Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-03-2012, n. 4711 Idoneita’ fisica del lavoratore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.L. venne assunta come invalida dalla Cremonini spa presso il ristorante self service della Stazione di (OMISSIS).

In data 30.5.2000 la Commissione di cui alla L. n. 104 del 1992 della ASL di Firenze rilevò la compatibilità, ai sensi della L. n. 68 del 1999, delle condizioni di salute della lavoratrice con la possibilità di proseguire l’attività lavorativa di operaia, anche all’interno dell’attività di ristorazione, prevedendo per la stessa attività di carattere sedentario, ergonomicamente appropriata.

A seguito di successivo accertamento ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 3, ultimo periodo, comunicato alla lavoratrice in data 23.10.2000, la Commissione, fatta salva la possibilità di instaurazione, secondo il CCN di lavoro per i dipendenti da Azienda del Settore Turismo, di un rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi dell’art. 51 del CCN, con l’accordo volontario delle parti interessate, rilevò "l’impossibilità di reinserire" all’interno della Ditta Cremonini la disabile e rinviò "la possibilità di nuovo avviamento al lavoro della stessa a quanto di competenza dell’Ufficio Competente della Provincia di Firenze ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 4, comma 4, ultimo periodo".

A fondamento di tale valutazione la Commissione osservò di avere preso "atto del recente Accordo Integrativo Aziendale, che ha classificato al 4^ livello contrattuale i dipendenti qualificati cassieri, spostando verosimilmente dal 5 al 4 livello l’inquadramento di tale attività", di avere rilevato l’insussistenza nel 5 livello (al quale apparteneva la C.) e in quello inferiore (6 super) di mansioni equivalenti "compatibili con le condizioni di salute della Sig.ra C., riferendo comunque le mansioni equivalenti a quelle appartenenti alla stessa area professionale" e di avere altresì "preso atto che, al momento attuale, non esistono, in base a quanto rilevato al sopralluogo, soluzioni diverse da quelle proposte dalla Ditta Cremonini in materia di adattamenti degli ambienti, delle postazioni e della organizzazione del lavoro".

Al suddetto accertamento seguì il licenziamento della C..

Quest’ultima convenne quindi in giudizio la ASL di Firenze avanti al Tribunale di Firenze, impugnando il suddetto atto di accertamento della Commissione per vizi procedimentali e di merito.

Radicatosi il contradditorio, il Giudice adito dichiarò il difetto di giurisdizione dell’AGO in ordine alla richiesta di annullamento dell’atto e respinse nel resto la domanda attorea per difetto di interesse ad agire.

Il gravame proposto dalla C. venne respinto dalla Corte d’Appello di Firenze con sentenza n. 451 del 3 – 10.6.2003. Con sentenza n. 24862/2006, le Sezioni Unite di questa Corte, in accoglimento del ricorso proposto dalla C., dichiararono la giurisdizione del giudice ordinario, cassarono la sentenza impugnata e rimisero la causa al Tribunale di Firenze, enunciando il principio secondo cui le controversie in materia di accertamento sanitario della possibilità di inserimento del disabile in un determinato contesto lavorativo, ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 10, comma 3, investendo un atto di certazione della commissione medica di cui alla L. n. 295 del 1990, art. 1, commi 1 e 8, con riflessi sul diritto soggettivo alla stabilità del collocamento obbligatorio, appartengono alla giurisdizione ordinaria, tanto che vengano promosse dal lavoratore che dal datore di lavoro.

Riassunto il giudizio, il Tribunale di Firenze dichiarò il difetto di legittimazione passiva dell’Azienda Sanitaria di Firenze – Usl n. (OMISSIS) – Regione Toscana.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 9.2 – 3.3.2010, rigettò il gravame proposto dalla C., osservando a sostegno del decisum quanto segue:

– contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice a quo, doveva riconoscersi la legittimazione passiva della Azienda Sanitaria convenuta, non sussistendo altre domande indirizzate nei confronti di altri soggetti (a cominciare dalla ex datrice di lavoro, che, sulla base della valutazione della Commissione, aveva poi risolto il rapporto di lavoro) ed apparendo evidente che l’intenzione della C. era quella di porre nel nulla la determinazione di non esservi all’epoca dei fatti presso la società Cremonini un posto di lavoro adeguato alle sue condizioni psicofisiche, di tal che la domanda, così come svolta, era proponibile soltanto nei confronti della Azienda Sanitaria convenuta, in quanto solo ad essa era imputabile la valutazione impugnata;

– il presupposto della nuova valutazione della Commissione era costituito dalla richiesta della parte datoriale, ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 3, di verificare se le condizioni di salute della disabile ne consentissero la continuazione dell’utilizzo presso l’azienda;

– stante il mero giudizio tecnico della Commissione medica, non era previsto un procedimento di tipo contenzioso, cosicchè appariva del tutto inconsistente la doglianza principale della C. riguardo al difetto di contraddittorio tra le parti del rapporto di lavoro nell’accertamento e nella valutazione della Commissione medica;

– la domanda giudiziaria, determinata sulla sola illegittimità dell’accertamento, era palesemente infondata, essendo stata rivolta esclusivamente all’organo accertatore, "senza alcuna indicazione di contenuto concreto circa la effettiva esistenza di differenti parametri valutativi (ad es., le qualificazioni contrattual- collettive del livello d’inquadramento attribuito alla lavoratrice) o la diversa plausibilità organizzativa";

