Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-07-2011) 13-10-2011, n. 36982

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bari, con sentenza del 13/4/2010. ha dichiarato B.G. colpevole del reato di cui all’art. 137, D.Lgs. n. 152 del 2006, per avere, in qualità di legale rappresentante della Boccia s.r.l., esercente attività di pasticceria, aperto o comunque effettuato nuovo scarico di acque reflue industriali, prodotte dal ciclo di lavorazione nella rete dinamica cittadina attraverso tubazioni condominiali, in difetto della prescritta autorizzazione;

lo ha condannato alla pena di Euro 4,000.00 di ammenda.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, rilevando che nella specie la situazione di fatto, per come accertata dagli agenti operanti, è immutata da oltre venti anni: nè alcuna indagine è stata esperita sulla qualità del refluo, che, peraltro, può essere considerato, a tutti gli effetti, equiparabile per caratteristiche a quello domestico, come la maggior parte dei regolamenti regionali prevedono;

– errata valutazione delle emergenze istruttorie, in particolare della deposizione resa dal teste S.S., apparso estremamente impreciso al momento della effettuazione dei rilievi in loco, non possedendo le necessarie competenze tecniche utili a valutare serenamente e obiettivamente la situazione esistente.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La sentenza si rivela motivata logicamente e correttamente.

Le doglianze avanzate con la impugnazione non hanno alcuna incidenza sul decisum, rilevato che, dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la sentenza resa dal Tribunale di Bari, emerge, con netta evidenza, che il decidente è pervenuto alla affermazione di colpevolezza del prevenuto in ordine al reato ad esso ascritto, a seguito di una corretta e compiuta lettura delle emergenze istruttorie e alla esatta applicazione delle disposizioni normative in materia.

In detta pronuncia viene evidenziato che dai locali in uso alla Boccia s.r.l., avente ad oggetto l’esercizio di attività di pasticceria, bar e ristorazione, fuoriuscivano scarichi di acque reflue, prodotte durante il ciclo produttivo ed immesse direttamente, in difetto di autorizzazione, nella rete fognaria cittadina, e che, peraltro, la detta società non disponeva di un autonomo impianto idrico-fognante, nè, tanto meno, di un autonomo allacciamento alla fognatura nera urbana, servendosi per il servizio degli impianti del Condominio di (OMISSIS).

Si osserva che la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra la tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale: nel caso in cui lo scarico abusivo abbia ad oggetto acque reflue domestiche. ovvero di reti fognarie, potrà configurarsi l’illecito amministrativo, ex D.Lgs. n. 156 del 2006, art. 133, comma 2; mentre si avrà la concretizzazione del reato di cui all’art. 137, comma 1. citato decreto, quando lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall’art. 74, lett. h). come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti.

Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone; conseguentemente sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche.

Di poi, si evidenzia che la condotta incriminata, di cui all’art. 137, comma 1, può consistere nella apertura di uno scarico nuovo, in difetto di autorizzazione, ovvero nel continuare ad effettuare o a mantenere uno scarico preesistente dopo la sospensione o la revoca del l’autorizzazione medesima, ove per "apertura" deve intendersi la attivazione fisica dello scarico, non potendosi ritenere punibile la mera costruzione di un impianto di scarico mai attivato; mentre la distinta previsione della condotta di "effettuazione" dello scarico rimanda alla nozione di "scarico esistente" di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74. lett. hh), cioè quello già in esercizio ed autorizzato al 13/5/99. data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999; con la conseguenza che va considerato nuovo lo scarico fisicamente esistente alla predetta data, ma privo di autorizzazione, in quanto l’autore dello sversamento che continui ad adoperare il medesimo impianto, temporalmente prima e dopo la predetta data, effettua una immissione non autorizzata, giuridicamente nuova e penalmente sanzionarle.

Quanto osservato permette di ravvisare la manifesta infondatezza delle contestazioni sollevate in ricorso sia in ordine alla qualità di refluo immesso nella tubazione di pertinenza condominiale, nonchè sulla assenza della autorizzazione allo scarico, come del pari la inconferenza al richiamo delle disposizioni contenute nel Regolamento della Regione Lombardia, il cui ambito applicativo è limitato al relativo territorio regionale.

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000. n. 186. della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il B. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equiatativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000.00.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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