Corte Costituzionale sentenza n. 241 SENTENZA 22 – 24 ottobre 2014

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SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 271, comma
2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso dal Consiglio di
Stato nel procedimento vertente tra la Lega Toscana delle autonomie
locali ed altra e il Comune di Lastra a Signa, con ordinanza del 25
luglio 2012 iscritta al n. 18 del registro ordinanze 2013 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima
serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione della Lega Toscana delle autonomie
locali, della Lega delle autonomie locali (Legautonomie), nonche’
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre 2014 il Giudice
relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Giuseppe Morbidelli per la Lega Toscana delle
autonomie locali, Fabio Elefante e Domenico Ielo per Lega delle
autonomie locali (Legautonomie) e l’avvocato dello Stato Marina Russo
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio d’appello della sentenza di rigetto
di un ricorso proposto dalla Lega Toscana delle autonomie locali,
associazione regionale di enti locali, aderente alla Lega delle
autonomie locali (Legautonomie), avverso il provvedimento con il
quale il Comune di Lastra a Signa ha respinto la richiesta
finalizzata ad ottenere il distacco temporaneo di un dipendente
comunale presso la sede dell’associazione, il Consiglio di Stato,
sezione V, con ordinanza emessa il 25 luglio 2012, ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 271, comma 2, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui esclude la
possibilita’ per gli enti locali di distaccare il proprio personale
anche presso associazioni diverse da quelle tassativamente indicate».
Il rimettente premette che l’elenco, contenuto nella norma
censurata, delle associazioni in favore delle quali e’ consentito il
distacco dei dipendenti comunali ha carattere tassativo, come
evidenziato dal dato letterale della norma stessa (in mancanza di
alcuna locuzione volta a chiarire la caratterizzazione
esemplificativa dell’elencazione e la possibilita’ di estendere la
sfera di operativita’ di tale normativa anche ad altre associazioni
di enti locali, oltre agli «organismi nazionali e regionali
dell’Anci, dell’Upi, dell’Aiccre, dell’Uncern, della Cispel e sue
federazioni»), oltre che da quello sistematico (desumibile dal
precedente art. 270, che – in tema di riscossione dei contributi
associativi – ne estende la portata dispositiva anche alle altre
associazioni di enti locali diverse da quelle enumerate).
Ritenuta la rilevanza della questione (giacche’ il diniego
impugnato risulta basato proprio sulla affermata tassativita’
dell’elenco delle associazioni contemplate dalla norma), quanto alla
non manifesta infondatezza il rimettente osserva che la previsione di
un numerus clausus di associazioni potenzialmente beneficiarie dei
distacchi in esame si pone innanzitutto in contrasto con l’art. 3
della Costituzione, venendo a consacrare una ingiustificata
disparita’ di trattamento in danno delle associazioni diverse da
quelle tipizzate e degli enti locali che aderiscano a tali
associazioni, che non possono giovarsi del meccanismo normativamente
enucleato. Inoltre, la previsione di un elenco rigido produce una
irragionevole cristallizzazione delle associazioni beneficiarie che
opera in modo avulso dalla verifica del dato, potenzialmente
variabile, dell’effettiva assunzione di un altrettanto o piu’
rilevante grado di rappresentativita’ e meritevolezza anche da parte
di associazioni diverse.
Sulla base di tali considerazioni, il rimettente denuncia anche
un vulnus al principio di liberta’ di associazione, tutelato
dall’art. 18 Cost., in quanto l’irragionevole preclusione
dell’operativita’ del beneficio in favore di altre associazioni
produce un deterrente rispetto all’adesione dell’ente locale a tali
associazioni (incidendo negativamente sul valore del pluralismo e
sulla liberta’ di scegliere le associazioni a cui aderire), nonche’
«una discriminazione, non ancorata a concreti parametri
giustificativi, delle associazioni costituite mediante
l’estrinsecazione della liberta’ cristallizzata da detto precetto
costituzionale».
