Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-07-2011) 13-10-2011, n. 36930

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 31 marzo 2011, il Tribunale del riesame di Napoli ha rigettato l’istanza di riesame proposta da S.A. nei confronti del provvedimento del locale g.i.p. che disponeva nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere.

Avverso tale provvedimento lo S. propone ricorso allegando tre motivi. Col primo egli censura l’ordinanza impugnata per omessa motivazione in ordine all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte dal P.M., ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 13, sull’utenza della parte offesa G.L.. Osserva, in particolare, che non vi sarebbe stato alcun indizio di reato che potesse giustificare il ricorso all’intercettazione telefonica alla stregua della normativa speciale.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 267 c.p.p., comma 2, per difetto di motivazione del decreto adottato in via d’urgenza dal P.M..

Il terzo motivo concerne il vizio di motivazione in ordine alla valutazione degli elementi indiziari che hanno condotto all’affermazione del fumus commissi delicti.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

I primi due motivi di ricorso ruotano intorno al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 13 (convertito con L. 12 luglio 1991, n. 203). La norma, reca una deroga a quanto disposto dall’art. 267 c.p.p., prevedendo che l’autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, quando sono necessarie per lo svolgimento di indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata (o di minaccia col mezzo del telefono), è data con decreto motivato per una durata non superiore a quaranta giorni, che però può essere prorogata dal giudice (o direttamente dal P.M. nei casi di urgenza) con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni. Presupposto per l’applicazione della disciplina speciale è costituito dalla sussistenza di sufficienti indizi in ordini ai reati per i quali è consentita la deroga in commento.

Il comma 1 della citata disposizione è stato successivamente modificato dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 3-bis (convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 356), mediante inserimento dell’ulteriore previsione che l’intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata e che avvenga nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa.

Questa Corte ha chiarito che la nozione di "delitti di criminalità organizzata", in presenza dei quali è richiesta la sola sussistenza di "sufficienti indizi" affinchè possano essere disposte le intercettazioni, comprende i reati realizzati da una pluralità di soggetti che, allo scopo di commettere più delitti, costituiscono un apparato organizzativo la cui struttura assume un ruolo preminente rispetto ai singoli partecipanti, per cui sono riconducibili a questa categoria non solo i reati di criminalità maliosa, ma tutte le fattispecie criminose di tipo associativo (Cass. 20 ottobre 2003, n. 46221). In particolare, rientrano nell’ambito applicativo della norma le attività criminose più diverse, purchè realizzate da una pluralità di soggetti i quali, per la commissione del reato abbiano costituito un apposito apparato organizzativo (Cass. 20 dicembre 2004, n. 2612).

Così delineata la fattispecie applicativa della disciplina speciale, questa Corte ha poi chiarito – sul piano della motivazione – che non occorre lo specifico riferimento, nel decreto autorizzativo di intercettazioni, ad uno dei reati per i quali è consentita la deroga testè illustrata, risultando sufficiente che dal complesso del provvedimento si evinca che esse avevano ad oggetto attività di criminalità organizzata (Cass. 3 maggio 2007, n. 22511).

Del resto, sul tema più generale della motivazione dei provvedimenti di intercettazione, la Corte ha chiarito che, poichè le stesse vengono disposte nella fase iniziale delle indagini, quando gli elementi in possesso degli inquirenti sono limitati, e lo strumento viene utilizzato proprio al fine di acquisire dati ulteriori più chiari e validi, la motivazione non può che essere concisa e ridotta alla sola indicazione degli elementi essenziali che consentano alle parti ed ai giudici del riesame di vagliare la questione e stabilire la ritualità di quanto disposto. Pertanto, quando la motivazione del decreto assolve a tale funzione, essa si può ritenere congrua e non censurabile (Cass. 15 febbraio 2000, n. 784; conf. Cass. 21 maggio 2002, n. 28966).

