Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-07-2011) 13-10-2011, n. 36899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del-29 marzo 2011 la Corte d’appello di Genova, provvedendo sull’appello proposto avverso la sentenza del locale tribunale del 17 aprile 2008, derubricava il reato di cui al capo b) da falsità materiale di privato su titolo di credito ( artt. 476, 482 e 491 c.p.) in uso di atto falso ( art. 489 c.p.) e riduceva la pena inflitta a S.S. e M.S. per tale reato, in continuazione con quelli di ricettazione e truffa, ad anni uno e mesi sette di reclusione ed Euro 500,00 di multa per il primo e mesi undici di reclusione ed Euro 300,00 per la seconda.

Avverso tale statuizione i due imputati hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, sostenendo la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione in quanto, una volta caduto il reato di falso di cui al capo b), gli stessi sarebbero dovuti andare assolti anche dalla truffa (capo c) dal momento che gli artifizi ed i raggiri loro contestati consistevano, per l’appunto, nelle falsità di cui al capo di imputazione precedente.

Il ricorso è inammissibile.

Com’è noto, infatti, l’artificio o il raggiro richiesti per la sussistenza del reato di truffa può consistere in qualsiasi subdolo espediente posto in essere per indurre in errore la vittima (ex plurimis, Cass. 16 marzo 1970, n. 624), ivi incluso l’uso di un atto falso. Anzi, in tema di truffa mediante l’impiego di un atto falso, non importa che il reo abbia concorso o meno nella falsificazione, assumendo rilievo ai fini della sussistenza del delitto contro il patrimonio unicamente la circostanza che egli ne abbia fatto dolosamente uso al fine di trarre in inganno la vittima.

Ciò posto, la sentenza impugnata espressamente motiva sul punto, osservando che, pur non essendovi prova che gli imputati abbiano partecipato al falso, non potevano non sapere della falsità degli atti utilizzati. Pertanto, correttamente è stata ritenuta la sussistenza del delitto di truffa di cui al capo c) dell’imputazione.

Il ricorso è quindi inammissibile.

Potendosi ravvisare profili di colpa nell’inammissibilità del ricorso, l’imputato va condannato al pagamento di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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