Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4746 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Z.M. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a sei motivi – contro il decreto depositato in data 9.11.2010 con il quale il Tribunale di Treviso ha rigettato la sua opposizione allo stato passivo del fallimento della s.p.a. Rosada Window System.

L’opponente lamentava l’esclusione del proprio credito di Euro 220.393,41, insinuato in via privilegiata ex art. 2751 bis c.c., in forza di due contratti a progetto e di un contratto dirigenziale a tempo indeterminato. La curatela intimata ha resistito con controricorso. In data 22.2.2011 il ricorrente ha notificato dichiarazione di rinuncia al credito per TFR e il curatore ha accettato la rinuncia.

Con decreto del presidente della Sezione è stata dichiarata l’estinzione del giudizio.

A seguito di istanza del ricorrente ex art. 391 c.p.c., comma 3, è stata fissata la pubblica udienza. La curatela intimata, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c., ha depositato memoria.

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità del procedimento e della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 101, 112, 113 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 2772 c.c.". Deduce che il tribunale ha erroneamente applicato la limitazione di cui all’art. 2722 c.c. d’ufficio e senza alcuna contestazione di parte, se non in relazione al capitolo di prova n. 4.

Inoltre, trattandosi di credito di lavoro, il giudice del merito avrebbe dovuto applicare le norme di cui all’art. 409 c.p.c., e segg..

Deduce che la prova incide anche sulla natura privilegiata del credito per rimborso.

2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 101, 112, 113 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 2724 c.c..

Deduce che erroneamente il tribunale ha omesso di valutare come principio di prova scritta i documenti prodotti dal ricorrente (fatture emesse dal ristorante con bonifico effettuato dalla fallita, lettere inviate dalla fallita, mastrino contabilità Rosada);

documenti che avrebbero reso ammissibili le prove orali ai sensi dell’art. 2724 c.c..

2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e deduce che il giudice del merito avrebbe dovuto applicare l’art. 421 c.p.c. che consente la deroga all’art. 2722 c.c..

2.4.- Con il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 101, 112, 113 e 115 c.p.c. in relazione alla L. Fall., art. 95 lamentando che il tribunale abbia ritenuto inammissibile la domanda come precisata con "nota integrativa" presentata all’udienza di formazione dello stato passivo con indicazione di un maggior credito per Euro 5.425,73 e così complessivamente Euro 220.393,41 in luogo della minor somma di Euro 214.967,68 di cui alla domanda di ammissione.

L’errore – deduce – era stato causato dal consulente della procedura fallimentare il quale aveva comunicato dati errati.

L’udienza di formazione dello stato passivo è equiparabile a quella di precisazione delle conclusioni e la correzione doveva essere ritenuta ammissibile.

2.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dirigenti del 23.5.2000, così come modificato dall’accordo del 26.3.2003, ex art. 360, n. 3, nonchè omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 ed in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., artt. 101, 112, 113 e 115 c.p.c..

Deduce che l’art. 10 del predetto c.c.n.l. prevede il diritto al rimborso delle spese di vitto, alloggio e viaggio e il tribunale ha errato nel decidere soltanto sulla base della regolamentazione pattizia.

L’applicabilità del c.c.n.l. risulterebbe anche dal contratto a tempo indeterminato prodotto e dalle buste paga allegate.

2.6.- Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dirigenti del 23.5.2000, così come modificato dall’accordo del 26.3.2003, ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5; ed in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., 101, 112, 113 e 115 c.p.c., quanto all’esclusione del diritto al rimborso delle spese per il periodo di lavoro prestato a favore della curatela fallimentare.

3.- Va premesso che i dubbi sollevati dalla curatela resistente con la memoria difensiva circa la possibilità di "impugnazione" del decreto presidenziale di estinzione sono infondati.

