Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4739 Concorrenza sleale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 10.1.1998, la Icas s.p.a. e la Gefin s.r.l., premesso che la prima produceva e commercializzava sistemi di chiusura in filo zincato, c.d. "gabbiette", utilizzati per rivestire e trattenere i tappi di vini frizzanti, e che la seconda era titolare del brevetti per invenzione industriale n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) (inventore G.P., legale rappresentante di entrambe le società) per la costruzione del macchinari destinati alla relativa produzione su vasta scala, esponevano che nell’anno 1992 la Icas s.p.a. aveva affidato la fabbricazione di alcune componenti meccaniche dei predetti macchinari alla Pro-Me di Andrea Mestrinaro e C. s.a.s., il cui socio accomandatario era figlio di M.E., all’epoca responsabile della manutenzione e dello sviluppo dei macchinari presso la stessa Icas s.p.a. A tal fine quest’ultima aveva consegnato alla Pro-Me sas i disegni tecnici rappresentanti l’intero macchinario brevettato e le due società il 30.11.1993 avevano stipulato, al riguardo, un patto di segretezza e di non divulgazione di quanto consegnato. In violazione di tale accordo, però, la Pro-Me sas – come era risultato nel corso delle operazioni di descrizione eseguite il 17.12.1997 R.D. n. 1127 del 1939, ex art. 81, e disposte con decreto 12.12.1997 del Presidente del Tribunale di Ivrea – aveva costruito e pressochè ultimato un macchinario per la produzione delle gabbiette e teneva presso di sè i disegni progettuali dello stesso su cui era stato apposto il timbro "Sparflex societe anonime". Lo stesso giorno della descrizione il macchinario era stato, poi, esportato in (OMISSIS).

Tanto premesso la Icas s.p.a. e la Gefin s.r.l. agivano per contraffazione dei citati brevetti, concorrenza sleale e risarcimento del danni nel confronti della Pro-Me, di M.E. e di tre società francesina Sparfiex s.a., la L.V.C.M. s.a. e la Sparcap s.a. Resistevano in giudizio la Pro-Me sas ed M.E., che in via riconvenzionale proponevano domanda di nullità dei brevetti, siccome privi dei requisiti di novità ed originalità, in quanto costituivano semplice riproposizione dell’idea inventiva già formante oggetto del brevetto Icas rilasciato il 10.4.1985 col numero 1072710. Chiedevano, altresì la condanna delle società attrici per concorrenza sleale nonchè al risarcimento dei danni. Restavano contumaci, invece, le tre società transalpine. Con sentenza 18.12.2003 il Tribunale di Ivrea dichiarava la nullità dei brevetti n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) e rigettava ogni altra domanda. In ordine al brevetto n. (OMISSIS) il Tribunale riteneva condivisibile quanto accertato dal c.t.u., ossia che dall’analisi comparativa con il brevetto n. (OMISSIS), concesso alla Icas il 10.4.1985, era emerso che le rivendicazioni da 1 a 5 del primo erano state anticipate dalle rivendicazioni da 6 a 14 del secondo, mentre le restanti rivendicazioni risultavano prive della necessaria altezza inventiva.

Inoltre, le confutazioni tecniche della relazione del c.t.u. svolte da parte attrice nella comparsa conclusionale, dovevano ritenersi tardive, non essendo state formulate nel contraddittorio delle patti all’udienza appositamente fissata per discutere le conclusioni del c.t.u..

Il giudice di primo grado riteneva, poi, che il brevetto n. (OMISSIS) fosse nullo come brevetto per invenzione industriale, ma che costituisse modello di utilità, non tutelabile, però, in quella sede giudiziale, in quanto le società attrici avevano proposto la domanda sotto il diverso profilo della contraffazione del brevetto per invenzione industriale.

Il Tribunale, poi, escludeva la concorrenza sleale perche Pro-Me e Icas non operavano nel medesimo settore, giacchè la prima non produceva gabbiette, ma era stata colta nell’atto di assemblare parti di un macchinario destinato alla produzione delle stesse, mentre la Icas produceva e commercializzava gabbiette, ma non i macchinali necessari a fabbricarle.

Infine, quanto alla riconvenzionale di danni proposta dalla Pro-me s.a.s. e dal M., osservava che la domanda era genericamente formulata e,come tale, andava rigettata, non comprendendosi neppure quali fossero i fatti materiali specifici posti a fondamento della stessa.