Per le ragioni esposte, il provvedimento è quindi congruamente motivato anche qualora non sia precisato se trattasi del primo comma o del secondo dell’art. 416 c.p., poichè, nella fase iniziale delle indagini, quando la situazione non è del tutto chiara e vengono disposte intercettazioni proprio allo scopo di chiarire anche il ruolo che i vari indagati ricoprano nella associazione, la contestazione non può che avere un carattere per così dire "indistinto", carattere che sarà superato proprio all’esito delle disposte intercettazioni (così ancora Cass. 15 febbraio 2000, n. 784). Quindi, non assume rilievo, ai fini della legittimità del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione telefonica l’omessa precisazione, in riferimento al fatto criminoso di associazione per delinquere per cui si procede, del ruolo associativo dei vari sottoposti ad indagine, se meri partecipi o partecipi qualificati (Cass. 20 novembre 2009, n. 685).

Facendo applicazione dei predetti principi al caso di specie, i primi due motivi di risultano infondati.

In relazione al primo motivo, basta osservare che già dalla lettura dell’imputazione provvisoria ai fini cautelari emerge come allo S. sia contestata l’aggravante di aver posto in essere un’estorsione al fine di agevolare il clan camorristico "Arlistico- Terracciano" operante in Pollena Trocchia. Osserva poi il Tribunale che lo S. ha offerto uno specifico apporto operativo nella commissione di una estorsione compiuta, ai danni dell’agenzia di pompe funebri De Falco s.r.l., da T.R., capo dell’omonimo clan. Non vi è dubbio, quindi, che il provvedimento impugnato offre congrua motivazione circa la natura associativa dei reati per cui si procede. Nel provvedimento impugnato, quindi, non è ravvisabile alcuna carenza motivazionale in ordine ai presupposti applicativi del D.L. n. 152 del 1991, art. 13.

Sul secondo motivo di ricorso occorre fare una considerazione preliminare: in questa sede l’imputato non si può dolere direttamente del decreto del P.M., dato che l’atto impugnato è invece costituito dall’ordinanza del Tribunale del riesame. La doglianza deve essere quindi interpretata nel senso che lo S. si duole della inutilizzabilità, innanzi al Tribunale del riesame, delle intercettazioni disposte con un decreto che, a suo dire, sarebbe carente di motivazione.

Ma pure se così interpretato, il motivo si rivela infondato.

Al riguardo, con riferimento alla motivazione del decreto del P.M., valgono le stesse considerazioni svolte innanzi con riferimento al provvedimento del g.i.p. e del tribunale del riesame.

Non vi è dubbio, dunque, che – quantomeno allo stato indiziario occorrente in questa fase cautelare – i fatti per i quali si è proceduto ad indagine anche mediante intercettazioni telefoniche disposte ai sensi del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 13, hanno natura di attività di criminalità organizzata e che tale natura è stata correttamente posta a fondamento anche del decreto del P.M.. Il decreto che sta a monte dell’attività d’indagine che ha portato all’applicazione della misura cautelare al ricorrente è quindi perfettamente legittimo.

Ovviamente, in tale prospettiva, non ha alcun rilievo la circostanza che l’utenza telefonica intercettata, cioè quella di G.L., sia intestata ad una vittima del sodalizio criminoso, piuttosto che ad un compartecipe dello stesso, in quanto la deroga prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 13 opera in relazione ai reati per i quali si indaga e prescinde dalle qualità soggettive (se indagati o persone offese) degli intercettati.

Il terzo motivo contiene censure in punto di fatto. Con lo stesso, infatti, l’imputato non deduce un vero e proprio vizio di motivazione, quanto piuttosto la non univocità di alcuni elementi indizianti, quali la circostanza che egli avrebbe ricevuto degli ordini dal T. captato dai Carabinieri appostati e le fotografie che lo ritraggono durante un’attività di perlustrazione.

Si tratta, quindi, di una prospettazione alternativa della valenza probatoria di taluni elementi, come tale non deducibile in sede di legittimità. Il terzo motivo di ricorso è quindi inammissibile.

Nel complesso, l’impugnazione si rivela in parte infondata ed in parte inammissibile e deve essere rigettata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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