Infatti, l’art. 391 c.p.c., comma 3, come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 15 nel prevedere che il decreto presidenziale di estinzione del processo abbia efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chieda la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, attribuisce alle parti in causa, che non ritengano esaustivo il provvedimento presidenziale di estinzione emanato a seguito della rinunzia, la possibilità di chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla controversia, senza imporre l’onere di indicare i motivi di tale richiesta. Tale disposizione, infatti, non configurando un rimedio di carattere impugnatorio, consente alle parti di chiedere il passaggio ad una fase successiva per un esame completo della controversia, nell’ambito della quale la Corte può valutare se l’istanza di estinzione sia stata correttamente emanata oppure, in caso contrario, procedere all’esame del ricorso per cassazione (Cass., n. 15817/2009). Nella concreta fattispecie è pacifico tra le parti che la rinuncia accettata concernesse soltanto il maggior credito reclamato a titolo di TFR, sì che la rinuncia era riferita non al ricorso bensì ai motivi relativi alla detta voce del credito insinuato.

3.1.- Ciò premesso, va rilevato che tutti i motivi di ricorso – là dove non sono inammissibili – sono infondati.

Infatti, il giudice del merito ha rigettato l’opposizione evidenziando che a) quanto alla somma richiesta a titolo di retribuzioni ed indennità varie, pari ad Euro 101.283,86, andava confermato il provvedimento del Giudice Delegato che aveva ammesso la somma di Euro 90.721,80 in via privilegiata ex art. 2751 bis c.c., n. 1 tenendo conto della domanda iniziale ed escludendo l’importo riferito ad un periodo successivo alla dichiarazione di fallimento;

b) in ordine alla richiesta di rimborsi spese di varia natura, della domanda avente ad oggetto una somma pari ad Euro 59.756,71 in privilegio, il GD aveva ammesso la somma di Euro 58.943,06 in chirografo. L’importo ricomprendeva l’esatto ammontare richiesto dallo Z., corrispondente alle risultanze contabili e gli interessi legali; l’eccedenza esclusa riguardava la rivalutazione e tale decisione doveva essere confermata perchè mancava la prova del maggior danno da svalutazione monetaria mentre non competeva il privilegio richiesto considerato che il rimborso delle spese non assume in alcun modo carattere retributivo;

c) quanto ai rimborsi per spese di alloggio, chiesti nella misura di Euro 43.904,98, il GD aveva correttamente respinto la domanda non essendo contestato che parte della somma richiesta, pari a Euro.

4.100,00, si riferisse alle spese di alloggio nel periodo giugno- ottobre 2006, vigente il contratto a progetto, e che il residuo si riferisse al periodo in cui il ricorrente era stato ormai assunto come dirigente a tempo indeterminato. Invero, il contratto a progetto prevedeva un compenso mensile di Euro 1.500,00 oltre al rimborso delle spese sostenute per gli spostamenti da (OMISSIS), sede di lavoro e luogo di residenza dello Z., tuttavia, dal 1 giugno 2006, le parti avevano previsto un aumento del compenso ad Euro 3.170,00, aumento che, a parità di prestazioni, appariva giustificato dal fatto che ricomprendeva anche il rimborso delle spese, come si desumeva dalla diversa intestazione delle fatture, non più alla società Rosada, bensì allo Z. direttamente, dalla stabile permanenza dello Z. a (OMISSIS), nonchè dal fatto che dopo pochi mesi, ossia il 2/11/06, lo Z. era stato assunto a tempo indeterminato con uno stipendio pari ad Euro 4.218,00 senza che fosse previsto il rimborso delle spese e con previsione della nuova sede di lavoro in (OMISSIS), non più in (OMISSIS).

Le prove testimoniali erano inammissibili ex art. 2722 c.c. in quanto dirette a dimostrare circostanze contrarie alle risultanze documentali o patti aggiunti al contratto a tempo indeterminato;

Inoltre, era superfluo l’ordine di esibizione della documentazione contabile richiesto dal ricorrente, in quanto la denominata "prassi di rimborso" non poteva superare il titolo del rimborso stesso, ossia il contratto e la sua interpretazione;

d) Quanto ai rimborsi delle spese varie riferite al periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, pari ad Euro 10.022,13, andava confermata la decisione di rigetto del GD in quanto si trattava di spese non autorizzate dal curatore e sulle quali non era contestato essere intervenuto un accordo tra le parti.

