Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36976

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Brescia ha confermato quella emessa dal GUP presso il tribunale della medesima città in data 22 maggio 2009 con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., artt. 609 bis e 609 ter c.p., per avere costretto in più occasioni la nipote minore degli anni 10 a subire atti sessuali, spogliandola, toccandole la vagina e penetrandola con le dita della mano nonchè leccandole la zona genitale.

Deduce in questa sede il ricorrente:

1) erronea applicazione della legge penale e mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione non avendo adeguatamente il giudice di appello affrontato i motivi di gravame incentrati sulla non credibilità della minore;

2) violazione di legge per mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato e basato su censure di merito.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente muove sostanzialmente tre tipi di considerazioni:

a) la prima è che la bambina aveva in realtà coinvolto anche la nonna nel racconto, seppure in termini di connivenza, ma che sul punto non era stata ritenuta evidentemente credibile essendosi proceduto solo nei confronti del marito. E’ viziato dunque da illogicità e contraddittorietà il giudizio di attendibilità e credibilità del narrato della minore;

b) si appalesa semplicistica la giustificazione fornita dalla corte di merito con la quale si affronta la questione relativa al fatto che la psicologa, dopo un attento esame della minore, non aveva in realtà riscontrato disagi da parte della minore stessa;

c) la descrizione della personalità e dei comportamenti della minore fatta dai dei genitori che hanno parlato della figlia come una bambina tranquilla, non turbata, solo qualche volta un po’ inquieta, urta con quella delle maestre che hanno parlato di una bambina molto scomposta, egocentrica e scarsamente considerata dai compagni.

Ciò posto occorre tuttavia premettere un dato importante e, cioè, che la corte di merito ha in realtà valorizzato due elementi in premessa evidenziando per un verso che non sono emersi motivi di astio o di rancore da parte della nipote di confronti del nonno e che, quindi, non vi è alcuna prova di un interesse calunniatorio nei confronti di quest’ultimo; per altro verso che i genitori della minore hanno in realtà confermato, seppure de relato, le dichiarazioni della minore riferendo di una confessione resa dall’imputato all’interno del nucleo familiare di fronte alla denuncia della nipote. E in questo contesto, pertanto, che correttamente la corte di merito affronta la questione della credibilità della minore.

Nè, per quanto concerne il secondo aspetto rileva la natura de relato delle dichiarazioni in assenza di elementi di dubbio sulla veridicità delle stesse. Quanto alla circostanza del mancato coinvolgimento della nonna, i giudici di appello ancora una volta correttamente e logicamente sottolineano come dagli atti emerga il disagio provato dalla nonna una volta posta a conoscenza dell’accaduto e si sottolinea anche come la stessa era comunque nell’impossibilità di potersi allontanare dal nucleo familiare; il che sostanzialmente spiega da un lato la sensazione della minore di connivenza e dall’altro le ragioni del mancato coinvolgimento nel processo della nonna.

E, dunque, conclusivamente, il mancato coinvolgimento della nonna non depone in alcun modo per la non credibilità della minore.

Le rimanenti considerazioni non rivestano all’evidenza carattere di decisività e sostanzialmente confermano come in realtà la finalità del ricorso e quella di ottenere una diversa e per l’imputato più favorevole valutazione degli elementi di prova il che, com’è noto, non è possibile in sede di legittimità.

Anche sul secondo motivo le censure sono di merito contestando l’imputato che la corte territoriale non avrebbe in alcun modo tenuto conto del risarcimento, seppure parziale, offerto dal P. e della sua modestissima condizione economica. Si rileva, infatti, al riguardo che la corte di merito ha adeguatamente e logicamente ritenuto di dover valorizzare piuttosto la gravità del fatto e tale scelta non è sindacabile evidentemente in questa sede.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1800 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1800 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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