– la carenza dell’azione giudiziaria intrapresa si manifestava anche là dove non era stata assunta alcuna "conseguenza concreta, anche solo risarcitoria, nei confronti dell’Asl convenuta in giudizio", cosicchè doveva ritenersi "del tutto inammissibile ed incoerente il mero (ed unicamente richiesto) accertamento di fatto, relativo alla pretesa compatibilità delle condizioni di salute di C.L. con l’occupazione presso il ristorante (OMISSIS), senza che se ne faccia conseguire alcun posizione di diritto vantatole"; infatti l’inerzia della lavoratrice, che non aveva impugnato il licenziamento intimatole nei confronti dell’azienda datrice di lavoro, impediva "di pretendere qualsiasi conseguenza in tema di rapporto di lavoro", mentre l’inconsistenza e la manchevolezza della pretesa verso l’Azienda Sanitaria rendevano "priva di contenuto sostanziale l’azione giudiziaria", una volta che non era da considerarsi invalida la procedura L. n. 68 del 1999, ex art. 10.

Avverso la testè ricordata sentenza della Corte territoriale, C.L. ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con memoria.

L’intimata Azienda Sanitaria di Firenze – USL (OMISSIS) della Regione Toscana ha resistito con controricorso, proponendo altresì, condizionatamente al denegato accoglimento del ricorso principale, ricorso incidentale fondato su due motivi, depositando memoria. La ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di plurime disposizioni della L. n. 241 del 1990, ritenute applicabili alla fattispecie in difetto di specifica esclusione, per non essere stata informata dell’accertamento in corso da parte della Commissione. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 3, deducendo che il silenzio di tale norma in ordine al diritto di informazione della parte, non avrebbe potuto essere ritenuto prevalente rispetto alla contraria previsione della L. n. 241 del 1990.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, rilevando che, in ordine alla valutazione della fondatezza nel merito della domanda, erroneamente la Corte territoriale aveva ravvisato, stante il contenuto del terzo motivo d’appello, carenza di indicazione di contenuto concreto circa la effettiva esistenza di differenti parametri valutativi.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, dolendosi della mancata ammissione della offerta prova per testi sul fatto che essa ricorrente, quale dipendente del buffet della stazione fiorentina, era stata saltuariamente addetta ad una cassa. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 3, deducendo che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto l’inaccoglibilità della domanda in difetto di ulteriori richieste, posto che gli accertamenti in ordine agli stati di invalidità e di handicap sono suscettibili di sindacato giudiziario, in quanto tali status sono sempre produttivi di diritti che non richiedono esplicita enunciazione e formulazione nelle domande, fermo restando l’interesse del cittadino alla statuizione di irritualità procedurale, nullità, illegittimità e infondatezza dell’atto amministrativo che lo concerne.

2. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente siccome fra loro connessi, devono ritenersi infondati, posto che, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., n. 17852/2009), la normativa di cui alla L. n. 241 del 1990, riguarda unicamente la materia dei procedimenti amministrativi veri e propri, quelli cioè il cui atto costitutivo è un provvedimento amministrativo autoritativo, in quanto esercizio di una potestà pubblica per la cura di interessi di tipo pubblicistico attraverso strumenti di diritto amministrativo, nel mentre oggetto dell’atto impugnato nella presente controversia è una "attività di mero accertamento e valutazione puramente tecnica", senza che alle commissioni mediche spetti "alcun potere autoritativo a cui possa contrapporsi un interesse legittimo del soggetto privato" (cfr., Cass., SU, n. 24862/2006, resa nel presente giudizio).

3. Parimenti infondati sono altresì il terzo e il quarto motivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito (cfr., ex plurimis, Cass., SU, nn. 13045/1997;

5802/1998), nel mentre, con il terzo motivo, la ricorrente si limita a sollecitare una diversa valutazione della pertinenza delle doglianze svolte con il ricorso d’appello, senza specificare sotto quale profilo nelle argomentazioni della Corte territoriale sarebbe ravvisabile un’omessa ovvero insufficiente disamina di punti decisivi della controversia ovvero un difetto di coerenza che non consenta l’identificazione del procedimento logico – giuridico seguito.

Avuto poi riguardo al nucleo fondante dei rilievi effettuati dalla Commissione (costituito, come ricordato, nella considerazione del "recente Accordo Integrativo Aziendale, che ha classificato al 4^ livello contrattuale i dipendenti qualificati cassieri), si appalesa priva di decisività la prova concernente la pregressa saltuaria adibizione della ricorrente ad una cassa.

4. Il rilievo della Corte territoriale sull’assenza di indicazioni di contenuto concreto circa la effettiva esistenza di differenti parametri valutativi o la diversa plausibilità organizzativa ha costituito un’autonoma ragione di rigetto del gravame; ulteriore e distinta ragione, anch’essa di per sè idonea a sostenere il decisum, è stata individuata, secondo quanto diffusamente esposto nello storico di lite, nella ritenuta mancanza di contenuto sostanziale dell’azione giudiziaria intrapresa.

L’infondatezza dei motivi concernenti la prima delle suddette rationes decidendi conduce all’applicazione del principio secondo cui, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe comunque condurre all’annullamento della decisione stessa (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 12976/2001; 18240/2004; 20454/2005).

Deve quindi rilevarsi l’inammissibilità del quinto motivo di ricorso, svolto a riguardo della seconda delle surricordate rationes decidendi.

5. In definitiva, quindi, il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato (concernente la questione della legittimazione passiva dell’Azienda Sanitaria).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale e condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 30,00, oltre ad Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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