Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-03-2012, n. 4712 Professori universitari associati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29 luglio 2009, la Corte d’Appello di Milano accoglieva parzialmente il gravame svolto da B.C. A. ed altri due litisconsorti in epigrafe indicati, contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento della natura unitaria e subordinata del rapporto di lavoro sin dall’origine intercorso con l’Università degli Studi di Milano, l’accertamento della dequalificazione, il diritto a percepire il trattamento economico di professori associati a tempo definito, con progressione di anzianità e carriera, l’adeguatezza della retribuzione, oltre alla regolarizzazione contributiva e previdenziale.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– B.C.A., D.P.E., R. D., convenivano in giudizio l’Università degli Studi di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’INPS, per sentire accertare che era intercorso, con la predetta Università, rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dalla prima assunzione (dall’a.a. 1987/1988 per B.; dall’a.a. 1986/1987 per D. P. e per R.), senza soluzione di continuità, con conseguente dichiarazione del diritto al trattamento retributivo e previdenziale del professore associato a tempo definito o, in subordine, secondo il parametro del ricercatore confermato a tempo pieno e, quanto al R., il cui rapporto era cessato nel settembre 2000, al TFR adeguato ai parametri indicati, con ricostruzione della carriera lavorativa al pari dei ricercatori confermati a tempo pieno, con condanna alla regolarizzazione contributiva e previdenziale con riferimento al trattamento retributivo spettante in forza di precedenti domande; chiedevano, inoltre, l’accertamento della nullità o l’annullamento per vizio del consenso dei nuovi contratti, stipulati nel 1994 con l’Università come collaboratori linguistici; la condanna al risarcimento del danno per dequalificazione a causa della nuova qualifica di collaboratori linguistici nonchè per il demansionamento a far data dall’a.a.

1995/1996; infine, chiedevano la condanna dello Stato italiano al risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario;

– la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccepiva l’incompetenza funzionale del giudice adito; l’Università contestava l’infondatezza della pretesa alla ricostruzione della carriera a far tempo dalla prima assunzione e il diritto all’adeguamento retributivo richiesto alla luce della normativa succedutasi nel tempo;

– il primo giudice respingeva il ricorso in base al rilievo che le sentenze passate in giudicato che avevano attribuito il trattamento economico parametrato a quello dei professori associati a tempo definito, prima dell’entrata in vigore della L. n. 236 del 1995, non avevano altresì attribuito la qualifica di professore associato, onde il giudicato non poteva spiegare effetti per il futuro per essere intervenute modifiche, in fatto e in diritto, che non consentivano di attribuire alla statuizione efficacia ulteriore rispetto agli anni accademici successivi a quelli coperti da giudicato; inoltre, riteneva intervenute rilevanti modifiche nella regolamentazione dei nuovi contratti di lavoro, liberamente scelte dalle parti; infine, escludeva la non conformità al diritto comunitario del parametro retributivo di ricercatore a tempo definito e infondata la domanda di adeguamento retributivo comparando il ruolo dei ricorrenti a quello dei professori associati o ricercatori confermati a tempo pieno.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva:

– competente il Tribunale di Roma sulla domanda di risarcimento del danno svolta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, trattandosi di domanda non collegata al rapporto di lavoro;

– passate in giudicato le decisioni con le quali i lettori avevano ottenuto giudizialmente il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, oltre il riconoscimento della retribuzione parametrata a quella del professore associato a tempo definito;

– immutate le mansioni svolte, onde sussisteva il diritto al mantenimento del trattamento retributivo riconosciuto con dette sentenze, nè la stipulazione dei nuovi contratti aveva fatto venir meno il diritto alla retribuzione come accertato nei predetti giudicati;

– infondata, all’esito del testimoniale acquisito alla causa, l’eccezione, sollevata dall’Università, di modificazione delle condizioni di fatto, incentrata sulla riduzione delle attività più significative dell’insegnamento;

– infondata la domanda di risarcimento del danno per dequalificazione, peraltro contraddetta dalla domanda di ricostruzione economica dell’anzianità fondata proprio sull’asserita immutabilità delle mansioni;

– sussistente, in definitiva, il diritto al trattamento retributivo di professore associato anche per il periodo successivo a quello coperto dalle pronunce passate in giudicato ed infondata l’eccezione di prescrizione, sollevata dall’Università, per aver i lettori interrotto la prescrizione con più atti (con lettera del 13.7.1998, prima, e poi con il tentativo obbligatorio di conciliazione).

