Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4742 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Genova in riforma della decisione 799/2006 del Tribunale della Spezia, ha attribuito ad T.I., nonchè a R.G., ritenuti affittuari coltivatori diretti di un fondo di proprietà della famiglia V. F., espropriato con decreto 17 maggio 1988 dal comune di La Spezia, l’indennità aggiuntiva di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 17 in quanto: a) la prova del rapporto agrario si traeva dal verbale di consistenza del terreno redatto 14 ottobre 1986 e recepito dalla Giunta con Delib. n. 819 del 1986, in cui costoro erano indicati quali affittuari dell’immobile; b) quella dello spossessamento era implicita,non essendo ipotizzabile la mancata utilizzazione del fondo da parte del comune dopo il deposito delle somme ritenute dovute a titolo di indennità di espropriazione, comunque smentita dalla successiva Delib. n. 584 del 2000, che ne aveva programmato la futura destinazione.

Per la cassazione della sentenza il comune ha proposto ricorso per 3 motivi cui resistono il T., nonchè Li. e L. S., quali eredi della R., deceduta nelle more.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il comune, deducendo omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia censura la sentenza impugnata per avere tratto la prova dell’abbandono del fondo da parte degli asseriti affittuari da una Delib. comunale (n. 584 del 2000) con la quale a seguito della mancata retrocessione dell’immobile utilizzato ai proprietari era stato raggiunto con gli stessi un accordo onde definire la controversia in corso; e ciò dopo avere ammesso che nessuna immissione in possesso vi era stata da parte di essa amministrazione, sicchè in definitiva detta prova era stata ricavata da una serie di considerazioni sul principio di buona amministrazione che avrebbero dovuto indurla a prendere possesso del fondo.

Con il secondo motivo,deducendo violazione della L. n. 865 del 1971, art. 17 si duole che la decisione abbia ritenuto non contestato il contratto di affitto peraltro a coltivatore diretto,che invece doveva essere documentato dagli affittuari; ed abbia confuso con tale rapporto la materiale detenzione del terreno da parte dei T., non riconosciuta neppure dalla delibera comunale, che si era riferita in termini generali ad eventuali "diritti reali o personali di godimento sull’area e conseguenti indennità".

Con il terzo, deducendo altra violazione della L. n. 865, art. 17 censura la decisione per aver fondato la prova dell’abbandono del fondo su circostanze che pur se documentate si sarebbero verificate nell’anno 2000, allorchè dunque i T. se ne erano allontanati da diversi anni.

Il ricorso è fondato.

Dalla disposizione della L. n. 865 del 1971, art. 17 come costantemente interpretata da questa Corte, si ricava infatti che la stessa:

1) riconosce il diritto alla cosiddetta indennità aggiuntiva in favore dei soggetti che traggono i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo (fittavolo, mezzadro, colono, compartecipante, proprietario coltivatore diretto), condizionando la concreta erogazione del beneficio alla utilizzazione diretta agraria del terreno: ravvisabile secondo il combinato disposto degli artt. 2083, 2135 e 2751 bis cod. civ. in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte del titolare avviene con prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia (Cass. 12306/2008;

17714/2002);

2) richiede l’esistenza di uno dei rapporti agrari tipici dalla stessa previsti la cui prova, per il disposto dell’art. 2697 cod. civ. deve essere fornita da chi da esso intenda trarre conseguenze favorevoli;

3) postula altresì che il titolare di detti rapporti sia costretto ad "abbandonare il terreno" oggetto del rapporto agrario in esecuzione del provvedimento ablatorio (Cass. 7178/1992; 2575/1989;

2257/1985).

