Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-03-2012, n. 4709 Licenziamento disciplinare Trasferimento del lavoratore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.G. adiva il Tribunale di Padova chiedendo dichiararsi l’illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 9 giugno 1999 e condannarsi la società datrice di lavoro, la A. Mion s.p.a., a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a versare allo stesso tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra. Esponeva il ricorrente che gli addebiti contestatigli (assenza ingiustificata dal posto di lavoro) non costituivano giusta causa di recesso perchè erano insussistenti.

Allegava al riguardo di essere stato trasferito il (OMISSIS) dallo stabilimento di (OMISSIS), ove svolgeva le mansioni di impiegato di 5 livello addetto all’ufficio commerciale, a quello di Bagnoli di Sopra, con la mansione di responsabile del magazzino materie prime. Sosteneva il R. che il trasferimento era del tutto immotivato e comportante una evidente dequalificazione. Ed infatti il ricorrente, dopo aver aderito alla comunicazione di trasferimento, aveva contestato il provvedimento aziendale e, dopo un periodo di malattia, si era messo a disposizione dell’azienda presso la propria abitazione. L’azienda aveva contestato l’assenza ingiustificata e gli aveva quindi comunicato il licenziamento per giusta causa.

Ad avviso del ricorrente il trasferimento ed il conseguente licenziamento erano da ritenersi illegittimi, considerato che il rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti era del tutto giustificato, anche in considerazione della palese inconsistenza delle dedotte esigenze di riorganizzazione della gestione del magazzino.

Si costituiva la A.Mion s.p.a. chiedendo il rigetto delle domande avversarie. Deduceva che il trasferimento presso lo stabilimento di Bagnoli di Sopra era stato determinato dalla necessità di reperire una figura professionale che si occupasse dell’organizzazione e della gestione del magazzino materie prime, sgravando di tali compiti il responsabile dello stabilimento stesso.

Il Tribunale di Padova, con sentenza del 12 gennaio 2007, ritenendo non dimostrati gli assunti di parte resistente, dichiarava illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegra nel posto di lavoro del ricorrente, con le consequenziali pronunce L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Proponeva appello la società; resisteva il R..

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata l’11 novembre 2009, accoglieva solo parzialmente il gravame, rideterminando gli importi spettanti al R. a titolo di risarcimento del danno, detraendo l’aliunde perceptum, e compensando parzialmente le spese liquidate dal primo giudice.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società MION (succeduta alla A.MION s.p.a.), affidato a nove motivi.

Resiste il R. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1460 c.c., comma 1, per non avere la corte territoriale considerato che è illegittimo – ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa- il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia a tutti gli altri obblighi derivantigli dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.), essendo all’opposto il rifiuto giustificato, ex art. 1460 cod. civ., solo se l’altra parte sia totalmente inadempiente, negli altri casi potendo il lavoratore rifiutare lo svolgimento di singole prestazioni lavorative non conformi alla propria qualifica, ma non potendo rifiutare lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa.

Il motivo è infondato.

La tesi esposta dalla ricorrente risulta condivisibile per il caso di mutamento di mansioni, solo in parte equivalenti a quelle precedentemente svolte (ed in tal senso Cass. n. 29832 del 2008).

In tema di trasferimento, comportante un radicale mutamento della posizione lavorativa del dipendente, questa Corte ha invece più volte affermato che il trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 cod. civ., determina la nullità dello stesso ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, con la conseguenza che la mancata ottemperanza da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di un’eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali che imponga l’ottemperanza agli stessi fino ad un contrario accertamento in giudizio (Cass. 29 luglio 2011 n. 16780; Cass. 30 dicembre 2009 n. 27844; Cass. 10 novembre 2008 n. 26920; Cass. 9 marzo 2004 n. 4771).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1460 c.c., comma 2, per non avere la corte di merito considerato che il rifiuto del lavoratore di recarsi nella nuova sede assegnatagli era contrario alla buona fede, di cui alla norma citata, posto che il trasferimento non comportava alcun sacrificio per il dipendente, essendo la sua residenza egualmente distante rispetto alla sede di origine e quella di destinazione, ed essendo le mansioni quivi chiamato a svolgere non palesemente inferiori a quelle svolte in precedenza (pag. 23 ricorso).