Avverso detta sentenza la Icas s.p.a. e la Gefin s.r.l. proponevano appello innanzi alla Corte d’appello di Torino con citazione notificata il 20.1.2005 ai soli Pro-Me s.a.s. ed M. E..

Questi ultimi resistevano e proponevano impugnazione incidentale in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento del danni.

Con sentenza non definitiva depositata il 24.1.2007, la Corte d’appello accoglieva la domanda principale di contraffazione e rigettava quella riconvenzionale di nullità del brevetto Gefin n. (OMISSIS), condannava la Pro-Me di Andrea Mestrinaro e C. s.a.s., ed M.E. ad astenersi dal produrre o commercializzare macchinari o componenti di macchinali in contraffazione del brevetto Gefin n. (OMISSIS), disponeva che per ogni eventuale violazione dell’anzidetto titolo di proprietà industriale la Pro-Me, di Andrea Mestrinaro e C. s.a.s., ed M.E. fossero tenuti a corrispondere in favore della Gefin s.r.l. la somma di Euro 500.000,00, e ordinava che il dispositivo della sentenza fosse pubblicato per una sola volta sul quotidiano (OMISSIS) e sul periodico (OMISSIS), a spese degli appellati;

disponeva,quindi, con separata ordinanza la rimessione della causa dal ruolo e il rinnovo, tramite nomina di nuovi e t u, degli accertamenti tecnici intesi a valutare sia la novità estrinseca ed intrinseca del brevetto Gefin n. (OMISSIS) rispetto all’anteriorità Icas n. 1072710 in rapporto a ciascuna rivendicazione, sia la concreta possibilità di attuazione pratica di quest’ultima invenzione, sia il presumibile ammontare della spesa di costruzione di macchinari che recepissero il brevetto Gefin n. (OMISSIS).

All’esito degli accertamenti tecnici, la Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 309/10, accoglieva la domanda principale di contraffazione del brevetto Gefin n. (OMISSIS) limitatamente alle rivendicazioni da 5 a 14 nonchè 17 e 18 e condannava la Pro-Me ad astenersi dal produrre o commercializzare macchinali o componenti di macchinati in contraffazione delle citate rivendicazioni del brevetto Ge.fin n. (OMISSIS) disponendo altresì che per ogni eventuale violazione dell’anzidetto titolo di proprietà industriale la Pro-Me. di Andrea Mestrinaro e C. s.a.s., ed M.E. siano tenuti a corrispondere in favore della Gefin s.r.l. la somma di Euro 500.000,00. Ordinava che il dispositivo della presente sentenza sia pubblicato per una sola volta sul quotidiano (OMISSIS) e sul periodico (OMISSIS), a spese degli appellati; 5) condannava i predetti appellati in solido tra loro, al pagamento in favore della Gefin s.r.l. della somma di Euro 40.000,00 oltre interessi legali dalla data della presente sentenza Isaldo; 6) condannava, altresì, gli appellati, in solido fra loro, al pagamento in favore della Icas s.p.a. della somma di Euro 60.000,00, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.

Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione la Prome sas e M.E. sulla base di otto motivi cui resistono con controricorso la ICAS spa e la Gefin srl.

Motivi della decisione

I ricorrenti con il primo motivo di ricorso censurano la sentenza emessa dalla Corte di Appello perchè si fonda su una seconda CTU che non avrebbe potuto essere ammessa in sede di gravame in quanto disposta a seguito di osservazioni e critiche formulate in via tardiva e pertanto inammissibili.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o "in toto", le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice. L’esercizio di tale potere, con ordinanza emanata su istanza di parte o su iniziativa officiosa e revocabile "ex" art. 177 c.p.c., comma 2, non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Cass. 27247/08; Cass. 7622/10), circostanza che ricorre nel caso di specie avendo la Corte d’appello rilevato che vi erano alcuni aspetti relativi al brevetto che non erano stati presi in esame dalla CTU espletata in primo grado.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione del R.D. n. 1127 del 1939, art. 59, n. 2, ed il vizio di erronea motivazione perchè la Corte d’appello avrebbe fatto applicazione indebita della norma in questione nel caso di specie non vertendosi in una ipotesi di "invenzione la cui essenza è incomprensibile e la sua realizzazione inattuabile".