Nel caso, la Corte di appello ha tratto la ricorrenza dei primi due requisiti anzitutto dal verbale di consistenza del fondo redatto dai tecnici del comune, che invece assolve a tutt’altra funzione ( L. n. 1 del 1978, art. 3); e ne documentava al più soltanto la mera detenzione da parte del T. in quel momento, peraltro mai contestata dal comune. E quindi dalla Delib. comunale n. 819 del 1986 con cui era stata determinata l’indennità di espropriazione provvisoria anche a favore degli affittuari: avente, invece, la (sola) funzione di provocare l’accettazione dell’indennità da parte degli espropriandi onde definire il procedimento ablatorio mediante cessione volontaria dell’immobile: e non anche quella di contenere il riconoscimento del loro diritto dominicale, nonchè – a maggior ragione – dei rapporti agrari intercorrenti tra terzi. Ai quali infine, in mancanza di elementi neppure indiziari al riguardo, non poteva essere ricondotta la riferita presenza di coltivazioni sul fondo, e men che mai altro rapporto di natura agraria con i proprietari dell’immobile.

La Corte deve aggiungere: a) che avendo la sentenza impugnata riferito che non vi era stata alcuna materiale occupazione del fondo da parte del comune, nessuna prova poteva essere data da parte del T. e della R., della circostanza infatti da costoro neppure prospettata, che in tale momento (che è il solo rilevante per la norma) gli stessi fossero in possesso del requisito della coltivazione diretta del fondo medesimo, a partire da almeno un anno prima del giorno in cui è stato reso noto il programma espropriativo; nè tanto meno che tale coltivazione fosse avvenuta in prevalenza con lavoro proprio e con quello della loro famiglia; b) che la qualifica di affittuari coltivatori diretti dei contro ricorrenti è stata contestata ed esclusa dagli stessi proprietari in un pregresso giudizio tra di essi intercorso per la ripartizione dell’indennità provvisoria di espropriazione percepita esclusivamente dagli espropriati; e definito dalla sentenza 11697/2000 di questa Corte che ha cassato senza rinvio le domande avanzate dal T. e della Ri. direttamente nei confronti di questi ultimi non senza osservare che restava del tutto impregiudicata la questione controversa relativa alla loro titolarità di un rapporto agrario:pertanto neppure documentata in quel giudizio.

Egualmente erroneo è il convincimento della Corte di appello che la prova dell’abbandono del fondo potesse ricavarsi dal principio di buona amministrazione ex art. 97 Cost. cui doveva attenersi il comune che aveva transatto con Delib. n. 584 del 2000 la controversia con i proprietari (i quali avevano chiesto la retrocessione del fondo) loro corrispondendo un indennizzo supplementare; e perciò lasciando presumere che intendeva utilizzare direttamente l’immobile: anzitutto perchè da detta delibera interamente riportata dall’ente pubblico e non contestata dalla controparte, si ricava semmai la conferma che neppure negli anni successivi al decreto di occupazione temporanea dell’immobile il comune si è immesso nel suo possesso; quindi perchè le vicende dell’asserito rapporto agrario successive a detto periodo sono del tutto irrilevanti in relazione alla prova postulata dalla disposizione legislativa. E soprattutto perchè la documentazione in atti riportata dal ricorrente smentisce semmai detta presunzione posto che il decreto di occupazione temporanea del terreno era stato sospeso dall’ordinanza 8 maggio 1986 del TAR Liguria, adito dai proprietari; che conseguentemente l’immissione in possesso preventivata per il giorno 9 maggio successivo non aveva potuto avere luogo; e che infine l’abbandono non poteva essere ascritto neppure al decreto di esproprio emesso con Delib. 17 maggio 1988 della Giunta: essendo pacifico che anche dopo detto provvedimento il terreno non era stato mai appreso nè utilizzato dall’espropriante, tanto da provocare la controversia con gli espropriati relativa alla retrocessione, nonchè la Delib. n. 584 del 2000 menzionata dalla sentenza impugnata.

Mancando conclusivamente qualsiasi elemento anche indiziario comprovante la sussistenza dei presupposti richiesti dalla L. 865, n. 17 per l’attribuzione dell’indennità aggiuntiva, la sentenza impugnata che l’ha egualmente liquidata in favore dei T. – S. va cassata con rinvio alla Corte di appello di Genova che in diversa composizione si atterrà ai principi esposti e provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,accoglie il ricorso,cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

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