suo ammontare, di un’obbligazione avente natura di debito di valuta, cioè avente ad oggetto diretto una somma di danaro.

Tale obbligazione aveva ad oggetto una somma di danaro liquida, ma non esigibile.

Ne consegue che essa era soggetta al regime dell’art. 1219 c.c. e, pertanto, per la produzione degli interessi e del diritto alla consecuzione del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, occorreva un atto di messa in mora.

La Corte di rinvio, dovrà, dunque, riconoscere sulle somme dovute per ciascun anno, determinate alla stregua della L. n. 370 del 1999, art. 11 gli accessori soltanto dalla data dell’eventuale messa in mora o, in mancanza, dalla notificazione della domanda giudiziale.

Lo dovrà fare applicando il seguente principio di diritto: "Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale. Competerà, quindi, la rivalutazione monetaria per preservare il valore della somma indicata" (Cass. sez. un. n. 19499 del 2008). p.4. La sentenza impugnata è, conclusivamente cassata in accoglimento del motivo per quanto di ragione. p.5. Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Roma, comunque, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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