Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-03-2012, n. 4732

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Con atto di citazione notificato in data 16 giugno 1996 G. M. e L.R.G. (quale erede di G.G. e D. N.) convenivano in giudizio il Comune di Messina, e, premesso che il sindaco di tale città aveva disposto in data 22 marzo 1985 l’occupazione d’urgenza, al fine di realizzare opere di urbanizzazione primaria, di un terreno del quale erano le predette G. erano comproprietarie; che in data 7 maggio 1985 il Comune si era immesso nel possesso del bene; che l’occupazione, la cui durata era stata inizialmente fissata in cinque anni, era stata prorogata di quattro anni in virtù del D.L. n. 534 del 1987, art. 14, convertito nella L. n. 47 del 1988 e della L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22; che con l’ultimazione delle opera di urbanizzazione si era realizzata l’irreversibile trasformazione del fondo, senza che fosse intervenuto il decreto di espropriazione, chiedevano il risarcimento dei danni in relazione alla perdita del terreno, oltre alla liquidazione dell’indennità per l’occupazione legittima.

1.1 – Il Comune, costituitosi, eccepiva preliminarmente la carenza di legittimazione degli attori, nonchè la prescrizione sia del diritto al risarcimento dei danno che di quello concernente l’indennità di occupazione; nel merito, sosteneva l’infondatezza della pretesa, per aver le proprie-tarie manifestato l’intenzione di cedere l’area.

1.2 – Disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, riunito al giudizio quello concernente la richiesta dell’indennità di occupazione relativa ad altro terreno, il Tribunale di Messina, con sentenza depositata il 7 novembre 2003, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune, rigettava la pretesa risarcitoria, dichiarando altresì la propria incompetenza in merito alle domande relative alla determinazione dell’indennità di occupazione.

1.3 – Il L.R., divenuto nelle more del giudizio di primo grado erede anche di G.M., provvedeva alla tempestiva riassunzione della causa relativa all’indennità di occupazione davanti alla Corte di appello di Messina. Proponeva poi, in via autonoma, appello avverso la sentenza di rigetto della pretesa risarcitoria, sostenendo, con riferimento all’eccezione di prescrizione accolta dal Tribunale, che il dies a quo andava individuato non già, come ritenuto dal tribunale, nel marzo del 1990, ma nello stesso mese dell’anno 1994, vale a dire dalla cessazione del periodo di occupazione legittima, come risultante non solo dall’originario provvedimento, ma anche dalle suindicate proroghe legali.

1.4- I giudizi, nei quali il Comune di Messina si era costituito ribadendo le proprie difese, venivano riuniti e decisi dalla corte territoriale con la sentenza indicata in epigrafe.

1.4.a – Veniva in primo luogo confermato il rigetto dell’azione risarcitoria, ribadendosi che il termine quinquennale per il decorso della prescrizione dovesse computarsi dalla data di scadenza dell’occupazione legittima, senza che potesse tenersi conto, come sostenuto da L.R., della proroga legale dell’occupazione sancita dal D.L. n. 534 del 1987, art. 14, trattandosi di norma rivolta a disciplinare i soli termini previsti per l’occupazione di urgenza e non per l’espropriazione. Veniva altresì rilevata l’inammissibilità, trattandosi di domanda nuova, della richiesta di restituzione dei beni occupati, ma non utilizzati.

1.4.b – Quanto alla domanda di determinazione dell’indennità di occupazione, rigettata – in virtù del richiamo alla durata decennale del relativo termine, nella specie non decorso – l’eccezione di prescrizione ribadita dal Comune, la stessa veniva liquidata in Euro 53.831,25, con riferimento agli interessi legali sulla somma determinata dal consulente tecnico d’ufficio per l’indennità di espropriazione.

1.5 – Per la cassazione di tale decisione il L.R. propone ricorso, affidato ad otto motivi. Resiste con controricorso il Comune di Messina, proponendo ricorso incidentale, sorretto da unico motivo, nei cui confronti l’ente territoriale resiste con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi e nei termini di cui all’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

2 – Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione.

Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 43 e 57, affermandosi che, dovendosi ritenere, sulla base della prima delle norme richiamate, che le occupazioni "sine titillo" costituiscono illecito permanente, tale disposizione – applicabile, in base al citato art. 57 del medesimo D.P.R. n. 327 del 2001, "ai procedimenti in corso" – non consentirebbe, non essendo definito l’ambito temporale entro il quale è consentita l’acquisizione sanante del bene, la maturazione della prescrizione del diritto al ristoro del pregiudizio subito.

2.1 – Con il secondo motivo si deduce l’illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 117 Cost. e all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentale, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55. 2.2 – Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, comma 2, convertito nella L. n. 47 del 1988, della L. n. 158 del 1991, art. 22, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendosi la sostanziale obliterazione, ad opera della corte territoriale, del principio di automaticità delle proroghe legali delle occupazioni temporanee disposte con le richiamate disposizioni.

Viene formulato il seguente quesito di diritto: "Le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni temporanee previste dal D.L. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, comma 2, conv. dalla L. 29 febbraio 1988, n. 41, e della L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22, operano automaticamente, senza necessità di specifico provvedimento da parte della P.A. e indipendentemente dal fatto che la dichiarazione di pubblica utilità fosse efficace o meno per tutto il periodo di occupazione originariamente autorizzato e automaticamente prorogato per legge o fosse scaduta o meno prima della scadenza del periodo di occupazione originariamente autorizzato e automaticamente prorogato per legge". 2.3 – Con il quarto motivo si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., nel qualificare capi autonomi delle sentenza di primo grado – come tali passati in giudicato perchè non impugnati – le mere affermazioni in essa contenute con riferimento alla caducazione della dichiarazione di pubblica utilità.

Viene indicato il seguente quesito di diritto: "Ai sensi dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; in suddetta autonomia manca – nelle argomentazioni e nelle affermazioni contenute nella premessa logica della statuizione adottata e quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri concorre a formare un capo unico della decisione.

La formazione della cosa giudicata, pertanto, non può verificarsi nè sulle argomentazioni e sulle affermazione contenute nella premessa logica della statuizione adottata (quali, ad esempio, la cessazione della dichiarazione di pubblica utilità ai fini della decorrenza del termine di prescrizione), ove queste ultime (decorrenza e prescrizione) siano oggetto del gravame, nè sulla valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad latri, concorre a formare un determinato capo della decisione ove tale capo sia oggetto del gravame". 2.4 – Con il quinto motivo si denuncia, indicandosi correttamente il fatto controverso, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la corte d’appello considerato, a fronte di specifiche deduzioni difensive, che alla data del 2001 era ancora efficace il piano di zona – contenente implicita dichiarazione di pubblica utilità – con conseguente applicabilità delle proroghe suddette e, quindi, con slittamento del "dies a quo" per il calcolo della prescrizione.

2.5 – Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20 e della L. 25 giugno 1965, n. 2359, art. 39, per essersi determinata l’indennità di occupazione sulla base del valore dei terreni dimidiato ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis e non in base al loro valore venale. Viene indicato il seguente quesito: "In seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte Cost. 22 ottobre – 24 ottobre 2007, n. 348/2007 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359) e alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale 22 ottobre-24 ottobre 2007, n. 349/2007 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 7 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65), per la quantificazione dell’indennità virtuale di espropriazione delle aree edificabili (necessaria per la determinazione dell’indennità annuale di occupazione legittima delle are edificabili anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001 nella misura annua degli interessi legali sulla indennità virtuale di espropriazione), si deve applicare il criterio del giusto prezzo dell’immobile in una libera contrattazione di compravendita, previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39". 2.6 – Con il settimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, del D.L. n. 534 del 1987, art. 14, comma 2, nonchè della L. n. 158 del 1991, art. 22, in quanto la determinazione del periodo di occupazione legittima è stata effettuata senza tener conto delle proroghe legali della stessa. Il quesito di diritto viene così indicato: "Le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni temporanee previste dal D.L. n. 534 del 1987, art. 14, comma 2, nonchè della L. n. 158 del 1991, art. 22, operano automaticamente, senza necessità di specifico provvedimento da parte della P.A e indipendentemente dal fatto che la dichiarazione di p.u. fosse efficace o meno per tutto il periodo di occupazione originariamente autorizzato e automaticamente prorogato per legge o fosse scaduta o meno prima della scadenza del periodo di occupazione originariamente autorizzato e automaticamente prorogato per legge: in caso di proroga automatica per legge del periodo di occupazione legittima autorizzato dalla P.A. il proprietario ha diritto alla corresponsione dell’indennità annuale di occupazione legittima sia per il periodo di occupazione legittima autorizzato dalla P.A., sia per il periodo di occupazione automaticamente prorogato per legge". 2.1 – Con l’ultimo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, per non essersi determinata l’indennità di occupazione sulla base delle superfici indicate nelle ordinanze di occupazioni, bensì alla stregua delle aree, di entità inferiore, corrispondenti a quelle interessate dalla irreversibile trasformazione.

