Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36972 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 25.11.2010 confermava la sentenza del Tribunale di Palermo del 25.1.2010, con fa quatte, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della diminuente di cui all’art. 89 c.p., con criterio di prevalenza sulle aggravanti contestate, condannava L.I.E. alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione per il reato di cui all’art. 61 c.p., n. 5, 11, art. 81 cpv. c.p., art. 609 octies c.p., commi 1 e 3, in relazione all’art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1, art. 609 septies c.p., comma 4, n. 1 e 2 per avere, in concorso con S.S. e C.M. (giudicati separatamente), in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, partecipato a reiterati atti di violenza sessuale in pregiudizio di C.C. – minore di anni (OMISSIS) all’inizio della perpetrazione delle condotte criminose- materialmente posti in essere dal S. alla simultanea presenza nel tempo e nel luogo di consumazione dell’illecito della L.I. e del C.; con condanna, altresì, dell’imputata al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Ricordava la Corte territoriale che, secondo l’impostazione accusatoria, la L.I., madre della minore, aveva permesso a S.S., padrino della medesima, di consumare con lei atti sessuali.

La piccola C. era stata affidata fin dall’età di tre anni agli zii C. – D. i quali avevano riferito di aver notato che la minore veniva accompagnata dai genitori presso l’abitazione del S.. La bambina, a sua volta, riferiva che i genitori la facevano appartare con il S., il quale la baciava e palpeggiava, dandole poi dei doni.

Tanto premesso, rilevava la Corte la piena attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, che aveva confidato, ben prima dell’inizio del procedimento penale, le "attenzioni" ricevute a vari soggetti; il che escludeva la tesi di accuse costruite o motivate dal conflitto tra i genitori e gli zii affidatari.

Quanto all’elemento psicologico del reato, dalle dichiarazioni della minore emergeva la piena consapevolezza da parte della L.I. della natura degli incontri tra la figlia dodicenne ed il cinquantenne S.. A conferma di tale piena consapevolezza deponevano non solo il luogo degli incontri, già di per sè sospetto, ma soprattutto il fatto che la donna era stata più volte sollecitata ad intervenire ma senza esito. Tali circostanze venivano confermate dai testi che avevano ricevuto le confidenze della C.C..

2) Ricorre per cassazione L.I.E., a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge in relazione all’art. 609 octies c.p., artt. 125 e 194 e ss., art. 546 c.p.p. e la mancanza di motivazione quanto alla coscienza e volontà del fatto da parte della ricorrente ed alla attendibilità della parte offesa.

Con l’atto di appello non sì contestavano le attenzioni sessuali del S. sulla minore, nè il gli incontri con il medesimo, ma l’assoluta carenza di dolo da parte dell’imputata. Sulle censure, contenute nell’impugnazione in proposito, la Corte territoriale non si è minimamente soffermata. La Corte di merito non ha tenuto conto che gli incontri avvenivano sempre in luoghi pubblici, che era sempre presente la sorellina della parte offesa, che la ricorrente è affetta da deficit cognitivo e visivo. Essa non aveva quindi motivo di insospettirsi, nè tanto meno di percepire gli atti lascivi posti in essere dal S., per cui non si comprende in base a quale ragionamento si sia ritenuto che la L.I. fosse a conoscenza degli atti sessuali posti in essere sulla minore, la quale, peraltro, nel corso dell’incidente probatorio, aveva affermato di non essere sicura che la madre avesse visto quegli atti. Di fatto la decisione ha trasformato una responsabilità concorsuale commissiva in un reato omissivo improprio, essendo stato ricavato il dolo dall’assenza di interventi volti ad impedire gli incontri.

Quanto atta attendibitità detta minore non sì era mai sostenuto che essa fosse stata suggestionata dai genitori affidatari, ma solo che avesse avvertito il clima di astio e rancore tra le due famiglie. La Corte non ha affrontato il problema e si è limitata a rilevare che le discrasie della narrazione non incidevano sulla credibilità del racconto. 3) Il ricorso è manifestamente infondato in quanto ripropone censure in fatto già disattese, correttamente, dalla Corte territoriale.

