Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-03-2012, n. 4696 Assegno di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La sentenza attualmente impugnata – in riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro a 112/2004 del 17 luglio 2004 – fra l’altro:

1) accerta e dichiara il diritto di M.A. a percepire l’assegno di invalidità civile; 2) condanna l’INPS all’erogazione della suddetta provvidenza a decorrere dal 1 luglio 2000 e fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età dell’interessata, con la maggiorazione di legge sui ratei scaduti.

La Corte d’appello di Catanzaro, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il Tribunale di Catanzaro è pervenuto al rigetto della domanda della M. sul rilievo secondo cui l’indagine medico-legale ha portato a ritenere sussistente lo stato di totale e permanente invalidità a decorrere da un momento successivo al compimento, da parte dell’interessata, del sessantacinquesimo anno di età;

b) la M. ha proposto appello avverso la suddetta sentenza, contestando le risultanze della CTU e chiedendo riconoscersi la sussistenza dello stato di invalidità dalla data di presentazione della domanda amministrativa o, comunque, dalla data della visita amministrativa (15 dicembre 2000);

c) l’INPS, il Ministero dell’Interno e il Ministero della Economia e delle Finanze sostengono che l’appello sia infondato;

d) l’indagine medico-legale effettuata in grado di appello ha consentito di accertare che la M. da luglio 2000 deve considerarsi in stato di invalidità civile, con riduzione della capacità lavorativa nella misura dell’85%;

e) il suddetto accertamento è da condividere integralmente, sicchè deve riconoscersi alla M. il diritto all’assegno mensile di invalidità civile (la cui domanda deve ritenersi compresa in quella più ampia diretta al conseguimento della pensione di inabilità) nel periodo compreso dal 1 luglio 2000 alla data del compimento del sessantacinquesimo anno di età (25 marzo 2003).

2.- Il ricorso dell’INPS domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; M.A. si è limitata ad apporre delega in calce al ricorso notificato (sulla cui base il difensore delegato ha partecipato alla discussione orale) e a depositare memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Il Ministero dell’Interno e il Ministero dell’Economia e della Finanze sono rimasti intimati.

Motivi della decisione

1 – Profili preliminari 1.- Preliminarmente deve essere precisato che non si può tenere conto della memoria depositata, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., da M.A., che non ha ritualmente depositato controricorso.

Infatti, com’è noto, le memorie di cui all’art. 378 cod. proc. civ., sono destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare le tesi avversarie senza determinare ampliamenti del thema decidendum, sicchè il loro valido ed efficace deposito presuppone la avvenuta rituale costituzione in giudizio, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica (arg. ex Cass. SU 15 maggio 2006, n. 11097; Cass. 28 agosto 2007, n. 18195).

Per tale ragione, l’art. 370 cod. proc. civ., comma 1 stabilisce che la parte contro cui è diretto il ricorso, la quale non abbia depositato il controricorso ma solo la procura al difensore, non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale (Cass. 30 settembre 2011, n. 20029; Cass. SU 11 aprile 1981, a 2114).

2 – Sintesi dei motivi di ricorso.

2- Con il primo motivo di ricorso – illustrato da quesito di diritto – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè della L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13.

Si sostiene che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione – che l’Istituto aveva già formulato in primo grado – di carenza del requisito reddituale richiesto dalla legge per la concessioni delle prestazioni di invalidità civile.

3.- Con il secondo motivo di ricorso – illustrato da quesito di diritto – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13 e dell’art. 2697 cod. civ..

Si assume che il diritto della M. ad ottenere l’assegno di invalidità civile è stato affermato soltanto sulla base della ritenuta sussistenza del requisito sanitario, senza accertare la sussistenza anche del requisito reddituale, di cui l’interessata non ha fornito la prova, come le competeva.

4- Con il terzo motivo di ricorso – illustrato con la formulazione di un momento di sintesi – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè della L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13.

Si rileva che in base alla giurisprudenza di legittimità i requisiti socio-economici non sono mere condizioni di erogabilità, ma elementi costitutivi del diritto alle prestazioni di invalidità civile, la cui mancanza può essere rilevata anche in sede di cassazione.

Ne consegue che la Corte d’appello, non avendo accertato la sussistenza del requisito reddituale, ha omesso di esaminare un punto decisivo della controversia.

3 – Esame delle censure 3- I motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono fondati.