E’ stato a più riprese affermato da questa Corte che ai fini del riconoscimento del brevetto per invenzione industriale si richiede, sotto il profilo sostanziale, che l’invenzione si fondi sulla soluzione di un problema tecnico non ancora risolto e sia idonea ad avere concrete realizzazioni nel campo industriale, tali da apportare un progresso rispetto alla tecnica ed alle cognizioni preesistenti (novità estrinseca) e da esprimere un’attività creativa dell’inventore, che non sia semplice esecuzione di idee già note e rientranti nella normale applicazione dei principi conosciuti (novità intrinseca); sotto il profilo formale, è invece necessaria la descrizione chiara e completa, consistente nell’indicazione del problema tecnico rispetto al quale il trovato si pone come soluzione, del gradiente di attività inventiva o comunque dell’utilità che il trovato medesimo persegue rispetto alla tecnica nota (Cass. 23414/09;

Cass. 8510/08; Cass. 8735/98).

I due requisiti, formale e sostanziale, non sono però tra loro distinti ma si integrano.

La giurisprudenza questa Corte,infatti, ha già avuto modo di precisare che, a fronte della contestazione della validità del brevetto concesso per invenzione industriale, l’indagine sui requisiti di brevettabilità va condotta con riferimento alla descrizione ed ai disegni depositati a corredo della domanda, dalla cui data decorrono gli effetti del brevetto (Cass. 2541/84; Cass. 918/85) e che la mancanza o l’insufficienza della descrizione non può essere colmata "ex post", dalla parte o dal consulente tecnico, a seguito della contestazione sulla validità del brevetto. (Cass. 23414/09).

Nel caso di specie la Corte d’appello ha valutato l’adeguatezza della descrizione facendo riferimento nella propria motivazione non solo a quanto accertato e ritenuto dalla seconda CTU espletata in sede di gravame, ma ha confrontato le predette risultanze con quanto esposto nella relazione peritale del consulente tecnico di parte tenendo, altresì, in considerazione le valutazioni effettuate dal consulente tecnico nel giudizio di primo grado.

Alla luce di tale dettagliato esame, la sentenza ha ritenuto corrette le valutazioni espresse dal secondo consulente tecnico ed ha conseguentemente concluso per la novità delle rivendicazioni da 5 a 14 nonchè 17 e 18 del brevetto Gefin n. (OMISSIS) in quanto le descrizioni contenute nel brevetto Icas relative alle predette rivendicazioni non erano sufficienti per fornire ad un tecnico esperto del ramo gli elementi per comprendere ed attuare la loro realizzazione e dovevano quindi ritenersi nulle ai sensi del R.D. n. 1127 del 1939, art. 59.

A tale proposito ha ulteriormente osservato, in piena corrispondenza con la giurisprudenza dianzi rammentata,che la comprensione dell’esperto del ramo è necessaria per mettere in pratica l’invenzione, ma non può integrare il contenuto della descrizione quando esso non sia chiaro e completo, rilevando ulteriormente che anche il CTU di primo grado si era espresso in termini di probabilità circa la ricostruzione del contenuto della descrizione a conferma della carente descrizione brevettuale. La motivazione fornita risulta pertanto del tutto corretta sotto il profilo giuridico oltre che adeguatamente argomentata.

A tale ultimo proposito si rileva che la pronuncia sul punto della Corte d’appello è del tutto conforme al principio più volte espresso da questa Corte secondo cui il giudice di merito non è tenuto ad argomentare diffusamente la propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, mentre ha l’obbligo di esaminare i rilievi mossi alla consulenza ove essi risultino specifici e argomentati, vuoi per verificarne la fondatezza mediante il rinnovo della indagine, vuoi per disattenderli con adeguata confutazione delle tesi ivi esposte (Cass. 12406/02); cosa puntualmente avvenuta nel caso di specie.

Sotto altro profilo, considerato che l’apprezzamento del giudice di merito circa la sufficienza della descrizione dell’invenzione, ai fini della validità del relativo brevetto (R.D. n. 1127 del 1939, art. 59) si concreta in un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità (Cass. 663-60; Cass. 157/63),le censure della ricorrente tendono a far valere una diversa interpretazione delle emergenze processuali, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione.