Viene formulato il seguente quesito di diritto: "In seguito all’occupazione disposta dalla PA e alla conseguente immissione in possesso, il proprietario ha sia giuridicamente sia in concreto perduto il godimento e la disponibilità dell’intera area di cui si è disposta l’occupazione indipendentemente dalla circostanza che quell’area sia stata o meno radicalmente e irreversibilmente trasformata, ed ha pertanto diritto alla corresponsione dell’indennità annuale di occupazione legittima relativamente all’intera area occupata e, quindi, relativamente anche all’aerea occupata, ma non radicalmente e irreversibilmente trasformata". 2.8 – Con il ricorso proposto in via incidentale il Comune di Messina deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ribadendosi l’eccezione di prescrizione in relazione alle singole annualità del periodo di occupazione temporanea. Viene indicato nei termini seguenti il quesito di diritto. "Dica l’ecc.ma Corte adita se il diritto a percepire l’indennità di occupazione legittima si prescrive o meno nel termine di cinque anni e se il decorso del termine prescrizionale deve farsi coincidere o meno con l’inizio dell’occupazione legittima". 3 – Evidenti ragioni di priorità sul piano logico e giuridico impongono l’esame preliminare e congiunto del terzo e del quarto motivo di ricorso, intimamente collegati in quanto attinenti al tema della prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita del bene, per essere intervenuta la sua irreversibile trasformazione.

3.1 – Avanti di affrontare la questione centrale della incidenza delle proroghe legali dell’occupazione temporanea sull’individuazione del termine iniziale del periodo prescrizionale occorre soffermarsi sugli aspetti di natura procedurale scaturenti dall’affermazione, contenuta nella decisione impugnata, secondo cui, non essendosi specificamente impugnato il capo della sentenza relativo alla caducazione della dichiarazione di pubblica utilità, sul punto si sarebbe formato il giudicato. Mette conto di evidenziare che, come emerge dal controricorso, nel quale vengono trascritti ampi brani della decisione di primo grado, il Tribunale di Messina, all’esito di una complessa ricostruzione, aveva affermato che, dovendosi "presumere" che il provvedimento sindacale avesse riprodotto le indicazioni della Giunta con le quali era stato approvato il progetto, la data del termine dell’occupazione temporanea veniva sostanzialmente a coincidere con l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità. La tesi sostenuta nell’impugnata decisione, secondo cui, non essendosi impugnata, da parte del L.R., tale specifico aspetto, sul punto si sarebbe formato il giudicato, non può condividersi, in quanto, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il giudicato interno può formarsi solo su un capo non impugnato della decisione, capace di comportare una parziale soccombenza della parte con conseguente necessità – appunto – della relativa impugnazione, non già su un argomento, sia pure di rilievo, posto nella sentenza impugnata a sostegno della decisione.

Ed invero costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato, anche interno, quello che risolva una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorra a formare un capo unico della decisione (Cass., 16 gennaio 2006, n. 726; Cass., 7 marzo 1995, n. 2621). Avuto riguardo ai complessivi aspetti della vicenda in esame, il decorso del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità costituisce una mera premessa logica della statuizione relativa alla decorrenza del termine prescrizionale dell’azione risarcitoria, ragion per cui, essendo stata detta statuizione specificamente appellata dal L.R., non poteva formarsi il giudicato su detta premessa, non configurabile, di certo, come un capo completamente, autonomo della decisione (Cass., 23 febbraio 2009, n. 4363; Cass., 29 aprile 2006, n. 10043).