Secondo il Collegio a quo, la differenziazione di regime
giuridico tra le associazioni in esame non trova adeguato fondamento
nell’esigenza di contenere la spesa pubblica, ne’ nel piu’ generale
principio di buon andamento dell’azione amministrativa, visto che, in
una prospettiva costituzionalmente orientata che armonizzi i valori
in gioco, dette finalita’ vanno perseguite con la previsione di
limiti al personale distaccabile e non con la limitazione
irragionevole delle associazioni beneficiarie del distacco. Al
contrario, l’esigenza di contenimento della spesa pubblica e di
tutela dell’efficienza amministrativa non puo’ essere fronteggiata
con l’imposizione statale del novero delle associazioni presso cui
gli enti locali possono distaccare il proprio personale ma deve
transitare attraverso la valorizzazione della facolta’ degli enti
locali, espressione dell’autonomia organizzativa costituzionalmente
protetta, di scegliere a quali organismi destinare il proprio
personale. E, in ragione di cio’, il rimettente censura la norma
statale anche per violazione degli artt. 114, 118 e 119 Cost., «nella
misura in cui lede l’autonomia costituzionalmente garantita degli
enti locali», e dell’art. 97 Cost. nella parte in cui la previsione
dell’elencazione tassativa «discrimina i soggetti che entrano in
contatto con gli enti locali».
2.- Si sono costituite la Lega Toscana delle autonomie locali e
la Lega delle autonomie locali (Legautonomie), entrambe parti del
giudizio principale, in qualita’ rispettivamente di ricorrente ed
interveniente ad adiuvandum, che hanno concluso per l’accoglimento
della sollevata questione, concordando con le argomentazioni svolte
dal rimettente, soprattutto con riferimento alla denunciata
violazione degli artt. 3 e 18 Cost., in ragione del fatto che la
Legautonomie ha sicuramente la stessa natura e gli stessi caratteri
delle altre associazioni menzionate dalla norma censurata, in quanto
associazione di categoria che tutela esclusivamente gli interessi
degli enti locali, che per di piu’ ha carattere nazionale articolato
in strutture regionali.
In particolare, la Lega delle autonomie locali – analizzata la
propria storia e l’attivita’ espletata anche dalle articolazioni
regionali, come organizzazione rappresentativa delle autonomie locali
a servizio delle stesse – osserva che appare evidente, anche alla
luce della giurisprudenza della Corte relativa alle associazioni
sindacali (cui ritiene assimilabili le associazioni degli enti
locali), il contrasto con il principio pluralistico partecipativo
(fondante il nostro ordinamento costituzionale), che impone che a
tutte le associazioni aventi le medesime finalita’ e rappresentative
di una medesima categoria debba essere garantita la parita’ di
trattamento (giacche’ una differenziazione tra associazioni aventi
finalita’ omogenee e’ ammissibile solo ove abbia un fondamento
ragionevole).
3.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocature generale dello Stato,
concludendo per la non fondatezza della sollevata questione.
La difesa dello Stato osserva come l’istituto del distacco di
pubblici dipendenti (in quanto comporta la sottrazione, in via
eccezionale, di risorse umane normalmente in forza all’organico
distaccante), conformemente al principio di buon andamento della
pubblica amministrazione, non possa essere consentito
indiscriminatamente verso qualunque associazione, ma solo se
affettivamente corrisponda agli interessi istituzionali dell’ente. E
rileva, dunque, che il legislatore ha operato un vaglio preventivo,
esprimendo un giudizio positivo circa la possibilita’ di distacco
presso quelle, tra le associazioni di enti locali esistenti, ritenute
meritevoli (nell’esercizio della propria discrezionalita’). Esclusa,
infatti, la conferenza della richiamata giurisprudenza costituzionale
in materia di rappresentativita’ delle associazioni sindacali, in
quanto per le associazioni degli enti locali non esiste un analogo
criterio selettivo generale ed obiettivo, la difesa dello Stato
sottolinea che la norma censurata non riguarda il pluralismo o la
liberta’ sindacale, bensi’ l’applicazione di un istituto che comunque
rappresenta una eccezione rispetto alla regola dell’utilizzo diretto
dei dipendenti da parte dell’ente locale di appartenenza. Utilizzo
che quindi e’ consentito in un’ottica restrittiva, giustificata sotto
il profilo della ragionevolezza dalla esigenza di buon andamento
della pubblica amministrazione e della certezza dei casi in cui
l’istituto derogatorio puo’ operare; e la regolamentazione del quale,
nella specie, non comporta la violazione di alcuno degli evocati
parametri.