Tutte le censure – sia pure con argomentazioni parzialmente diverse – muovono dalla premessa che la Corte d’appello abbia affermato la sussistenza del diritto dell’interessata all’assegno mensile di invalidità civile sulla base del solo requisito sanitario e, quindi, senza accertare la sussistenza del requisito reddituale e omettendo di pronunciarsi sulla relativa eccezione proposta dall’INPS. 3.1.- In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) nei giudizi volti al riconoscimento del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, il requisito reddituale, al pari dei requisiti sanitari e di quello socio-economico, cosiddetto della incollocazione al lavoro, costituisce elemento costitutivo del diritto, la cui sussistenza va verificata anche d’ufficio ed è preclusa solo dalla relativa non contestazione, ove la situazione reddituale sia stata specificamente dedotta, nonchè dal giudicato, nel caso in cui non sia stato proposto sul punto specifico motivo di appello (vedi, per tutte: Cass. 17 giugno 2008, n. 16395; Cass. 1 marzo 2011, n. 4995);

b) infatti, il principio di non contestazione si applica in relazione alla prova dei fatti costitutivi anche indisponibili, quali sono quelli relativi a prestazioni assistenziali o previdenziali (Cass. 30 giugno 2009, n. 15326);

c) d’altra parte, la rilevabilità d’ufficio – o la deducibilità ad opera delle parti – dell’inosservanza di un elemento costitutivo o di un requisito di fondatezza della domanda è esclusa allorchè la sussistenza di tale elemento o requisito sia configurabile, alla stregua delle istanze e delle deduzioni delle parti, come fatto pacifico e incontroverso e perciò estraneo al thema decidendum (Cass. 6 maggio 1995, n. 493; Cass. 13 novembre 1999, n. 12607; Cass. 3 marzo 2001, n. 3093);

d) inoltre, anche nel rito del lavoro l’appello non ha effetto pienamente devolutivo, e pertanto, ai sensi degli artt. 434, 342 e 346 cod. proc. civ., il giudice del gravame può conoscere della controversia dibattuta in primo grado solo attraverso l’esame delle specifiche censure mosse dall’appellante, e non può estendere l’indagine su punti della sentenza di primo grado che non siano stati investiti, neanche implicitamente, da alcuna censura; ne consegue che deve ritenersi formato il giudicato interno – rilevabile anche d’ufficio – in ordine alle circostanze poste dal giudice di primo grado e dal giudice d’appello alla base delle rispettive decisioni in ordine alle quali non siano stati formulati specifici motivi d’appello (Cass. 29 settembre 2003, n. 14507; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 1 luglio 2003, n. 1033; Cass. 2 gennaio 2001, n. 6;

Cass. 9 gennaio 2002, n. 191);

e) ciò vale anche per le questioni rilevabili d’ufficio, sulle quali si sia formato il giudicato interno in conseguenza della pronunzia esplicita o implicita assunta su di essa nel precedente grado di giudizio (Cass. 11 novembre 2003, n. 16904; Cass. 26 giugno 2006, n. 14755);

f) infine, è jus receptum che, anche nel giudizio di cassazione, è rilevabile d’ufficio l’esistenza del giudicato interno, così come quella del giudicato esterno (vedi, per tutte: Cass. SU 16 giugno 2006, n. 13916; Cass. SU 28 novembre 2007, n. 28664).

3.2.- A ciò è da aggiungere che è jus receptum che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405; Cass. 16 ottobre 2007, n. 21621; Cass. 14 gennaio 2010, n. 488; Cass. 10 novembre 2011, n. 23420).

Conseguentemente la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda, ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare quale sia il "chiesto" al giudice del gravame sul quale questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio all’atto di appello, atteso che la Corte di cassazione non è tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso (Cass. 11 gennaio 2002, n. 317; Cass. 23 febbraio 2004, n. 3547; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26234).

In particolare, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività. (Cass. SU 28 luglio 2005, n. 15781;

Cass. 27 gennaio 2006, a 1732).

In sintesi, pur configurando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass. 17 gennaio 2007, n. 178; Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730;

Cass. 1 giugno 2006, n. 13046).

3,3.- Nella specie l’Istituto ricorrente – in violazione anche del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – non ha allegato al proprio ricorso gli elementi e gli atti processuali sulla cui base si sarebbe formato l’invocato giudicato interno, limitandosi, sostanzialmente, ad affermare in modo apodittico – e senza alcun riscontro documentale – di avere eccepito in primo grado, nella qualità di convenuto, la assenza del requisito reddituale (oltre che di quello sanitario), aggiungendo che tale eccezione non sarebbe mai stata contrastata nel corso del giudizio.

Ne deriva, alla luce dei suesposti principi, il rigetto del ricorso.

4 – Conclusioni.

4.- In sintesi, il ricorso deve essere rigettato.

Conseguentemente l’INPS va condannato al pagamento, in favore di M.A., delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo, determinata tenendo conto solo della discussione in udienza (oltre che dello studio della controversia e dell’esame dei documenti), non essendo stato depositato controricorso.

Nulla si dispone per le spese in favore del Ministero dell’Interno e del Ministero dell’Economia e della Finanze, che non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione in favore M. A., liquidate in Euro 20,00 per esborsi, Euro 1500,00 (millecinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali. Nulla per le spese in favore del Ministero dell’Interno e del Ministero dell’Economia e della Finanze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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