Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione VI Sentenza n. 14057 del 2006 deposito del 03 aprile 2006 STUPEFACENTI Sanzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto e diritto

1. La Corte di appello di Roma, Sezione seconda penale, con sentenza in data 20 aprile 2004, in parziale riforma della condanna pronunciata in primo grado nei confronti di I. C. per il reato di cui agli articoli 81 cpv. Cp e 73 Dpr 309/90, ha ridotto la pena a lui inflitta, esclusa la continuazione, ad anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro dodicimila di multa, con interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, confermando nel resto.

2. Avverso la citata sentenza del 20 aprile 2004 ha proposto personalmente ricorso per cassazione I. C., chiedendone l’annullamento per ?erronea applicazione degli articoli 73 e 75 Dpr 309/90 e relativo vizio di motivazione?.

A suo avviso, la Corte di appello avrebbe errato nel non escludere la destinazione allo spaccio dei 176 grammi di cocaina da lui detenuti, in quanto le risultanze indicate nella sentenza impugnata (occultamento della droga presso la abitazione della sorella; rinvenimento di sostanza da taglio, bilancino di precisione ed attrezzatura varia per il confezionamento delle dosi) non sarebbero elementi idonei a denotare che la cocaina non fosse destinata ad esclusivo uso personale.

Il ricorrente deduce altresì ?erronea applicazione della legge penale e relativo vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione del comma 5 dell’articolo 73 Dpr 309/90?.

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

La Corte di appello di Roma ha già fornito corretta ed adeguata risposta a tutte le censure, già sollevate con i motivi di gravame.

In particolare, nella sentenza impugnata si è puntualizzato che sussistevano ?plurimi elementi indiziari, convergenti verso l’ipotesi della destinazione dello stupefacente detenuto dall’imputato alla cessione?, e cioè:

– ?l’elevato quantitativo di droga complessivamente detenuto (pari a circa 1200 dosi medie giornaliere)?;

– ?il rinvenimento, unitamente alla sostanza stupefacente, all’interno di una cassetta di sicurezza, di un bilancino di precisione, di sostanza da taglio (mannite), di attrezzatura varia per il confezionamento delle dosi (forbici,

– cucchiaino, rotolo di nastro metallico, carta plastificata tipo bancomat per il mescolamento, ben 48 ritagli di buste di cellophane);

– ?l’occultamento della sostanza e della attrezzatura indicate presso la abitazione della sorella, luogo evidentemente ritenuto più sicuro?;

– ?l’aver portato fuori dell’abitazione, con i rischi conseguenti, un quantitativo di cocaina pari ad oltre dieci grammi, e quindi a circa sessanta dosi, certamente superiore e di molto alla quantità che l’imputato avrebbe potuto assumere nella giornata?.

Su queste basi, la Corte dì merito ha osservato che, come correttamente rilevato anche nella sentenza di primo grado, ?la dimostrata condizione di assuntore dello stupefacente poteva tutto al più consentire di ritenere che la droga in parte fosse destinata al consumo personale del detentore, ma non era sufficiente da sola, in relazione alla quantità detenuta ed alla presenza di strumentazioni ed oggetti solitamente posseduti dagli spacciatori, ad accreditare l’ipotesi della destinazione dell’intero stupefacente al fabbisogno personale dell’imputato?.

Infine la Corte di appello ha puntualizzato che il quantitativo elevato di cocaina, ?anche accedendo alla ipotesi di una parziale destinazione dello stupefacente al consumo personale?, unitamente alla buona qualità della sostanza (pura dal 62, 4 al 70, 9 %), escludevano la riconducibilità del fatto nell’ambito della ipotesi attenuata di cui al comma quinto dell’articolo 73 Dpr 309/90.

Le suddette argomentazioni della Corte di appello di Roma costituiscono corretta applicazione delle regole del diritto, in aderenza a consolidati orientamenti giurisprudenziali. Inoltre il tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta affatto quella carenza o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito

che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio di cui all’articolo 606, lettera e), c.p.p., nel quale pure si risolvono le censure. Come si è visto, l’argomentare della Corte di merito é logico ed adeguato e, a fronte di esso, il ricorrente si é limitato sostanzialmente a controbattere generici e indimostrati argomenti di segno contrario. Ma non può certo costituire vizio deducibile in sede dì legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più adeguata) valutazione delle risultanze processuali. Non rientra, infatti, nei poteri di questa Corte quello di compiere, come sostanzialmente si chiede, una ?rilettura? degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa sede circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione.

3. La legge 49/2006 (il cui articolo 4bis ha modificato in senso più favorevole le pene previste per il reato contestato allo I.) non trova applicazione nel caso in esame ai sensi dell’articolo 2, terzo comma Cp, in quanto, trattandosi di ricorso inammissibile per i motivi suesposti, deve ritenersi formato il giudicato e pronunciata sentenza irrevocabile, limite insuperabile anche innanzi a disposizione più favorevole al reo. Anche la dichiarazione di inammissibilità per manifesta infondatezza del ricorso si risolve, infatti, in una absolutio ab istantia derivante dalla mera apparenza dell’atto di impugnazione (Su 32/2000, De Luca).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende [che, in relazione alla peculiarità del caso, si ritiene equo determinare in euro 1.000,00 (mille), non ravvisandosi elementi per escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità].

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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