4.- Nell’imminenza dell’udienza, la Lega Toscana delle autonomie
locali e la Lega delle autonomie locali hanno depositato memorie, in
cui ribadiscono le rassegnate conclusioni, richiamando ed
approfondendo le ragioni svolte a sostegno delle stesse.

Considerato in diritto

1.- Il Consiglio di Stato censura il comma 2 dell’art. 271 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), i cui primi due periodi
prevedono che «Gli enti locali, le loro aziende e associazioni dei
comuni possono disporre il distacco temporaneo, a tempo pieno o
parziale, di propri dipendenti presso gli organismi nazionali e
regionali dell’Anci, dell’Upi, dell’Aiccre, dell’Uncem, della Cispel
e sue federazioni, ed autorizzarli a prestare la loro collaborazione
in favore di tali associazioni. I dipendenti distaccati mantengono la
posizione giuridica ed il corrispondente trattamento economico, a cui
provvede l’ente di appartenenza.».
A giudizio del rimettente, tale norma – «nella parte in cui
esclude la possibilita’ per gli enti locali di distaccare il proprio
personale anche presso associazioni diverse da quelle tassativamente
indicate» – si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 3 della
Costituzione, per ingiustificata disparita’ di trattamento in danno
delle associazioni diverse da quelle tipizzate e degli enti locali
che aderiscano a tali associazioni, che non possono giovarsi del
meccanismo normativamente enucleato; e per la irragionevole
cristallizzazione delle associazioni beneficiarie che opera in modo
avulso dalla verifica del dato, potenzialmente variabile
dell’effettiva assunzione di un altrettanto o piu’ rilevante grado di
rappresentativita’ e meritevolezza anche da parte di associazioni
diverse; b) con l’art. 18 Cost., in quanto l’irragionevole
preclusione dell’operativita’ del beneficio in favore di altre
associazioni produce un deterrente rispetto all’adesione dell’ente
locale a tali associazioni (incidendo negativamente sul valore del
pluralismo e sulla liberta’ di scegliere le associazioni a cui
aderire) ed «una discriminazione, non ancorata a concreti parametri
giustificativi, delle associazioni costituite mediante
l’estrinsecazione della liberta’ cristallizzata da detto precetto
costituzionale»; c) con gli artt. 114, 118 e 119 Cost., «nella misura
in cui lede l’autonomia costituzionalmente garantita degli enti
locali»; d) con l’art. 97 Cost., nella parte in cui la previsione
dell’elencazione tassativa «discrimina i soggetti che entrano in
contatto con gli enti locali».
2.- La questione e’, sotto diversi profili, inammissibile.
3.- Va, preliminarmente, rilevato che l’intero impianto
motivazionale dell’ordinanza di rimessione – che muove dalla
riaffermazione (non contestata) del carattere tassativo della norma
censurata – risulta incentrato sulla lamentata lesione del principio
di uguaglianza per ingiustificata disparita’ di trattamento a sfavore
delle associazioni diverse da quelle tipizzate dalla norma medesima
entro un numerus clausus di associazioni potenzialmente beneficiarie
dei distacchi in esame. A giudizio del Collegio a quo, tale
disparita’ (il cui potenziale lesivo viene posto a fondamento di
tutte le censure riferite ai singoli parametri evocati) sarebbe
altresi’ accentuata dalla «cristallizzazione delle associazioni
beneficiarie che opera in modo avulso dalla verifica del dato,
potenzialmente variabile, dell’effettiva assunzione di un altrettanto
o piu’ rilevante grado di rappresentativita’ e meritevolezza anche da
parte di associazioni diverse».