Il motivo va pertanto respinto.

Con il terzo motivo i ricorrenti, censurano,sotto il profilo del vizio motivazionale, la sentenza impugnata in quanto la rivendicazione 5 del brevetto Gefin (OMISSIS) è stata ritenuta nuova e degna di altezza inventiva sulla base delle risultanze della CTU, senza dare in alcun modo risposta motivata alle conclusioni dell’appellata Pro-Me sas. Inoltrerà motivazione sarebbe carente perchè la Corte di merito non avrebbe neppure chiarito il grado di portata inventiva del brevetto (OMISSIS). Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata risponde alle conclusioni della Pro.me sas chiarendo, nel far proprie le conclusioni del CTU, che la rivendicazione n. 5 del brevetto Gefin è dotata di altezza inventiva in quanto la stella cui la rivendicazione si riferisce è ottenuta in modo più semplice ed affidabile e con un minor numero di fasi operative (mancando la piegatura degli anelli e quindi con maggior velocità e produttività). Tale motivazione non può certo ritenersi acritica poichè argomenta le ragioni della sussistenza dell’altezza inventiva.

Del resto va osservato che il motivo è del tutto privo di autosufficienza non essendo in esso riportate testualmente quali fossero le argomentazioni del ctp per sostenere l’esistenza di profili invalidanti della rivendicazione n. 5 in relazione alle quali possa ritenersi che la motivazione fornita dalla Corte d’appello non sia adeguata.

Con il quarto motivo viene dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia perchè la Corte di merito non avrebbe considerato,nel decidere sull’appello incidentale dei ricorrenti, le asserite prove di predivulgazione del ritrovato: secondo i ricorrenti l’invenzione sarebbe stata predivulgata da una società spagnola, la Sabat s.a., che da oltre vent’anni produrrebbe e venderebbe macchine del tutto simili a quelle di Icas".

Anche detto motivo è inammissibile.

I ricorrenti non riportano invero nel ricorso il contenuto del motivo di ricorso incidentale ove sarebbe stata dedotta l’esistenza di una predivulgazione del trovato di cui alla rivendicazione n. 5, onde non ha messo questa Corte in condizione di valutare l’omessa motivazione sul punto, non rinvenendosi nel testo della sentenza alcun cenno in proposito. La sentenza impugnata ha infatti rigettato l’impugnazione incidentale rilevando che la stessa era "basata interamente sul presupposto infondato che la tutela brevettuale approntata dalla società attrice fosse illegittima".

La doglianza risulta dunque nuova. incluso nell’effetto devolutivo del gravame.

Con il quinto motivo lamentano, sempre sotto il profilo del vizi.

Va ulteriormente osservato che non è sufficiente far riferimento ad un documento prodotto in giudizio,di cui peraltro, in violazione del principio di autosufficienza, non viene riportato il testo, da cui risulterebbe le predivulgazione in questione, poichè un siffatto documento, se non rapportato ad uno specifico motivo di appello, non comportava per la Corte d’appello alcun obbligo di esame in quanto non incluso nell’effetto devolutivo del gravame. motivazionale, che la contraffazione sarebbe integrata soltanto se tutte le rivendicazioni del brevetto siano state violate mentre nel caso di specie, tenuto conto che la descrizione ebbe ad oggetto un macchinario non ancora assemblato, non poteva ragionevolmente dirsi che tutte le rivendicazioni del brevetto nessuna esclusa, fossero state violate.

Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha affermato in diverse occasioni che, pur dovendo ogni domanda di brevetto avere ad oggetto una sola invenzione, ben può accadere che tale domanda si presenti come un complesso di più elementi inventivi, talvolta oggetto di plurime rivendicazioni, come espressamente consentito dalla legge, e, in tal caso, qualora una registrazione sia stata concessa anche riguardo a rivendicazioni sprovviste dei necessari requisiti per una autonoma proteggibilità, la nullità parziale del brevetto prevista dal R.D. n. 1127 del 1939, art. 79, provvede all’esigenza di conservare validità alle altre concorrenti rivendicazioni che si presentino fornite dei requisiti di legge per la brevettazione. Ove poi ne ricorrano le condizioni, la nullità parziale può essere dichiarata anche con riguardo ad un brevetto di combinazione, dovendosi però escludere che, attraverso tale istituto, si possa giungere ad una autonoma proteggibilità di quegli elementi già noti che, per definizione, rientrano nella struttura dell’invenzione di combinazione. (Cass. 8777/98).