Il motivo risulta in parte inammissibile e per il resto infondato.

E’ infatti consolidato principio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 26 luglio 2002 n. 11118) quello secondo cui la valutazione della gravità dell’inadempimento contrattuale è rimessa all’esame del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici e giuridici.

Nella specie il giudice di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato, ha evidenziato che il comportamento del R. non poteva ritenersi in contrasto col principio di buona fede di cui all’art. 1460 c.c., posto che, pur avendo ab origine contestato la legittimità del trasferimento ed il carattere deteriore delle nuove mansioni assegnategli, provvide a lavorare nella nuova sede per circa un mese, allorquando, per la ritenuta e poi giudizialmente accertata insussistenza delle ragioni poste a base del trasferimento e della lamentata de qualificazione professionale, si rifiutò di proseguire la sua opera presso lo stabilimento di (OMISSIS), mettendosi a disposizione della datrice di lavoro per lo svolgimento di mansioni professionalmente equivalenti alla qualifica posseduta (impiegato di quinto livello). Trattasi di accertamenti in fatto congrui e logicamente motivati, sicchè risultano incensurabili in questa sede.

3. Con il terzo motivo la società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 41 Cost. in relazione alla presunta illegittimità del disposto trasferimento. Lamenta la ricorrente che la corte di merito, anzichè limitarsi a verificare l’effettiva sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive dedotte dal datore di lavoro a fondamento del trasferimento, si era inammissibilmente sostituita all’imprenditore nel valutare l’opportunità delle decisioni organizzative assunte da quest’ultimo, contestando gli accertamenti fattuali operati dal giudice di merito. Lamenta infine che il trasferimento del lavoratore non richiede il carattere della inevitabilità, essendo sufficiente che esso concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo.

Anche tale motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.

Inammissibile laddove sottopone alla Corte un riesame delle circostanze di fatto, logicamente e congruamente motivate dal giudice di merito, anche per quanto concerne la sussistenza o meno delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (v. infra).

Infondato posto che la corte di merito non si è affatto sostituita all’imprenditore nel valutare l’opportunità della scelta aziendale, ma ha invece accertato che le motivazioni fornite dalla società a sostegno del trasferimento (art. 2103 c.c., comma 1, ultimo periodo), erano rimaste sfornite di prova e contraddette dalle risultanze istruttorie.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., per non avere il giudice di appello fatto buon governo del materiale probatorio raccolto. Lamenta che la corte territoriale valutò erroneamente la prima lettera di trasferimento, ove erano comunque indicate le mansioni assegnate al R. nella nuova sede, non potendo comunque escludere la legittimità del trasferimento sol perchè alcuni testi avevano indicato ragioni ulteriori rispetto a quelle contenute nel provvedimento, ovvero laddove il datore di lavoro abbia ritenuto di adottare, in seguito al rifiuto del dipendente di essere trasferito, una soluzione tecnica consistente nell’invio di un dipendente part time presso la sede da coprire, anzichè sostituire il lavoratore da trasferire con altro dipendente full time.

Anche tale motivo risulta inammissibile, sottoponendo all’esame della Corte apprezzamenti di fatto rimessi alla valutazione del giudice di merito.

Nella specie la corte d’appello ha congruamente e logicamente accertato, sulla base di un approfondito esame delle emergenze processuali, l’illegittimità del trasferimento de quo, evidenziando che nella prima lettera inviata al R. non erano chiarite le mansioni che egli avrebbe dovuto svolgere presso la nuova sede e che il trasferimento era motivato dall’opportunità di sollevare il responsabile dello stabilimento di (OMISSIS) dall’attività di organizzazione e gestione del magazzino materie prime; che con successiva lettera la società deduceva la necessità della creazione della figura di responsabile del magazzino, che sarebbe stata attribuita al R.; quindi introduceva l’esigenza organizzativa costituita dall’introduzione di "nuove tecnologie". Che tali circostanze non avevano trovato comunque adeguato riscontro probatorio, essendo per un verso emersa la volontà aziendale di alleggerire il lavoro del responsabile dello stabilimento di (OMISSIS), dall’altra che non vi fu alcun mutamento nell’amministrazione del magazzino dopo l’arrivo del R.. Che risultava dunque l’insussistenza della ragione organizzativa addotta, confermata dalla circostanza che dopo il licenziamento del R., l’azienda non provvide affatto a sostituire la sua figura professionale presso lo stabilimento di (OMISSIS), cosa che avvenne solo dopo oltre diciotto mesi e con dipendente assegnato al magazzino part time.