3.1.- Tale essendo la prospettazione, risulta innanzi tutto come
la generale denuncia della lesione del principio di uguaglianza
(rappresentata, come detto, quale vulnus che connota anche tutte le
altre censure) sia svolta dal rimettente sulla base di un assunto,
non altrimenti argomentato (e pertanto in se’ apodittico), che
prescinde dalla formulazione (e dalla soluzione) di quel giudizio di
relazione tra la disciplina censurata e quella proposta quale modello
di coerenza costituzionale, che dovrebbe costituire la premessa
argomentativa necessaria per affrontare (e risolvere) il sotteso
controllo di ragionevolezza della norma impugnata.
Questa Corte ha, infatti, affermato che «il parametro della
eguaglianza non esprime la concettualizzazione di una categoria
astratta, staticamente elaborata in funzione di un valore immanente
dal quale l’ordinamento non puo’ prescindere, ma definisce l’essenza
di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto
necessariamente dinamico» (sentenza n. 89 del 1996). Pertanto,
poiche’ «il principio di eguaglianza esprime un giudizio di relazione
in virtu’ del quale a situazioni eguali deve corrispondere l’identica
disciplina e, all’inverso, discipline differenziate andranno
coniugate a situazioni differenti, cio’ equivale a postulare che la
disamina della conformita’ di una norma a quel principio deve
svilupparsi secondo un modello dinamico, incentrandosi sul "perche’"
una determinata disciplina operi, all’interno del tessuto egualitario
dell’ordinamento, quella specifica distinzione, e quindi trarne le
debite conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo».
3.2.- A fronte di siffatta giurisprudenza – che muove dalla
constatazione secondo la quale, «essendo qualsiasi disciplina
destinata per sua stessa natura ad introdurre regole e, dunque, a
operare distinzioni, qualunque normativa positiva finisce per
risultare necessariamente destinata ad introdurre nel sistema fattori
di differenziazione» -, il giudice a quo non ha specificamente
argomentato (se non assertivamente affermandola) l’effettiva
comparabilita’ di tali fattori.
L’ordinanza di rimessione risulta, infatti, carente di una
adeguata motivazione, sia delle ragioni sottese alla formulazione
della regola contenuta nella normativa oggetto di censura (di cui
viene denunciato esclusivamente il carattere tassativo), sia dei
motivi della ritenuta (ma, anch’essa, non altrimenti motivata)
omogeneita’ (quanto a caratteri, struttura associativa, compiti e
funzioni) delle associazioni ricorrenti rispetto a quelle contemplate
dalla norma, omogeneita’ che determinerebbe la necessita’ di
estendere ad esse la disciplina in esame. Una tale lacuna risulta
ancor piu’ evidente ove si ponga mente al fatto che il rimettente
neppure considera (se non altro per contestarne le affermazioni) la
decisione, pronunciata nel primo grado dello stesso giudizio a quo,
che ha dichiarato manifestamente infondata analoga questione di
legittimita’ costituzionale, per esclusione del dedotto carattere
immotivato e discriminatorio della formulazione dell’elenco di cui
alla norma impugnata (sull’assunto che esso «comprende tipologie
precise di associazioni di Enti locali, individuandone una per ogni
tipologia»: Tribunale amministrativo regionale per la Toscana,
sezione seconda, 14 ottobre 2009, n. 1542).
3.3.- Il Collegio si limita viceversa a richiamare, da un lato,
quanto disposto dall’art. 270 dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000
(che, nella particolare materia di riscossione dei contributi
associativi, estende la favorevole portata dispositiva anche alle
altre associazioni, diverse da quelle enumerate); e, dall’altro lato,
la giurisprudenza di questa Corte, che (in tema di verifica della
rappresentativita’ delle associazioni sindacali) ne sottolinea
l’esigenza al fine di evitare una identificazione aprioristica delle
stesse.