3.1) Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto, invero, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.

Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

3.1.1) La Corte territoriale ha, attraverso l’esame attento delle risultanze processuali, ritenuto la piena attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, C.C., che avevano trovato peraltro conferma in numerosi elementi esterni. Ha, in primo luogo, sottolineato che già prima che iniziasse il procedimento penale, e quindi in tempi non sospetti la predetta aveva confidato le "attenzioni" ricevute dal S. a numerosi soggetti. La stessa genesi delle accuse smentiva, quindi, clamorosamente la tesi difensiva che esse potessero trovare spiegazione nel conflitto familiare tra i genitori e gli zii affidatari. Era da escludere, pertanto, sia che le accuse fossero state "pilotate" sia che la ragazzina fosse stata in qualche modo influenzata o avesse avvertito il clima di astio tra i due nuclei familiari (essendo insostenibile, ovviamente, che quel clima potesse indurre la ragazzina a confidare riservatamente a terzi le sue esperienze piuttosto che denunciare apertamente i fatti).

La Corte territoriale si è fatta carico anche di esaminare le segnalate contraddizioni ed imprecisioni, evidenziando che tali discrasie riguardavano aspetti marginali della vicenda (frutto della possibile sovrapposizione dei ricordi) e che non incidevano, quindi minimamente sul nucleo fondamentale delle accuse.

Sotto il profilo delle conferme ab externo ha ricordato la Corte territoriale che le dichiarazioni della minore risultavano riscontrate dalle testimonianze di D.M., N.M. e Da.Ma., che avevano appreso non solo delle attenzioni del S. ma anche del "comportamento attivo" dei genitori della parte offesa. 3.1.2) Altrettanto infondate sono le doglianze in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

E’ pacifico che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass.sez. 1, n.8868 del 26.6,2000-Sangiorgi).

Il Tribunale aveva ampiamente motivato sul punto, evidenziando come dagli atti processuali emergesse la condotta, pienamente consapevole, posta in essere dall’imputata per permettere al S. di rivolgere le sue attenzioni sessuali nei confronti di C. ("…prima consentendogli di andare in pizzeria con la bambina, poi portando quest’ultima a casa sua, infine, quando gli zii resero impossibili altre modalità di incontro, venendo con lui sotto casa degli affidatari, dalla quale faceva scendere la figlia per lasciarla sola con il padrino, che poteva così godere dei suoi 15/20 minuti di svago, ed ancora sollecitando la figlia a chiamare al telefono o a rispondere alle chiamate del padrino.."pag.20 sent.Trib.).

Il Tribunale, inoltre, aveva argomentato anche in ordine alla piena compatibilità dell’elemento soggettivo del reato con il vizio parziale di mente (pag.16 e ss.) ed alla irrilevanza del deficit visivo (pag. 20).

La Corte territoriale, in presenza di tale esaustiva motivazione e di motivi di appello che riproponevano questioni già esaminate e disattese dal giudice di primo grado, avrebbe potuto anche rinviare per relationem alla sentenza di primo grado. Ha, invece, ulteriormente sottolineato che la L.I. era assolutamente consapevole della natura degli incontri della figlia con il S., sia per le modalità "anomale" di tali incontri, sia perchè essa era stata informata espressamente dalla figlia e sollecitata ad intervenire; e su tale consapevolezza avevano riferito non solo la parte offesa, ma anche le testi D.M. e N. M..

La Corte territoriale ha, quindi, solo ricavato dai mancati interventi dell’imputata, nonostante fosse stata a tanto sollecitata dalla figlia, la definitiva, incontestabile, piena consapevolezza degli atti sessuali posti in essere dal S. (da lei favoriti con la condotta sopra ricordata).

Non vi è stata, quindi, alcuna "modificazione" della condotta commissiva concorsuale contestata (ampiamente ricordata dai giudici di merito) in una condotta omissiva impropria.

3.3) Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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