Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4735 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione del 13 febbraio 1987 B.C. conveniva davanti al locale Tribunale il Comune di Potenza, chiedendo, previa declaratoria della nullità di una convenzione con la quale aveva allo stesso ceduto un terreno, sul quale erano stati successivamente realizzati alloggi destinati alle famiglie colpite dal terremoto del 1980, la condanna dell’ente territoriale al risarcimento dei danni relativi alla perdita del bene, precisando che la superficie occupata era superiore a quello ceduta.

Instauratosi il contraddittorio, il Comune eccepiva che la cessione del terreno era avvenuta per aver l’attrice ottenuto, come corrispettivo, la potenzialità edificatoria della residua proprietà, contestando, nel resto, la fondatezza della domanda.

Con sentenza non definitiva del 31 novembre 1991 – nei cui confronti non veniva formulata riserva di impugnazione, nè proposto successivamente appello – il Tribunale dichiarava la nullità della citata convenzione, disponendo con ordinanza in merito alla prosecuzione del giudizio.

Con sentenza del 31 dicembre 1997 il Comune di Potenza veniva condannato al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di L. 90.400.000, determinata sulla base del valore di mercato del terreno effettivamente occupato, con gli interessi dalla data della domanda, qualificata come ripetizione di indebito.

1.1 – Tale decisione veniva impugnata, con atti separati, tanto dalla B., che si doleva, in sostanza, dell’incongruità per difetto della somma liquidata, quanto dal Comune, che, oltre a contestare i criteri di liquidazione, deduceva che nella specie non erano ravvisabili gli estremi dell’indebito oggettivo, essendo configurabile una vera e propria occupazione nell’ambito di procedura espropriativa, caratterizzata dall’intervenuta dichiarazione di pubblica utilità, resasi poi illegittima a causa della mancata emissione del decreto di esproprio.

1.2 – La Corte di appello di Potenza, previa riunione dei giudizi, esperita consulenza tecnica d’ufficio, dava atto preliminarmente della formazione del giudicato in merito alla nullità della convenzione inizialmente intervenuta fra le parti. Ritenuta, altresì, la configurabilita del fenomeno della c.d. occupazione usurpativa, affermava che alla B., che non aveva chiesto la restituzione del bene, competesse il risarcimento dei danni subiti, che, con riferimento all’area effettivamente utilizzata, considerata la natura agricola del terreno, determinava in Euro 40.652,90.

Quanto all’area occupata, e non oggetto di trasformazione, veniva osservato che la stessa avrebbe potuto essere in seguito restituita:

per tale ragione essa non veniva considerata ai fini del risarcimento del danno, se non sotto il profilo della sua occupazione dal luglio del 1982 al 30 giugno 1984, data della trasformazione irreversibile del suolo, con una liquidazione commisurata, in via equitativa, agli interessi legali sulla somma di Euro 36.742,50.

Il Comune di Potenza veniva altresì condannato al pagamento nella misura di due terzi delle spese processuali, compensate nel resto.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione la B. propone ricorso, affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Potenza, proponendo ricorso incidentale, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.

Motivi della decisione

2 – Deve preliminarmente disporsi la riunione dei giudizi, proposti avverso la medesima decisione. 2.1 – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè motivazione illogica e contraddittoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si sostiene che il Comune aveva chiesto di determinare la somma dovuta ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, così riferendosi inequivocabilmente alla figura della c.d. espropriazione acquisitiva, ragion per cui la sentenza impugnata, ravvisando la configurabilità di un’occupazione usurpativa, avrebbe pronunciato in violazione del principio contenuto nell’art. 112 c.p.c..

Viene formulato il seguente quesito di diritto: "dica la Corte Suprema che viola il principio della domanda e della disponibilità delle parti, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., la decisione del giudice di merito che trasformi la domanda avanzata dalla parte per vedere qualificata una certa condotta amministrativa come occupazione appropriativa, con le relative conseguenze, in occupazione usurpativa con relativo regime risarcitorio". 2.2 – Il motivo in esame presenta vari profili di inammissibilità e di infondatezza.

In primo luogo non è dato di comprendere quale interesse giuridicamente apprezzabile possa sorreggere una censura relativa alla qualificazione giuridica, come quella relativa all’occupazione usurpativa, che, essendo dotata di maggiore ampiezza (si pensi alla più vasta gamma degli aspetti risarcitori, all’assenza della delicata problematica della prescrizione quinquennale) rispetto alla c.d. occupazione espropriativa, si presenta assolutamente favorevole alla parte che la propone.

2.3 – Il vizio di extra petizione, riferito per altro a prospettazioni difensive dell’altra parte, attiene poi a una diversa qualificazione giuridica della domanda della B., sulla base dei fatti e dei rapporti dedotti in lite e dell’azione dalla stessa esercitata, che non implica, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, alcuna violazione del principio affermato dall’art. 112 c.p.c. (Cass., 14 novembre 2011, n. 23794; cass., 12 dicembre 2010, n. 25140; Cass., 20 agosto 2003, n. 12265).

Deve per altro rilevarsi che la qualificazione e l’interpretazione della domanda, nell’ambito di un processo ermeneutico teso alla individuazione del suo contenuto sostanziale (Cass. N. 3012 del 2010, Cass., nn. 23819 e 19331 del 2007) sono riservati al giudice del merito, e quindi sottoposti al controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo motivazionale.