Trattasi di valutazioni congrue e logicamente motivate, sottratte al sindacato di legittimità. 5. Con il quinto ed il sesto motivo si denunzia la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto che l’onere di provare il rispetto dell’equivalenza delle mansioni (presso la sede di destinazione) incombesse alla datrice di lavoro e non al lavoratore. In ogni caso per aver ritenuto violato il principio dell’equivalenza professionale senza raffrontare le mansioni svolte dal R. precedentemente e successivamente al trasferimento. Lamentando in ogni caso un difetto di motivazione sul punto.

I motivi, che per la loro evidente connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Con riferimento alla prima censura è sufficiente rammentare che in tema di trasferimento individuale, condizionando l’art. 2103 c.c. la legittimità del trasferimento alla sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, spetta al datore di lavoro dimostrare queste ultime. Come notato più volte da questa Corte (cfr. da ultimo, Cass. 17 maggio 2010 n. 11984), "In tema di mutamento della sede di lavoro del lavoratore, sebbene il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba necessariamente contenere l’indicazione dei motivi, nè il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (conformi: Cass. 23 novembre 2010 n. 23675; Cass. 22 marzo 2005 n. 6117). Per il resto si osserva che la corte di merito, come in precedenza riferito, ha accertato, assorbentemente rispetto al controverso demansionamento, l’insussistenza delle ragioni organizzative e produttive poste dalla società a base del trasferimento, tale da costituire autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata, non adeguatamente censurata in questa sede.

6. Con il settimo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 2697 c.c., in relazione alla presunta assegnazione del R. a mansioni inferiori, ribadendo che la corte di merito non aveva adeguatamente esaminato le mansioni da questi presso la nuova sede, erroneamente valutando, peraltro, le risultanze istruttorie e testimoniali in particolare, di cui riportava taluni brani.

Il motivo risulta assorbito dalle considerazioni svolte al punto 5.

Occorre peraltro rammentare che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci un difetto di motivazione sulla valutazione di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito provvedendo alle loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).

7. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi relativamente alla valutazione, operata dalla corte di merito, circa il demansionamento del R. nella sede di destinazione.

Deduceva che in base c.c.n.l. di categoria le mansioni in questione erano perfettamente compatibili col livello 5 posseduto dal lavoratore.

8. Con il nono motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2103 c.c., sempre in ordine al presunto demansionamento che il lavoratore avrebbe subito accettando il trasferimento. Lamentava che l’imprenditore esercita legittimamente il suo ius variandi allorchè adibisce il lavoratore a mansioni operaie equivalenti, rispetto a precedenti mansioni impiegatizie, qualora, fermo restando il trattamento economico e normativo conseguito, non derivi alcun pregiudizio alla posizione professionale precedentemente acquisita, conseguendone che non potrebbe definirsi dequalificante l’assegnazione del compito di responsabile del magazzino con coordinamento di almeno un dipendente rispetto al compito di impiegato dell’ufficio commerciale senza coordinamento di alcun dipendente e con l’incarico di supportare a livello di segreteria un solo agente commerciale.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, risultano infondati. Osserva infatti la Corte che il giudice d’appello ha congruamente ritenuto che difettassero nella specie le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che l’art. 2103 c.c. esige a base del trasferimento, ciò costituendo autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata, qui non specificamente censurata.

9. Il ricorso deve in definitiva rigettarsi.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 60,00, Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2012

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