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Università degli Studi di Milano e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso, eccependo improcedibilità, inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale, ed hanno proposto ricorso incidentale autonomo, con tre motivi, cui non hanno resistito l’Università degli Studi di Milano e la Presidenza del Consiglio. I ricorrenti principali hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. L’INPS ha partecipato alla discussione orale.

Motivi della decisione

5. Preliminarmente va ritenuta infondata l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale sollevata dalle parti intimate giacchè le parti ricorrenti hanno depositato, nei termini prescritti dall’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 2 la copia autentica del provvedimento impugnato, evincendosi la garanzia di autenticità della sentenza gravata nel retro dell’ultima pagina della statuizione della Corte territoriale.

6. Con il primo motivo di ricorso le parti ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 1322, 1418, 1974 c.c.; della L. n. 63 del 2004; del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 e del D.L. n. 120 del 1995, art. 4 conv. in L. n. 236 del 1995;

dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 4; violazione delle vigenti disposizioni in materia di impegno orario dei docenti e dei ricercatori universitari; motivazione insufficiente e illogica.

Illustrando il motivo, ove sono comprese variegate censure, le ricorrenti si dolgono che la corte di merito non abbia considerato i nuovi contratti di collaboratori linguistici stipulati ai sensi della L. n. 236 del 1995 con i quali le parti hanno formalizzato la volontà di procedere ad una diversa regolamentazione del rapporto e abbia ritenuto tali accordi inidonei a rimuovere gli effetti del giudicato; censurano, pertanto, la statuizione, per violazione di legge, per non aver la corte correlato i limiti del giudicato alla nuova regolamentazione dei rapporti tra le parti.

7. Le parti ricorrenti si dolgono, inoltre, con il secondo motivo, dell’insufficiente motivazione sul punto relativo al mutamento delle mansioni e, con il terzo motivo, censurano la statuizione per la contraddittoria motivazione in punto di risarcimento del danno per dequalificazione.

8. I motivi, esaminati congiuntamente per la loro connessione logica, non sono meritevoli di accoglimento.

9. Innanzitutto rileva il Collegio che, come correttamente statuito dalla corte territoriale, la domanda svolta nei confronti della Presidenza del Consiglio, per violazione del diritto comunitario per mancato adeguamento dello Stato italiano alle disposizioni dell’art. 39 del Trattato e alle pronunce della Corte di giustizia CE in tema di rapporto di lettorato, non doveva essere spiegata innanzi al giudice del lavoro l’Ufficio giudiziario competente a conoscere della domanda proposta nei confronti dello Stato deve essere individuato in quello di Roma qualora l’obbligazione dedotta in giudizio sia riferibile ad un comportamento dello Stato legislatore (v., ex multis, Cass. 13255/2011), nè la condotta inadempiente dello Stato legislatore è attratta al rito del lavoro per connessione meramente soggettiva o accessoria alle altre domande spiegate in giudizio dai lettori.

10. Va, poi, rilevata, l’inammissibilità, per carenza di interesse delle parti ricorrenti, del dedotto error in procedendo per non aver la Corte territoriale statuito sulla domanda di nullità/annullabilità dei contratti proposta dai lettori.

11. Invero, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere, e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.

12. Tuttavia, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce, precipuamente, l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo. Ne consegue che è carente di interesse, per non aver subito uno specifico e concreto pregiudizio, la parte che, come nella specie, si dolga della sentenza non pronunciata su una domanda proposta dalla controparte.

13. Peraltro, per essere il fulcro dell’articolata e composita censura illustrata con il primo motivo fondato sui nuovi contratti di collaboratori linguistici comprovanti la volontà di procedere ad una diversa regolamentazione del rapporto, va rilevato che detti contratti non risultano allegati al ricorso per cassazione, in violazione della regola dell’autosufficienza e degli oneri di produzione nel giudizio di legittimità, prescritti per consentire alla Corte di legittimità di vagliare la decisività della censura.