E’ stato altresì ritenuto in un caso particolare, in cui un brevetto per invenzione industriale comprendeva una formula chimica generale e più composti, che la nullità per insufficiente descrizione (R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, artt. 28 e 59, come modificati, rispettivamente, dal D.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, artt. 16 e 28), in relazione ad un composto, non implicava di per sè nullità dell’intero brevetto, occorrendo accertare se, riguardo alla formula generale ed agli altri composti, sussistevano i requisiti per una valida brevettazione, dovendosi procedere, ove l’indagine avesse dato risultati positivi, alla dichiarazione di nullità parziale del brevetto, ai sensi dell’art. 59, u.c., del R.D. citato (nel testo risultante a seguito del D.P.R. n. 338 del 1979). (Cass. 11094/90).

Nel caso di specie la Corte d’appello si è attenuta ai principi testè enunciati. La sentenza impugnata ha, infatti, accertato sulla base della esplicata consulenza tecnica d’ufficio che dovevano considerarsi nuove le rivendicazioni da 5 a 14 nonchè 18 e 19 contenute nel brevetto Gefin (OMISSIS) perchè il brevetto ICAS 1072710 che prevedeva due modalità di attuazione della invenzione non conteneva,quanto alla seconda modalità, (corrispondente alle rivendicazioni del brevetto Gefin) una descrizione idonea a far comprendere in modo adeguato la realizzazione della invenzione l’invenzione ed ha conseguentemente dichiarato la nullità parziale del brevetto ICAS n. (OMISSIS).

Tale decisione appare del tutto corretta poichè si è dichiarata la nullità del brevetto solo in riferimento a quelle rivendicazioni non supportate da idonea descrizione lasciando invece valido il medesimo per le restanti rivendicazioni.

Con il sesto motivo i ricorrenti deducono la violazione di norme in tema di concorrenza sleale dipendente da contraffazione.

La Corte d’Appello avrebbe errato nel non considerare, da un lato, che il M., quale persona fisica che non assume la veste di imprenditore, non potrebbe vedersi imputati atti di concorrenza sleale;

dall’altro lato, la Pro-Me ed Icas opererebbero su piani merceologici diversi e quindi non concorrenziali tra loro.

Il motivo è infondato.

Quanto alla prima censura,questa Corte ha in ripetute occasioni affermato che il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, quindi, qualora non sussista il cosiddetto rapporto di concorrenzialità, non esclude la sussistenza di un atto di concorrenza sleale nel caso in cui un tale atto sia posto in essere da colui il quale si trovi con il soggetto avvantaggiato in una particolare relazione, in grado di far ritenere che l’attività sia stata oggettivamente svolta nell’interesse di quest’ultimo. A detto fine non occorre che sia stato stipulato con questi un "pactum sceleris", essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell’esistenza di una relazione di interessi tra autore dell’atto ed imprenditore avvantaggiato, (Cass. 1307l/03).

In questo caso il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta.

(Cass. 17459/07; Cass. 6117/06).

Nel caso di specie la Corte d’appello ha,con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, constatato che la condotta contraffattoria era imputabile sia alla Pro.me sas che a M. E. che era all’epoca responsabile della manutenzione e sviluppo dei macchinali della ICAS e che in quanto padre del socio accomandatario della Pro-Me perseguiva gli interessi della società di cui il figlio era compartecipe.

Quanto alla seconda doglianza la stessa risulta infondata in fatto avendo la Corte d’appello accertato che la Icas fabbricava non solo le gabbiette ma anche le macchine necessarie per produrle e,dunque, non è dubbio che operavano nel medesimo piano merceologico. Va tuttavia considerato altresì, come ulteriore argomentazione circa l’infondatezza del motivo, che la nozione di concorrenza sleale contenuta nella norma di cui all’art. 2598 c.c., deve essere desunta dalla ratio della norma stessa che impone alle imprese operanti nel mercato, regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si possa avvantaggiare nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, con l’adozione di metodi contrari all’etica delle relazioni commerciali. Ne consegue che si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operano quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinata a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni, Infatti, quale che sia l’anello della catena che porta il prodotto alla stessa categoria di consumatori in cui si collochi un imprenditore, questi viene a trovarsi in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi, proprio perchè è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività, onde ognuno di essi è interessato che gli altri rispettino le regole di cui all’art. 2598 c.c. (Cass. 4458/97).