Nel contempo, tuttavia, esso non spende alcuna argomentazione in
ordine alla configurabilita’ di quella eadem ratio della disciplina
impugnata con quella degli evocati tertia comparationis (sentenza n.
142 del 2014; ordinanze n. 101 e n. 16 del 2014) che sola porterebbe
a ritenere "irragionevole", e per cio’ stesso arbitraria, la scelta
discrezionale del legislatore di differenziare il trattamento di
situazioni di comprovata omogeneita’. Ne’ giustifica la auspicata
estensione del criterio di "maggiore rappresentativita’" (enucleato
dalla giurisprudenza della Corte in rapporto alla specificita’ – di
diretta matrice costituzionale – della regolamentazione delle
organizzazioni sindacali: da ultimo sentenza n. 231 del 2013) per
individuare le associazioni di enti locali destinatarie del beneficio
in esame.
4.- Altrettanto priva di sufficiente apporto argomentativo
risulta la censura riferita alla violazione dell’art. 18 Cost.,
dedotta in quanto l’asserita irragionevole preclusione
dell’operativita’ del beneficio in favore di altre associazioni
produrrebbe un deterrente rispetto all’adesione dell’ente locale a
tali associazioni ed «una discriminazione, non ancorata a concreti
parametri giustificativi, delle associazioni costituite mediante
l’estrinsecazione della liberta’ cristallizzata da detto precetto
costituzionale».
Anche rispetto a tale vulnus, manca una qualche argomentazione
circa le prospettate ragioni di incostituzionalita’ con riguardo alla
concreta diretta incidenza della mancata fruizione del beneficio
sulla liberta’ di associazione (e quindi sul ventaglio dei diritti a
tale liberta’ correlati). Peraltro, il rimettente omette di
argomentare in ordine alle conseguenze (in termini di
configurabilita’ o meno della esistenza di situazioni giuridiche
attive facenti capo alla associazione, che sarebbero compromesse
dalla norma) del fatto che la possibilita’ del distacco temporaneo
del personale degli enti pubblici presso gli organismi delle
associazioni menzionate dalla norma censurata rappresenta una mera
facolta’ attribuita alla discrezionalita’ degli enti stessi e che
quindi la possibilita’ di essere destinatarie del beneficio non puo’
dar luogo a pretese da parte delle associazioni de quibus (neanche di
quelle menzionate dalla norma).
5.- Del tutto immotivate (poiche’ genericamente riferite agli
evocati parametri, senz’altra argomentazione) si configurano anche le
denunciate ulteriori violazioni che la norma arrecherebbe agli artt.
114, 118 e 119 Cost., «nella misura in cui lede l’autonomia
costituzionalmente garantita degli enti locali»; ed all’art. 97 Cost.
nella parte in cui la previsione dell’elencazione tassativa
«discrimina i soggetti che entrano in contatto con gli enti locali».
6.- A siffatti profili di inammissibilita’ della sollevata
questione, per carenza di motivazione in ordine alla sua non
manifesta infondatezza, si aggiunge infine quello derivante dalla
specifica formulazione della richiesta di pronuncia di
incostituzionalita’ della norma, censurata «nella parte in cui
esclude la possibilita’ per gli enti locali di distaccare il proprio
personale anche presso associazioni diverse da quelle tassativamente
indicate» nella norma stessa. Tale petitum, per la ampiezza della sua
portata additiva – in cui, tra l’altro, l’evocato principio della
maggiore rappresentativita’ neppure viene contemplato quale criterio
per l’attribuzione del beneficio de quo -, non si configura come
unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze n. 81 e n. 30
del 2014), in quanto diretta ad una generale ed indiscriminata
estensione dell’ambito di applicabilita’ del beneficio medesimo a
tutte le altre associazioni di enti locali.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 271, comma 2, del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 18, 97, 114,
118 e 119 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione V, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2014.

F.to:
Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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