3.2 – Tanto premesso, deve constatarsi la fondatezza dei rilievi inerenti all’incidenza delle proroghe legali rispetto all’individuazione del termine iniziale per il decorso della prescrizione. Premesso che i termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13 e quello triennale di cui alla L. n. 1 del 1978, art. 1, assolvono, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a diverse funzioni che ne richiedono la contestuale osservanza, previo raccordo degli stessi, a pena della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità (Cass. 8210/2007; 15516/2006; 14461/2004), deve osservarsi che come emerge dalla decisione di primo grado, sul punto recepita dalla sentenza impugnata, i termini della dichiarazione di pubblica utilità e quelli del periodo di occupazione temporanea, scadenti nell’anno 1990, erano sostanzialmente coincidenti.

Sulla base di tale presupposto di natura fattuale – e della evidenziata insussistenza della formazione del giudicato sulla caducazione della pubblica utilità (nel senso che il giudizio sulla sua sensibilità alle proroghe in questione non incontra l’ostacolo dell’insindacabilità dell’affermazione dei giudici di primo grado circa la definitiva cessazione di efficacia della stessa) – la Corte di appello non ha correttamente applicato la legislazione particolare intervenuta nel settore proprio nel decennio in questione, la quale ha comportato (per quanto qui interessa): una proroga automatica di due anni per le occupazioni d’urgenza in corso per effetto della L. 47 del 1988, art. 14 ed una seconda, ancora di due anni per effetto dell’art. 22 della successiva L. n. 47 del 1988; un’ultima disposizione di collegamento contenuta nella L. n. 166 del 2002, art. 4, in base al cui art. 4 tutte le proroghe disposte dalla normativa emergenziale e, quindi, anche quelle introdotte dalle menzionate disposizioni legislative del 1985 e del 1988, specificamente ricordate, devono intendersi con effetto retroattivo, riferite ai procedimenti espropriativi comunque "in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti". L’effetto di proroga deve infine essere esteso anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio, essendo illogica la previsione del perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per il completamento del procedimento ablativo (Cass., sez. un., 8 febbraio 2008, n. 2630; Cass. Sez., 28 aprile 2010, n. 10216).

Ed invero le Sezioni unite di questa Corte hanno concluso che, per effetto delle menzionate disposizioni legislative, non soltanto le occupazioni temporanee e d’urgenza, ma anche le dichiarazioni di pubblica utilità che ne costituiscono un presupposto indefettibile sono state prorogate di un corrispondente periodo onde evitarne la scadenza diacronica: in conformità del resto alla finalità di detta legislazione di predisporre un apposito apparato normativo onde protrarre automaticamente la validità dei procedimenti di espropriazione in corso in attesa che il Parlamento procedesse all’approvazione della nuova disciplina delle indennità di esproprio resa necessaria, secondo la Corte Costituzionale, dalle note declaratorie di incostituzionalità di cui alle proprie decisioni 5/1980 e 223/1983 (Cass. n. 8734/1997; Corte Costit. 163/1994 e 244/1993).

Sulla base di tali considerazione appare evidente che, dovendosi tener conto degli indicati periodi di proroga, per una durata complessiva di quattro anni, i termini iniziali, per il calcolo della decorrenza della prescrizione della pretesa risarcitoria, non potevano individuarsi nel 14 febbraio e nel 22 marzo del 1990, bensì, rispettivamente, nel 14 febbraio e nel 22 marzo del 1994.

Deve quindi darsi positiva risposta ai quesiti di diritto relativi al terzo e al quarto motivo, nel senso dell’erroneità dell’esclusione della incidenza, ai fini della prescrizione dell’azione risarcitoria, delle proroghe legali sopra indicate.

4 – Rimangono così assorbiti il quinto motivo, con il quale si deduce la persistenza della dichiarazione di pubblica utilità in funzione dell’efficacia del Piano di Zona, nonchè le prime due censure, tendenti alla contestazione "in apicibus" della prescrizione nell’occupazione acquisitiva.