Nel caso di specie non è dubbio che la produzione e la distribuzione delle gabbiette per tappi di bottiglia è strettamente connessa con la fabbricazione delle macchine che dette gabbiette producono onde a diversi livelli i produttori in questione insistono nel medesimo settore di attività.

Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono che la Corte avrebbe erroneamente quantificato il danno tenendo conto dell’intero macchinario e non del singolo pezzo. Inoltre avrebbe liquidato il danno secondo il criterio tipico del risarcimento al proprietario di res materiale (c.d. danno figurativo), laddove oggetto di lite è un diritto di proprietà industriale e dunque bene immateriale.

Infine, avrebbe liquidato il danno in assenza di presupposti per poterlo quantificare (difetto di prova da parte delle controparti) ed in assenza del presupposto del realizzo da parte del contraffattore (vendita di pezzi contraffatti o frutto di procedimento indebitamente contraffatto).

Il motivo è infondato.

Quanto alla prima censura, si osserva che il macchinario valutato dai periti e poi dal giudice di merito costituiva l’applicazione industriale della invenzione onde il macchinario stesso risulta inscindibile rispetto alla invenzione stessa per cui, ponendosi lo stesso alla base del calcolo del risarcimento del danno, è ovvio che doveva valutarsi nella sua interezza.

Anche la seconda censura non merita accoglimento.

Il criterio di liquidazione del danno adottato dalla Corte d’appello è quello del cosiddetto danno figurativo, il danno, cioè, è stato calcolato del tutto correttamente in base al mancato utile percepito dai titolari della invenzione per mancata vendita di macchinali per effetto della attività contraffattiva dei resistenti e non già in base al valore della macchina.

Quanto alla terza doglianza la sua infondatezza risulta dal semplice fatto che dalla CTU si è desunto un mancato utile di centomila Euro per macchinario non venduto ed il danno complessivo si è valutato in ragione della unica macchina acquistata dalla francese Sparmex dalla Pro.me..

Tale liquidazione appare del tutto conforme a principi affermati da questa Corte secondo cui il danno cagionato dalla commercializzazione di un prodotto o di un modello in violazione di privativa non è "in re ipsa", ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore dell’illecito rispetto anche alla distorsione della concorrenza da eliminare comunque, richiede di essere provato secondo i principi generali che regolano le conseguenze del fatto illecito, solo tale avvenuta dimostrazione consentendo al giudice di passare alla liquidazione del danno, eventualmente facendo ricorso all’equità. (Cass. 19430/03;

7306/09). Nel caso di specie la contraffazione è risultata provata e la prova del danno è consistita nell’accertamento della vendita di un macchinario contraffatto alla società francese. In base a tale accertamento la Corte d’appello, in osservanza del principio stabilito da questa Corte, secondo cui nel procedere alla liquidazione equitativa del danno il giudice deve dare sia pure sommariamente conto dei criteri seguiti in tale liquidazione (Cass. 6067/06; Cass. 16094/05), ha fornito idonea motivazione in proposito esplicando di aver fatto ricorso ad un criterio equitativo del danno basato sull’accertamento del mancato utile del titolare del brevetto per la mancata vendita del bene (ovvero del corrispondente utile conseguito dal contraffattore) determinato in ragione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Con l’ottavo motivo contestano la liquidazione della penalità comminata dalla Corte d’Appello per ogni successiva violazione del brevetto.

Il motivo è inammissibile.

La determinazione della misura coercitiva di cui agli artt. 85 e 86 l. inv., applicabili ratione temporis, costituisce espressione di un potere discrezionale del giudice che non è ancorato a parametri fissi di riferimento in ragione della sua funzione deterrente in relazione al quale nessun rilievo riveste il paramento costituito dal valore del macchinario. Detto potere non risulta quindi sindacabile in sede di legittimità.

Il ricorso va in conclusione respinto.

I ricorrenti vanno di conseguenza condannati in solido al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese di giudizio liquidate in Euro 6000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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