Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-09-2011) 13-10-2011, n. 36900

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 397 del 25 febbraio 2010 la Corte di Appello dell’Aquila ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Pescara (sent. n. 634/2004) a S.S. per il reato di rapina.

Avverso la pronunzia di secondo grado l’imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione articolando la censura della mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione. In particolare, il ricorrente lamenta che le argomentazioni del giudice di appello risultano incomplete non tenendo conto della specifica doglianza, formulata nell’atto di appello, sulla mancata irrogazione da parte del Tribunale di una pena corrispondente al minimo edittale.

2. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve dichiararsi inammissibile. Nel giudizio di Cassazione deve essere accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito nel rispetto delle norme processuali e sostanziali.

Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco).

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone). Il giudice di merito inoltre non è tenuto a confutare ogni specifica argomentazione dedotta con l’atto di appello in quanto il concetto di mancanza di motivazione non include ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori perchè un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce acquista un significato diverso da quello attribuibile in una valutazione completa delle prove acquisite (Cass. 1, 22.12.98 n. 13528, ud.

11.11.98, rv. 212053). Non può quindi dedursi vizio di motivazione per avere il giudice di merito trascurato uno o più elementi di valutazione che ad avviso del ricorrente avrebbero potuto o dovuto portare ad una diversa valutazione, perchè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità (Cass. 5, 17.4.00 n. 2459, Garasto; Cass. 1, 11.6.92 n. 6922, ud. 11.5.92, Cannarozzo).

Ciò premesso, in punto di determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale, la decisione rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. (Cass. sez. 4, sentenza nr.

41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278).

Nel caso in esame la Corte di Appello, effettuata una puntuale ricostruzione e valutazione dei fatti di causa e della specifica gravità degli stessi, seguendo un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche, ha dichiarato la pena irrogata in primo grado del tutto adeguata e proporzionata al fatto anche alla luce dei precedenti, in parte specifici, del prevenuto. Cosicchè il vizio motivazionale non sussiste.

3. – All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si stima equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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