Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36974

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.V. è stato condannato in primo grado dal tribunale di Taranto per il reato di cui agli artt. 81 e 609 quater c.p., art. 609 septies c.p., comma 4, n. 1 e 2 per aver compiuto in esecuzione del medesimo disegno criminoso, atti sessuali con il figlio all’epoca dei fatti minore degli anni (OMISSIS) anni, in epoca antecedente al (OMISSIS) (data della denuncia), collocabile in arco temporale fra il (OMISSIS). Nei confronti dell’imputato veniva applicata la pena indicata dall’art. 521 c.p.. La corte di appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe, ritenuto consumato il secondo episodio durante la vigenza della L. n. 66 del 1996, elevava, accogliendo l’impugnazione del PM, la pena nei confronti dell’imputato ad anni tre e mesi sei di reclusione, confermando nel resto d’impugnata sentenza e condannando l’imputato al pagamento delle spese in favore dello Stato ed alla rifusione di quelle sostenute nel grado di giudizio dalla costituita parte civile. L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) la violazione degli artt. 192, 194 e 196 c.p.p. con riferimento alla valutazione della prova testimoniale della persona offesa e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sull’attendibilità della testimonianza resa da quest’ultima;

2) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulle ragioni della denuncia del minore e sull’assenza di motivi di astio da parte di quest’ultimo nei confronti del padre;

3) la violazione degli artt. 42 e 43 c.p., apparendo inverosimile la descrizione dell’episodio in cui il padre avrebbe posto il pene tra le gambe del figlio e dimostrando invece i fatti l’assenza dell’elemento psicologico nel comportamento del reato trattandosi di innocenti abbracci caratterizzanti un intenso rapporto affettivo tra padre e figlio nell’ambito dei quali il denunciato tocco del pene non era certamente voluto e, ancor meno, indicativo di intenti sessuali;

4) violazione dell’art. 609 quater c.p., comma 4, art. 609 bis c.p., comma 3 ed omessa motivazione sul punto trattandosi di episodio assolutamente non grave;

5) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2 e art. 157 c.p., come modificato dalla L. n. 251 del 2005 e per violazione dell’art. 117 Cost., con riferimento agli artt. 6 e 7 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo dovendo in ogni caso trovare applicazione il principio della retroattività della legge penale meno severa e conseguentemente le disposizioni contenute nella L. Cirielli in quanto più favorevoli all’imputato. Pertanto il reato, già prescritto ove si riconoscesse l’ipotesi attenuata al momento del giudizio di appello, sarebbe comunque prescritto tra l'(OMISSIS) maturandosi la prescrizione nel termine massimo di anni 12 e mesi sei trattandosi di reato punibile con la pena massima di 10 anni;

6) in subordine si prospetta l’eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10 per violazione dell’art. 117 Cost. con riferimento all’art. 7 della convenzione di Roma dei diritti dell’uomo richiamando le motivazioni dell’ordinanza n. 22357/2010 di questa Corte.

In udienza la parte civile insisteva per l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Le censure dedotte con i primi tre motivi di ricorso si risolvono in rilievi di merito tendenti a valorizzare la diversa lettura dei fatti proposta dal ricorrente. Al riguardo occorre ribadire in premessa che, come costantemente affermato da questa Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 Rv. 207944).

I motivi indicati, pur condividendo in premessa tale impostazione, finiscono nella realtà per discostarsene.

Ed, infatti, con il primo motivo si sostiene in particolare che la genesi delle accuse da parte del minore non risulta adeguatamente approfondita nel giudizio di merito non essendosi tenuto conto del risentimento provato da quest’ultimo nei confronti del padre per essersi lo stesso fidanzato con altra donna; della immaturità del minore il quale aveva già tentato in una occasione approcci sessuali con la madre – come riferito da quest’ultima – ed aveva affermato di avere subito abusi mentre si trovava in colonia; nè dell’interesse della madre ad attribuire al padre attenzioni di particolari nei confronti del figlio.

Si tratta tuttavia di obiezioni alle quali la corte ha già risposto sottolineando, tra l’altro, oltre alla linearità del racconto, come la genesi della denuncia fosse da ricercare nell’atteggiamento del minore in classe e, soprattutto nell’episodio che aveva avuto come protagonista involontaria la madre – comprensibilmente allarmata dal contesto descritto e che solo su sollecitazione dello psicologo il bambino aveva riferito specificamente le modalità degli abusi subiti in una occasione; che la separazione consensuale tra i coniugi non consentiva di ipotizzare alcun intento calunnioso nella donna e che non vi è nemmeno prova certa di precedenti abusi subiti in colonia dal minore.

Con il secondo motivo si insiste sulla sottovalutazione in sede di giudizio del risentimento del minore nei confronti del padre;

sull’assenza di riscontri alla versione dei fatti fornita e sulla lacunosità delle risposte nel corso dell’esame testimoniale;

censurandosi l’affermazione in motivazione relativa alla coerenza, costanza e non contraddittorietà del minore.

Ma sul punto, oltre a quanto già detto in precedenza, si deve rilevare come la sentenza di appello si conformi a quella di primo grado che già aveva affrontato la questione e, soprattutto, che la valutazione sull’attendibilità tiene conto non solo delle dichiarazioni del minore, logicamente giustificando la riluttanza nel parlare di quanto accaduto con la difficile situazione psicologica e con il senso di vergogna, ma anche dell’intero contesto di riferimento, riferito anche al tribunale dei Minori. Con il terzo si propone una vera e propria ricostruzione alternativa dei fatti ipotizzandosi che il minore abbia sostanzialmente frainteso espressioni di un rapporto affettivo del padre, peraltro senza peraltro considerare l’inequivoco "tenore" di alcuni atti descritti dal minore stesso.

Appartengono al merito anche i rilievi sulla sussistenza della diminuente della minore gravità oggetto del quarto motivo di ricorso fondati sulla tipologia dell’atto contestato e peraltro va considerato in ogni caso che la diminuente in questione deve aver riguardo oltre che alla compromissione della libertà sessuale della vittima, anche di quella relativa allo sviluppo del minore, profondamente condizionato stando al complesso dell’apparato motivazionale della sentenza, dalla vicenda. Quanto ai due restanti motivi di ricorso alla luce di quanto detto rimane da affrontare solo la questione relativa alla asserita illegittimità costituzionale L. n. 251 del 2005 nella parte in cui non estende con l’art. 10 anche ai procedimenti pendenti in appello ed in cassazione la applicazione delle nuove disposizioni in tema di prescrizione. Si rileva al riguardo che se è vero che nel senso della non manifesta infondatezza della questione si era espressa la Seconda Sezione della Corte con l’ordinanza n. 22357 del 27/05/2010 – Rv. 247321 -, in altre occasioni la Corte ha, invece, ritenuto manifestamente infondata la questione.

In questo senso si è, ad esempio, espressa la Sezione Sesta con la sentenza n. 12400 del 01/12/2010 – Rv. 249165 – le cui motivazioni, in quanto condivise, integralmente si richiamano in questa sede, che, nel ritenere manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, nella parte in cui esclude l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, ai processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione, ha confutato le argomentazioni alla base del diverso orientamento. In particolare ha sottolineato come la prescrizione sia mirata a soddisfare l’efficienza del processo e la salvaguardia dei diritti dei soggetti destinatari della funzione giurisdizionale e come sia quindi ammissibile la deroga al regime della retroattività delle norme che riducono i termini di prescrizione del reato se essa è coerente con la funzione assegnata dall’ordinamento all’istituto della prescrizione. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1800 oltre agli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale; dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1800 oltre agli accessori di legge.

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