14. Invero, il novellato art. 366 c.p.c., n. 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (ex plurimis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass., n. 20535/2009).

15. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass., SU, 22726/2011).

16. Le ricorrenti non hanno adempiuto a tali oneri, poichè hanno bensì depositato il proprio fascicolo, senza tuttavia fornire, nel ricorso, la specifica indicazione dei dati necessari al reperimento dei documenti su cui si fonda il motivo; ne discende l’inammissibilità del terzo e del quarto motivo.

17. Rimane, pertanto, assorbita la doglianza per mancato riconoscimento del carattere novativo dei nuovi contratti intercorsi tra le parti.

18. Quanto alle censure relative all’insufficienza della motivazione in punto di mutamento delle mansioni, a conforto della tesi propugnata di mutazione dei fatti al fine di rimuovere gli effetti del giudicato, ne va rilevata l’inidonea formulazione per essere stata omessa, dalle parti ricorrenti, la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il Giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, con indicazione delle risultanze acquisite al giudizio che avrebbero dovuto condurre ad una diversa statuizione sulla mutazione dei fatti scrutinati rispetto all’accertamento coperto da giudicato.

19. Al riguardo va, peraltro, riaffermato che la preclusione da giudicato opera anche per i rapporti di durata e pur se formatosi in relazione ad un diverso periodo se colpisce il medesimo fatto costitutivo dell’intero rapporto giuridico in relazione alla stessa questione giuridica.

20. E’ stato infatti affermato (tra le tante Cass. 8650/2010) che "qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo.

21. Nella specie, pertanto, l’inadeguatezza della censura in ordine alla mutazione e non identità delle mansioni non travolge il giudicato sull’adeguamento del trattamento economico all’art. 36 Cost., onde il predetto trattamento non può più essere disconosciuto, o ridotto, se le mansioni rimangono, come nella specie, identiche (v., Cass. 4406/2009; e, con riferimento alle statuizioni contenute nella sentenza non definitiva in ordine alla natura del rapporto di lavoro e al trattamento retributivo, Cass. 24475/2011).

22. Anche la censura per contraddittorietà della motivazione per il capo della statuizione gravata relativo al risarcimento del danno per dequalificazione è, all’evidenza, proposta dalle parti che non vi hanno interesse, trattandosi di domanda svolta, nelle sedi di merito, dalle controparti.

23. Con il ricorso incidentale le parti intimate deducono violazione dell’art. 2103 c.c. per aver la corte territoriale rigettato la domanda di risarcimento del danno per dequalificazione per effetto dell’inquadramento unilaterale nella categoria del personale tecnico amministrativo. Assumono i ricorrenti che, a seguito del peggiorativo inquadramento come collaboratori ed esperti linguistici (CEL) dal 1994, i lettori hanno subito una lesione del diritto alla qualifica, da tutelare autonomamente rispetto al diritto al mantenimento in linea di fatto delle mansioni, con conseguente diritto al risarcimento dei danni per violazione dell’art. 1203 c.c. (primo motivo) 24. Il Collegio reputa il motivo non meritevole di accoglimento per non aver i ricorrenti incidentali allegato, specificamente, l’esistenza del pregiudizio.

25. Invero, come più volte ribadito da questa Corte di legittimità (ex multis, Cass. 19785/2010), in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può, pertanto, prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dall’esistenza di un pregiudizio.

26. Va respinto, richiamando gli argomenti enunciati nel p. 9 che precede, anche il secondo motivo, con il quale i ricorrenti incidentali hanno dedotto la violazione degli artt. 31 e 40 c.p.c. in relazione all’art. 413 c.p.c., commi 5 e 6, per aver la corte di merito negato la competenza funzionale del giudice del lavoro di Milano a conoscere della domanda di risarcimento danni per violazione del diritto comunitario.

27. Infine, il terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale è dedotta la violazione dell’art. 1418 c.c. e della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e della L. n. 236 del 1995, art. 4 va dichiarato assorbito trattandosi di censura condizionata all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

28. Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese fra tutte le parti.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso principale e il ricorso incidentale;

compensa le spese fra tutte le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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