Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-09-2011) 13-10-2011, n. 36902 Motivazione contraddittoria, insufficiente, mancante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 6013 del 15 ottobre 2010 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la condanna inflitta dal GUP del Tribunale di Nola (sent. del 8.10.2009) a D.M.R. per il reato di cui all’art. 629 c.p..

Avverso la pronunzia di secondo grado l’imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione articolando la censura della mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione.

In primo luogo, il ricorrente lamenta che la Corte di Appello ha reso una motivazione per relationem facendo generico richiamo alla motivazione resa nella sentenza di primo grado omettendo di confutare specificamente le censure proposte con i motivi di gravame.

In secondo luogo, afferma la illogicità della motivazione laddove la Corte di merito non da ingresso al motivo nuovo ex art. 585 c.p.p. costituito dallo stato di incapacità psichica in cui versava il prevenuto al momento del fatto sul mero rilievo che la condizione per l’esame del nuovo motivo sia il nesso logico con le doglianze già esposte nel ricorso in appello.

In terzo luogo, lamenta omessa motivazione in ordine agli elementi da valutare ai fini dell’art. 133 c.p. essendosi la corte di merito limitata ad una motivazione estremamente sintetica che non ha tenuto conto della effettiva personalità del reo, semplicemente dedotta dalla gravità dei fatti commessi e dei precedenti penali.

2. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.p., lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche.

La motivazione per relationem si riferisce a motivazione contenuta nella sentenza di primo grado come tale conosciuta dall’interessato:

soddisfacendosi così il fondamentale presupposto per il ricorso a tale tecnica redazionale (cfr. Cass., sez. 1 28.11.2001). Inoltre, la Corte di Appello non si è limitata ad un mero rinvio ma ha criticamente esposto le ragioni della sua condivisione:

soddisfacendosi così un altro fondamentale presupposto della motivazione per relationem (cfr. Cass, sez. 1 21.06.2000). Infine, ha avuto cura di precisare che le censure formulate a carico della sentenza appellata non contengono elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi nella decisione stessa; nel qual caso il giudice del gravame non è tenuto a nuovo esame di doglianze genericamente reiterate qualora possa constatarsi la correttezza del percorso logico svolto nella decisione impugnata (Cass, sez. 6, 15.07.2004, n. 31080).

Nemmeno si ravvisa la illogicità della motivazione laddove la Corte di merito non da ingresso al motivo nuovo ex art. 585 c.p.p. costituito dallo stato di incapacità psichica in cui versava il prevenuto al momento del fatto giacchè non è dato riscontrare – come invece è richiesto dalla costante giurisprudenza – alcun nesso di derivazione o contiguità logica di questo motivo con i motivi già espressi nel ricorso in appello, i quali non costituiscono premessa dei motivi aggiunti nè ne risultano rischiarati (cfr. Cass. 1 sez., 1 ottobre 2009, n. 40174).

Circa il difetto di motivazione per illogicità ed incompletezza con riguardo alla determinazione della pena, deve rilevarsi che a fronte della sintetica ma pregnante motivazione fondata sulle circostanze del fatto delittuoso e sui precedenti penali del prevenuto si pone una doglianza consistente nella semplice non condivisione delle conclusioni a cui la Corte di Appello è giunta circa la personalità del reo. Anche tale vizio è dunque del tutto insussistente.

3. – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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