Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 13-10-2011, n. 36984

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 21.12.2010 il Tribunale di Termini Imerese in Cefalù condannava M.M. alla pena di Euro 9.000 d’ammenda per avere, quale legale rappresentante della società DepurAcque Sicilia gestore dell’impianto di depurazione dei reflui urbani del Comune di Pollina, illecitamente smaltito (in cooperazione colposa con C.G. responsabile dell’Area tecnica/assetto territoriale del Comune) un elevato quantitativo di fanghi prodotti dal predetto impianto di depurazione rifiuti (rifiuti non pericolosi) in assenza di autorizzazione.

In particolare, era stato accertato, mediante acquisizione di documenti e l’espletamento di una CT, che l’impresa, che aveva gestito l’impianto dal 12.12.2002 sino al 30.06.2006, aveva annotato nei registri una produzione complessiva di fanghi di sette me, suddivisa in tre periodi, mentre non aveva registrato nessuna operazione di scarico come previsto dal capitolato speciale che stabiliva a carico dell’appaltatore l’obbligo del carico e del trasporto a rifiuto, alla pubblica discarica, dei fanghi disidratati.

Il gestore della discarica, che aveva prodotto almeno 2800 kg/anno di fanghi, non li aveva avviati a smaltimento o a recupero, lasciandoli giacere nei letti d’essiccazione, donde l’applicabilità della disciplina dei rifiuti tali essendo i fanghi quando non siano stati trattati o quando siano trattati in modo inappropriato o fittizio, come nel caso in esame i cui i tempi di permanenza dei fanghi nell’impianto e il loro collocamento a strati erano incompatibili con un corretto processo di trattamento.

M. era, quindi, responsabile di avere svolto attività non autorizzata di stoccaggio di rifiuti non pericolosi.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge e vizio di motivazione sull’affermazione di responsabilità.

Asseriva che la quantità di fanghi prodotta era quella riportata nei registri di carico e non quella maggiore calcolata dal CT; che l’accumulo dei fanghi costituiva un deposito temporaneo disciplinato dal cit. Decreto, art. 183, lett. m); che i fanghi non costituiscono rifiuto fino a quando non si pervenga alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato dell’impianto di depurazione.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

All’odierna udienza compariva l’imputato non ricorrente, C. G., assistito dal difensore avv. Dario Grosso, il quale, rilevata la mancata citazione del suo assistito ex art. 587 c.p.p., chiedeva di essere ammesso alla discussione rinunciando a ogni eccezione in ordine all’omessa citazione.

La Corte, preso atto di ciò, ammetteva alla discussione la difesa del C. che concludeva come in epigrafe.

L’eccezione procedurale non è puntuale.

1. Hanno affermato le S.U. di questa Corte che, "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire a un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare le violazioni del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia pervenuto a trovarsi nella condizione concerta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione" (Cassazione S.U. n. 16,19.06.1996, Di Francesco, RV 205619).

Il suddetto principio può ritenersi violato solo in caso di assoluta incompatibilità di dati, quando cioè la sentenza riguardi un fatto del tutto nuovo rispetto all’ipotesi di accusa, mentre non ricorre violazione se i fatti siano omogenei ovvero in rapporto di specificazione.

Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza, anche con riferimento alla disposizione violata, (smaltimento senza autorizzazione di rifiuti costituiti da fanghi prodotti in un impianto di depurazione) sono contenuti gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza che ha legittimamente utilizzato i dati, acquisiti in contraddittorio nel dibattimento, di specificazione del fatto qualificato come stoccaggio di rifiuti non pericolosi rientrante nel concetto di smaltimento.

Tra lo smaltimento di rifiuti e lo stoccaggio degli stessi, come ritenuto in sentenza, vi è rapporto di continenza con la conseguenza che la contestazione del primo lascia ampio margine per la qualificazione giuridica del fatto, in sede di decisione, senza che venga compromesso il principio di correlazione, di cui all’art. 521 c.p.p., tra accusa e sentenza.

2. Il ricorso nel resto è manifestamente infondato perchè censura con argomentazioni giuridiche palesemente erronee e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell’imputato e confutata ogni obiezione difensiva.

Va premesso che "la disciplina in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti si applica anche ai fanghi di depurazione. Ne consegue che l’accumulo di una consistente quantità di detti fanghi nei letti di essiccamento del depuratore, qualora risulti risalente nel tempo, costituisce attività di "stoccaggio" degli stessi, ossia un’attività di smaltimento consistente in operazioni di deposito preliminare di rifiuti, nonchè di recupero degli stessi, consistente nella messa in riserva di materiali, non già un mero "deposito temporaneo", ossia un raggruppamento di rifiuti, prima della loro raccolta, nel luogo di produzione per il quale è necessario che le successive operazioni di raccolta, recupero o smaltimento avvengano non oltre il successivo trimestre, ovvero entro l’anno se il materiale raccolto non superi i venti metri cubi (Sezione in n. 36061/2004 RV. 229482; n. 163/2006 RV. 235415).

Secondo il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. l), nel concetto giuridico di stoccaggio rientrano tutte le operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D 15 dell’allegato B, nonchè quelle di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R 13 dell’allegato C, mentre per deposito temporaneo s’intende il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, a condizione che, trattandosi di rifiuti speciali non pericolosi, essi siano raccolti e avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero – in alternativa – annuale se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i venti metri cubi.

Nel caso in esame il tribunale ha accertato che la raccolta per strati dei fanghi di depurazione eseguito nei letti di essiccamento del depuratore si è protratto per circa 36 mesi, sicchè legittimamente è stata esclusa l’ipotesi del deposito temporaneo di essi ed è stata ravvisata quella dello stoccaggio, costituendo l’ammasso di essi una delle fasi del loro smaltimento.

Pertanto, in applicazione di tali principi, correttamente è stata ritenuta la responsabilità del legale rappresentante del gestore dell’impianto di depurazione con motivazione incensurabile in questa sede perchè adeguata e logica.

La manifesta infondatezza del ricorso, che preclude l’applicazione di eventuali sopravvenute cause d’estinzione del reato (Cassazione SU n. 32/2000, De Luca), comporta, per entrambi gli imputati, l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000, nonchè la rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun imputato al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende, nonchè, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in Euro 1.800, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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