Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4733

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Svolgimento del processo

1 – Con atto di citazione notificato in data 5.1.1993 V.D. conveniva davanti al Tribunale di Reggio calabra il Comune di Melito Porto Slavo, chiedendone la condanna al pagamento del danno conseguente all’irreversibile trasformazione, attuata senza il rispetto delle norme che regolano l’espropriazione per pubblica utilità, del fondo da lui condotto in affitto e di proprietà di L.G. e Gi..

Il Tribunale adito, con sentenza del 17 settembre 2002, rigettava la domanda.

La Corte di appello di Reggio Calabria, per quanto in questa sede ancora rileva, rigettava l’appello proposto dal V., che veniva condannato al pagamento delle spese processuali.

In particolare, veniva osservato che l’indennità aggiuntiva prevista dalla L. n. 865 del 1971, art. 17, ovvero il suo equivalente a titolo risarcimento dei danni in caso di espropriazione illegittima, può attribuirsi solo nell’ipotesi in cui il rapporto agrario sia in vita al momento dell’occupazione del fondo e che da esso il conduttore tragga i mezzi di sussistenza, circostanza non ricorrente nella fattispecie in esame.

Avverso tale decisione propone ricorso il V., affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso l’ente territoriale.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, in relazione agli artt. 1647 e 1321 c.c., ribadendosi il diritto del V., quale conduttore del terreno ablato, al ristoro del pregiudizio subito.

2.1 – Con il secondo motivo si deduce la nullità del verbale di immissione in possesso, per violazione della L. 30 gennaio 1978, n. 1, art. 3;

2.2 – Con il terzo motivo si denuncia contraddittorietà della motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la Corte territoriale considerato che era stata avanzata una pretesa risarcitoria, e non una richiesta di indennità aggiuntiva.

3 – Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel giugno dell’anno 2008, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis:

Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 3.1 – Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, atteso che il primo e il secondo motivo, quanto alle violazioni denunciate, non si concludono con la formulazione del quesito di diritto, che contenga un’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto, così come i riferimenti alla regola di diritto applicata dal giudice di secondo grado ed a quella diversa regola iuris che, a giudizio del ricorrente, avrebbe dovuto essere applicata (Cass., Sez. Un, 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 25 luglio 2008, n. 20454).

3.2 – Quanto al vizio motivazionale dedotto con il terzo motivo, manca del tutto quel momento di sintesi omologo del quesito di diritto, nel senso sopra evidenziato.

3.4. – Deve quindi procedersi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorar, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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