3.2.- Alla luce dell’adeguata e logica motivazione innanzi trascritta appare del tutto generico e privo di autosufficienza il primo motivo di ricorso là dove censura la violazione dell’art. 2722 c.c., in quanto il ricorrente non spiega la decisività delle prove richieste a fronte dell’accertamento operato dal tribunale circa l’irrilevanza della "prassi di rimborso" ai fini della prova del diritto al rimborso di spese diverse da quelle che le circostanze capitolate sub 5), 6), 8), 9) e 10) tendono a dimostrare come effettivamente rimborsate, mentre la diversa intestazione delle fatture di cui ai capitoli sub 1), 2), 3), 7) e 11) è del tutto congruente con l’accertamento operato dal giudice del merito circa la variazione contrattuale avvenuta a seguito dello spostamento della sede di lavoro a (OMISSIS), con previsione di aumento del compenso, comprensivo del rimborso delle spese.

Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte (per tutte v. Sez. 6, n. 17915/2010; Sez. 3, n. 5479/2006), allorchè nel ricorso per cassazione sia denunciata la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, è necessario che il ricorrente non si limiti ad una censura generica, ma invece specifichi gli elementi di giudizio dei quali lamenta la mancata acquisizione, evidenziando il contenuto e le finalità della richiesta istruttoria. Più in particolare, ove si tratti di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare specificamente non solo le circostanze che formavano oggetto della prova, ma anche quale ne fosse la rilevanza ed a qual titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza.

Il secondo motivo è inammissibile perchè non indica quando e in quali termini in sede di merito sia stata invocata l’applicazione dell’art. 2724, c.c., n. 1. L’esame della censura presuppone un accertamento in fatto (sul contenuto dei documenti prodotti) non consentito in sede di legittimità.

Il terzo motivo è infondato alla luce del principio giurisprudenziale secondo il quale l’art. 421 cod. proc. civ. sui poteri istruttori ufficiosi del giudice, è norma relativa al rito del lavoro e non trova applicazione nel giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 98, anche se si facciano valere diritti derivanti da un rapporto di lavoro subordinato con l’impresa assoggettata alla procedura concorsuale (Sez. 1, n. 11856/2006).

Anche il quarto motivo è infondato nella parte in cui il ricorrente sostiene che a seguito della riforma l’udienza destinata all’esame dello stato passivo coincida con quella di precisazione delle conclusioni del rito ordinario. Invero, questa Corte ha già avuto modo di precisare che, se alla luce delle norme previgenti la giurisprudenza considerava inammissibile, in sede di opposizione, il far valere un credito di diverso ammontare rispetto a quello specificato con l’istanza di insinuazione (Sez. 1, Sentenza n. 10241/1992), e se tale era il rigore della giurisprudenza prima della riforma, ora che la fase necessaria dell’accertamento del passivo è scandito da termini perentori, a maggior ragione l’orientamento restrittivo deve essere mantenuto anche per la fase sommaria, nella quale è prevista la predisposizione, da parte del curatore fallimentare, di un progetto di stato passivo contenente in relazione a ciascuna domanda le sue motivate conclusioni; progetto che deve essere depositato nella cancelleria del tribunale almeno quindici giorni prima dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo, con facoltà per i creditori, i titolari di diritti sui beni ed il fallito di esaminare il progetto stesso e di presentare osservazioni scritte e documenti integrativi fino all’udienza. In questa il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati, senza che sia ammessa integrazione alcuna. Conclusione raggiunta anche alla luce della specifica disciplina dettata per le ipotesi di omessa o assolutamente incerta indicazione dei requisiti di cui alla L. Fall., art. 93, nn. 2 e 3 con la previsione dell’inammissibilità, in luogo della nullità prevista per il giudizio ordinario di cognizione, con la conseguente inapplicabilità del regime di sanatoria e di integrazione dettata dall’art. 164 c.p.c., essendo, peraltro, prevista espressamente la riproponibilità (ovviamente in via tardiva) della domanda dichiarata inammissibile (Sez. 1, Sentenza n. 15702 del 2011).

La censura, poi, è inammissibile nella parte in cui deduce l’esistenza di errore materiale indotto dal consulente della procedura anche perchè il ricorrente non specifica a quale delle tante voci di cui è composto il credito insinuato si riferisca la maggior somma richiesta di Euro 5.425,73.

Infine, il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili perchè l’applicazione del c.c.n.l. non risulta invocata in sede di merito ed è quindi questione nuova dedotta per la prima volta, in ammissibilmente, in sede di legittimità.

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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