Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36970 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Confermando la decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza 20 ottobre 2010, ha ritenuto R. G. responsabile del reato di violenza sessuale continuata nei confronti di S.A. (nata il (OMISSIS)) dal (OMISSIS) ed, applicata la riduzione per il rito abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione. I Giudici hanno ritenuto attendibile il racconto della parte lesa, innanzi tutto, per la emersione della notizia di reato che è stata assolutamente spontanea e tale da non indurre a sospettare alcuna precostituzione dell’accusa. La giovane è stata trovata dalla Polizia nuda nel letto di tale M. (a casa del quale era stata mandata dalla madre per prostituirsi).

Nell’occasione, la ragazza ha dichiarato di avere frequentato per prestazioni sessuali anche R.G. perchè spinta dai familiari; la minore, che ha riconosciuto fotograficamente l’imputato, ha precisato, interrogata dal Pubblico Ministero, che il R. la portava in una abitazione di cui aveva la disponibilità.

A corroborare le dichiarazioni della S., vi erano quelle del M. (che ha indicato il R. come autore di violenze nei confronti della ragazza) e del nonno che, al momento della consegna della nipote, ha chiesto se fosse stata "trovata con G.".

La Corte ha escluso l’applicabilità dell’attenuante del fatto di minore gravità ed ha reputato la pena consona al caso. Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e rilevando:

– che i Giudici non hanno risposto alle censure dell’atto di appello;

– che la S. aveva motivi di rancore nei suoi confronti perchè si era rifiutato di aiutarla economicamente;

– che la casa descritta dalla minore non gli apparteneva e non è "a due passi" dalla abitazione della S. (come dalla stessa precisato);

– che le dichiarazioni del M. e del nonno, non verbalizzate (solo inserite in una annotazione di servizio), non possono essere utilizzate;

– che la ragazza non ha mai puntualizzato i fatti limitandosi a riferire che con il R. "faceva quello che faceva con il M.";

– che era riscontrabile la fattispecie della minore gravità;

– che non è stata data risposta alla richiesta di applicazione delle attenuanti ex art. 62 bis c.p..

Le censure sono in fatto, generiche e manifestamente infondate per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del proponente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma – che la Corte reputa congruo quantificare in Euro mille – alla Cassa delle Ammende.

I Giudici di merito – dopo una articolata elencazione e ponderata valutazione del compendio probatorio agli atti – hanno avuto cura di puntualizzare quali fossero gli indici di affidabilità che consentivano di ritenere attendibile il racconto accusatorio della minore.

L’iter argomentativo che sorregge la conclusione è congruo, completo, corretto e, di conseguenza, insindacabile in questa sede;

anche espungendo dal testo in esame le dichiarazioni del M. e del nonno della vittima (non escussi come testimoni), non viene meno la completezza motivazionale della impugnata sentenza.

Nessuna critica del ricorrente è idonea a mettere in discussione la plausibile – e resistente ad ipotesi alternativa – conclusione della Corte di Appello.

L’imputato formula censure in fatto (tendenti ad una rinnovata valutazione delle prove alternativa a quella operata dai Giudici di merito) o prive della necessaria concretezza (quale l’assunto inerente alle dichiarazioni calunniose della ragazza che non è corredato da alcun elemento o argomento che lo renda credibile).

Inoltre, il ricorrente ripropone al vaglio di legittimità critiche già sottoposte all’esame della Corte di Appello, prese nella dovuta considerazione e confutate in modo congruo ed esaustivo; di questo apparato motivazionale, il ricorrente non tiene conto nella redazione delle sue censure che, sotto tale profilo, sono generiche, perchè non in sintonia con le ragioni giustificatrici del gravato provvedimento. Per quanto concerne il regime sanzionatorio, la Corte territoriale ha correttamente giustificato il mancato esercizio del suo potere discrezionale sulla concessione della attenuante del fatto di minore gravità esplicitando il ragionevole motivo (l’imputato ha commesso reiterati abusi) per il quale è stata negata.

La Corte ha ritenuta congrua la pena in considerazione della circostanza che l’imputato, pagando le prestazioni sessuali della minore, ha contribuito al suo sfruttamento operato da familiari.

L’unico motivo di impugnazione che non è stato preso in esplicita considerazione dalla Corte territoriale e quello inerente alla concessione delle attenuanti generiche; tuttavia la genericità della relativa censura dell’atto di appello ( ove non era esplicitato alcun elemento pro reo idoneo a mitigare la pena) esonerava la Corte dal prenderla in esame confutarla.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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