Per mera completezza di esposizione mette conto di ricordare, a tale riguardo, che l’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 43, prima della sua abrogazione, non era ammessa riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del citato D.P.R. (30 giugno 2003), alle quali si applica la disciplina transitoria dell’art. 55 che, sia nella versione originaria, riproduttiva del criterio risarcitorio previsto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7, sia dopo la dichiarazione d’incostituzionalità di tale criterio (sentenza n. 349 del 2007) e la conseguente modifica ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, assicura alle vecchie occupazioni appropriative "ad esaurimento" il risarcimento commisurato al valore venale del bene, con ciò confermando la vigenza di una disciplina specifica per le vecchie occupazioni illegittime, estranee all’acquisibilità tardiva del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43. Nè appare irragionevole il riconoscimento del risarcimento integrale solo per le situazioni anteriori all’entrata in vigore del T.U. espropriazioni, rientrando nella discrezionalità del legislatore la modulazione nel tempo delle discipline eventualmente favorevoli ad alcune categorie di cittadini, senza che ciò possa rivestire aspetti discriminatori alla luce dei parametri costituzionali; è, pertanto, manifestamente infondata la questione d’illegittimità costituzionale dell’art. 43 cit. fondata sulla sua irretroattività (Cass., 28 luglio 2008, n. 20543; Cass., 5 ottobre 2009, n. 21203; Cass. 22 aprile 2010 n. 9620; sulla esclusione della efficacia retroattiva dell’art. 43 citato, cfr. Cass. 19 dicembre 2007 n. 26732).

5 – Parimenti fondato è il sesto motivo, ragion per cui al relativo quesito di diritto deve rispondersi positivamente, non potendo dubitarsi che la determinazione, in via virtuale, dell’indennità di esproprio ai fini del calcolo dell’indennità di occupazione debba effettuarsi, a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1, convertito con modificazioni, nella L. n. 359 del 1992, in base al valore venale del bene, secondo il criterio fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, incidendo detta pronuncia anche sulla determinazione dell’indennità di occupazione legittima, che matura al compimento di ogni singola annualità e va, pertanto, calcolata sulla base dell’indennità di espropriazione – effettiva o virtuale – riferita a ciascun anno di occupazione (Cass., Cass. 21 giugno 2010, n. 14939).

6 – Merita accoglimento anche il settimo motivo, in quanto ogni occupazione temporanea e d’urgenza ingenera un’obbligazione diretta a compensare il mancato godimento del bene per tutta la durata della sua indisponibilità. Ne consegue che l’indennità deve essere commisurata all’intera durata dell’occupazione legittima, tenendosi conto sia dell’originario termine di scadenza, sia di eventuali successive proroghe (cfr., per tutte, la recente Cass., 13 gennaio 2011, n. 714).

7 – L’ultima censura del ricorso principale, incentrata sul tema del rapporto fra indennità di occupazione e superficie risultante dal relativo decreto, è fondato. L’autonomia ontologica dell’indennità di occupazione impone di determinarla sulla base dell’estensione risultante dalla relativa delibera (cfr., Cass., 9 gennaio 2004, n. 117), ove realmente eseguita, prescindendo da eventuali discordanze con l’estensione dell’area successivamente trasformata, in quanto, come sopra evidenziato, deve tenersi conto della esigenza di compensare la perdita della disponibilità del bene per un determinato periodo, per come effettivamente e legalmente verifi- catasi.

8- Il ricorso incidentale, se non può condividersi nella parte in cui invoca la prescrizione quinquennale del diritto all’indennità di occupazione (da ritenersi, al contrario, decennale sulla base di un consolidato orientamento di questa Corte), merita accoglimento nel senso che, potendo il proprietario far valere il credito fin dalla scadenza del primo anno di occupazione, la prescrizione decennale del diritto relativo a ciascun anno di occupazione ex art. 2946 cod. civ. decorre dalla scadenza del relativo periodo e non già dalla scadenza dell’occupazione legittima, non rilevando se questa sia divenuta illegittima o appropriativa (Cass., 11 novembre 2010, n. 22913;

Cass., 29 ottobre 2008, n. 25983). Pertanto il motivo va accolto nel senso che occorre verificare, in base alla scadenza di ogni singola annualità, l’eventuale maturarsi della prescrizione decennale (Cass., Sez. un., 11 maggio 2006, n. 10830).

9 – In conclusione, vanno accolti il terzo, il quarto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale, assorbiti i rimanenti, nonchè, nei limiti indicati, il ricorso incidentale; la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Messina che, in diversa composizione, applicherà i suesposti principi, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il terzo, il quarto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale, assorbitigli altri. Accoglie il ricorso incidentale per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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