2.4 – Con riferimento a tale profilo deve rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel mese di febbraio dell’anno 2009, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6 che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Con riferimento alla denuncia del vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multisi Cass., Sez. Un., n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi -omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Il motivo, con riferimento al vizio in esame non rispetta tale prescrizione, ragion per cui – in parte qua – deve ritenersi inammissibile.

3 – Con il secondo motivo la B. denuncia violazione dell’art. 2909 c.c., per violazione del giudicato formatosi sul capo della sentenza di primo grado relativo alla natura edificatoria del terreno, non contestata dal Comune appellante, che, anzi, aveva chiesto l’applicazione dei criteri riduttivi inerenti appunto, alle aree edificabili.

Viene formulato il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte Suprema che la mancata ottemperanza del giudicato costituisce violazione di una regula iuris del rapporto controverso; e che la sentenza della Corte d’appello di Potenza impugnata ha violato il giudicato formatosi inter partes sulla sentenza del tribunale di Potenza 1179 del 14 novembre – 31 dicembre 1997 e, dunque, l’art. 2909 c.c., allorquando ha determinato il valore del suolo in contestazione dopo averlo qualificato di natura agricola e non edificatoria, oltre ad incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c., per la mancanza, nell’atto d’appello, dell’impugnazione in ordine alla qualificazione edificatoria del ripetuto suolo". 3.1 – Il motivo è fondato.

La corte territoriale da espressamente atto dell’attribuzione all’area occupata, da parte dei giudici di primo grado, di "potenzialità edificatoria", per poi discostarsene, affermando la natura di vincolo espropriativo nella destinazione ad alloggi per le famiglie colpite dal terremoto del 1980.

Prescindendo dalla disamina delle valutazioni al riguardo contenute nella sentenza impugnata, deve rilevarsi che dal tenore della medesima emerge che il Comune appellante non aveva contestato la ricognizione giuridica effettuata dal tribunale, chiedendo, al contrario, che sulla scorta della natura edificatoria del terreno, venissero applicati i criteri riduttivi disposti dalla normativa all’epoca vigente.

Tanto premesso, deve rilevarsi che in merito alla natura giuridica dell’area sottoposta ad occupazione, tanto legittima quanto illegittima, non può non formarsi il giudicato, quando tale aspetto risulti esaminato quale antecedente logico della statuizione, e lo stesso non risulti in alcun modo impugnato (cfr. la recente Cass., 17 febbraio 2011, n. 3909, in tema di giudicato "esterno" sulla natura agricola di un terreno, formatosi nell’ambito del giudizio inerente all’indennità di occupazione, la cui efficacia è stata affermata con riferimento alla controversia, fra le medesime parti, in relazione alla determinazione del danno da occupazione acquisitiva).

La Corte territoriale, pertanto, non avrebbe potuto prescindere dal dato, avente valenza normativa (Cass., Sez. un., 28 novembre 2007, n. 24664), costituito dall’affermata natura edificatoria dell’area.

4 – L’accoglimento del secondo motivo assume carattere assorbente rispetto alle rimanenti censure del ricorso principale, attinenti ai criteri di liquidazione del danno, salva la declaratoria di inammissibilità del terzo motivo, nella parte in cui denuncia vizi motivazionali senza formulare il que-sito, per le ragioni già indicate, al punto sub 2.4. 5 – Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia, formulandosi idoneo quesito di diritto, violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa e/o erronea applicazione degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c., per aver omesso di valutare l’eccezione di inammissibilità, per tardività, dell’appello proposto dalla B., oltre il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., la cui decorrenza sarebbe stata determinata dalla notifica della sentenza di primo grado in forma esecutiva al Sindaco di Potenza.

5.1 – La censura è palesemente infondata.

In primo luogo va osservato che non può configurarsi il vizio di omessa pronuncia quanto la corte di appello di Potenza, accogliendo il gravame proposto dalla B., ha evidentemente espresso un giudizio positivo circa la sua ammissibilità. Costituisce, invero, ius reception il principio secondo cui ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., 4 novembre 2011, n. 20311; Cass., 21 luglio 2006, n. 16788).

5.2 – La tesi secondo cui la notifica di copia della sentenza al Sindaco (e non al difensore del Comune) sarebbe idonea ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione non trova alcuna rispondenza nella giurisprudenza di questa Corte, che costantemente affermato il principio secondo cui la notificazione della sentenza in forma esecutiva eseguita alla controparte personalmente anzichè al procuratore costituito ai sensi dell’art. 170 cod. proc. civ., comma 1 e art. 285 cod. proc. civ., deve ritenersi inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione sia nei confronti del notificante che del destinatario, in quanto la conoscenza di fatto della sentenza, acquisita con modalità diverse da quelle specifiche alle quali la legge riconnette l’effetto particolare della decorrenza del termine breve per l’impugnazione ai sensi degli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., ha esclusivamente funzione propedeutica all’esecuzione, ai sensi dell’art. 479 cod. proc. civ. fCass., 1 giugno 2010, n. 13428;

Cass., 2 aprile 2009, n. 8071).

5.3 – Il rigetto del motivo testè esaminato è assorbente rispetto delle rimanenti e caudatarie censure del ricorso incidentale.

6 – In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla corte di appello di Potenza che, in diversa composizione, applicherà il principio sopra indicato, provvedendo, altresì, in merito alle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del principale, dichiara inammissibile il terzo, accoglie il secondo, assorbito il resto. Rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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