Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36979

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.D. è stato assolto dal tribunale di Firenze dal reato di cui agli artt. 110 e 674 c.p. per avere versato nel piazzale interno della società SEIMAC, di cui era legale rappresentante, un ingente quantitativo di gasolio fuoriuscito dal serbatoio di un veicolo, omettendo di predisporre idonee misure per la raccolta di contenimento di liquido e anzi facendolo defluire attraverso un pozzetto di raccolta delle acque meteoriche, così imbrattando per un tratto di alcune centinaia di metri le acque del fiume (OMISSIS).

Veniva invece ritenuto responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 e art. 81 cpv. c.p. per avere nella qualità di cui sopra depositato e/o fatto depositare in modo incontrollato rifiuti speciali pericolosi e non, fra cui vernici, in un’area privata d’uso pubblico ma in disponibilità della predetta società in quanto ubicata all’altezza del cancello d’ingresso posteriore.

Veniva altresì ritenuto responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137 per aver effettuato senza autorizzazione uno scarico di reflui contenenti sostanze pericolose costituiti dalle acque di pulizia del piazzale in cui confluivano anche i reflui derivanti dallo sversamento del gasolio.

La corte di appello confermava la sentenza provvedendo alla sostituzione della pena detentiva.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato il quale in questa sede deduce:

1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 256 c.p.p., comma 2 e art. 183 c.p.p., lett. m), e bb); mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione avendo escluso il giudicante che il materiale accumulato nel piazzale potesse dar luogo ad una discarica ed illogicamente sostenuto al contempo trattarsi di un deposito provvisorio del tutto incontrollato. Si obietta che dagli atti e anche dalle fotografie emerge che rifiuti erano tutti raccolti in vasche etichettate e che in ciascuna di esse erano raccolti rifiuti della stessa tipologia;

che, quindi, la raccolta avveniva in maniera assolutamente omogenea ed in più non risultava essere stata mai effettuata alcuna misurazione per controllare il superamento del limite dei 30 metri (o dei 10 metri ove i rifiuti fossero stati ritenuti pericolosi).

2) Quanto al secondo reato si rileva la contraddittorietà della motivazione rispetto alla assoluzione per il reato di cui all’art. 674 c.p., essendosi esclusa la responsabilità per il primo reato sulla base dell’accidentalità e della occasionalìtà della condotta, mancando inoltre la prova che altre e diverse sostanze pericolose fossero convogliate nel pozzetto usualmente adibito invece allo scarico di acque meteoriche e di dilavamento.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato ed articolato su censure di merito.

Per quanto concerne il primo motivo va premesso che questa Sezione ha già affermato che l’abbandono di rifiuti "alla rinfusa" e non per categorie omogenee, come invece previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. m) (e, in precedenza, dall’abrogato D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, comma 1, lett. m), esclude la configurabilità del cosiddetto deposito temporaneo o regolare Sez. 3, n. 11258 del 11/02/2010 Rv. 246459.

Correttamente, quindi, la corte di merito, con valutazione di merito – insindacabile in questa sede – si attesta sulla ipotesi di reato dell’abbandono incontrollato dei rifiuti. Ciò che va ribadito, infatti, è che in presenza dell’abbandono alla rinfusa dei rifiuti, e non per categorie omogenee, come prescritto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. m), attualmente dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. m) non è comunque configurabile l’ipotesi di deposito temporaneo quali che siano i limiti dell’accumulo.

La contestazione relativa alle modalità di raccolta è inammissibile in questa sede avendo i giudici di appello, con motivazione certamente congrua e pertinente, evidenziato come dall’ampia documentazione fotografica contenuta in tre distinti fascicoli del Corpo Forestale dello Stato -acquisita agli atti – si appalesa evidente l’inosservanza della prescrizione relativa al deposito di rifiuti per categorie omogenee e dei criteri di stoccaggio rispettosi dell’esigenza di salvaguardia ambientale, dandosi atto di rifiuti costituiti anche da bidoni, barattoli di metallo ed in plastica contenenti residui di vernici e di oli industriali direttamente depositati sul suolo o su supporti manifestamente precari e inadeguati.

Anche il secondo motivo finisce per sostanziarsi in censure di merito. Al riguardo si rileva in premessa che la sentenza correttamente evidenzia come il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74, lett. h), del definisce quali acque reflue industriali qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici e installazioni in cui si svolge attività commerciale o di produzione di beni differenti dalle acque domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento intendendosi per tali anche in quelle venute in contatto con sostanze e materiali inquinanti non connessi tuttavia con le attività esercitate nello stabilimento. Per contro si evidenzia come le acque che defluivano nello scarico in questione dovevano ritenersi invece meteoriche di dilavamento ma venute in contatto con sostanze inquinanti connesse con le attività esercitate nello stabilimento.

Correttamente dunque si ritiene necessaria l’autorizzazione allo scarico, nè appare ravvisabile alcuna contraddizione con l’assoluzione dal reato di cui all’art. 674 c.p. in quanto se è vero che nello stesso tombino è confluito anche il gasolio solo in quanto accidentalmente sversato, è altresì vero che lo scarico stesso era comunque usualmente adibito – secondo i giudici di merito – alla raccolta delle acque meteoriche di dilavamento venute in contatto con sostanze inquinanti connessi alle attività esercitate nello stabilimento.

Nè, si ribadisce, vi può essere spazio in questa sede per valutazioni di merito. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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