Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36969

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 22.4.2010 la Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Padova del 16.9.2005, con la quale B.A. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed esclusa la circostanza aggravante contestata sub b), alla pena di anni 3, mesi 6 di reclusione per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, art. 61 c.p., n. 2 (capo a), art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2 (capo b), unificati sotto il vincolo della continuazione; nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo grado, la persona offesa. C.C., aveva incontrato casualmente, in (OMISSIS), l’imputato, che già conosceva fin dal 1997; costui le aveva manifestato la disponibilità, essendo essa in cerca di alloggio, ad ospitarla nel suo appartamento; ivi giunti, dopo la cena, l’imputato aveva iniziato a molestarla sessualmente, tanto che aveva deciso di andar via che era stata convinta a rimanere ancora per un poco, con la promessa di essere accompagnata con l’auto, stante la carenza di autobus nella zona; che l’imputato aveva improvvisamente prelevato una sostanza stupefacente di color caramello che aveva scaldata con l’accendino, costringendola poi ad inalarla; che era rimasta stordita ed in uno stato di torpore, che le aveva impedito di reagire all’uomo, il quale, dopo averla spogliata, l’aveva penetrata; che era stata riaccompagnata a casa in stato confusionale, rendendosi conto di essere stata violentata; che dopo circa un mese aveva rivelato della violenza subita alla sua amica F.M., la quale, a sua volta, ne aveva parlato con altra ragazza, Fo.Er.; che, insieme alle predette, ad altra amica, D.T.M., ed a due marocchini, si erano portati, per ottenere un chiarimento, nell’abitazione dell’imputato, il quale aveva finito per ammettere la violenza.

Tanto premesso, nel disattendere i motivi di appello dell’imputato, riteneva la Corte territoriale pienamente attendibili le dichiarazioni della parte offesa, che avevano trovato, peraltro, numerose conferme esterne, in ordine alla patita violenza sessuale ed all’assunzione della sostanza stupefacente.

2) Ricorre per cassazione B.A., denunciando la violazione di legge in relazione al reato di cui al capo a). La natura stupefacente della sostanza viene desunta dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in data 4.11.2001, nonostante la inutilizzabilità delle stesse ex art. 63 c.p.p.. In ogni caso, essendo il fatto avvenuto nel (OMISSIS), erano maturati i termini di prescrizione.

Quanto al capo b) denuncia la inosservanza od erronea applicazione della legge penale nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La pronuncia di condanna è stata fondata sulle sole dichiarazioni accusatorie della parte offesa, senza tener conto che la stessa, inizialmente, era coimputata nei reati di rapina e lesioni volontarie in danno dell’imputato e che era stato il medesimo a dare impulso al procedimento denunciando i reati commessi in suo danno.

Era a dir poco singolare la circostanza che la donna non avesse denunciato nell’immediatezza la presunta violenza subita, ma solo dopo aver appreso che l’uomo aveva, a sua volta, presentato denuncia.

Peraltro la versione dei fatti fornita dalla medesima era incoerente, contraddicono e non lineare.

Altrettanto contraddittoria è la motivazione della sentenza impugnata che, da un lato, riconosce che il ricorrente venne denunciato per una sorta di ritorsione e, dall’altro, che non era ravvisabile alcun intento ritorsivo. Illogica e contraddittoria è altresì la motivazione laddove, dopo aver riconosciuto che la donna liberamente si trasferì nell’appartamento, liberamente vi rimase, liberamente accettò l’inalazione della presunta sostanza stupefacente, sostiene poi il carattere non consenziente del rapporto sessuale.

Infine immotivatamente la Corte territoriale non ha concesso la circostanza .attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3. 3) Il ricorso è infondato.

3.1) La Corte territoriale ha ritenuto utilizzabili, a norma dell’art. 493 c.p.p., comma 3, le dichiarazioni rese dal prevenuto il 3.11.2001 e 4.11.2001, essendo stati i relativi verbali acquisiti sull’accordo delle parti all’udienza del 3.6.2005. L’art. 493 c.p.p., comma 3 stabilisce infatti che "Le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonchè della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva". E, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, "Presupposto per l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del P.M. di cui all’art. 493 c.p.p., comma 3 è l’accordo delle parti.." (Cass. sez. 3 n.13242 del 15.2.2008) ed "Il consenso all’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti in quello del p.m. può essere validamente prestato anche dal difensore dell’imputato, sia esso di fiducia o d’ufficio in quanto estrinsecazione del generale potere di indicazione dei fatti da provare e delle prove e conseguente al principio generale di rappresentanza dell’imputato da parte del difensore" (Cass.pen.sez.6 n.7061 dell’11.2.2010). Quanto alla utilizzabilità di atti contenuti nel fascicolo del P.M. ed acquisiti con il consenso della parti al fascicolo del dibattimento, l’unico "limite" è rappresentato dalla c.d. inutilizzabilità patologica". In tal senso si è espressa questa Corte anche di recente con la sentenza della sez.6 n.25456 del 4.3.2009: "Non possono essere legittimamente utilizzate, ai fini della decisione, neanche a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, atti contenuti nel fascicolo del P.M. ed affetti da inutilizzabilità c.d. patologica…" (conf.Cass.sez. 3 n.35372 del 23.5.2007).

3.1.1) Le dichiarazioni rese dal B. alla p.g. non erano inutilizzabili ex art. 63 c.p.p. Risulta invero, pacificamente, come si da atto nello stesso ricorso che era stato il prevenuto a presentarsi in Questura per denunciare, quale parte offesa, la "patita rapina" e che in quel momento la C. non aveva ancora presentato denuncia querela per la violenza subita. Tant’è che, da parte del ricorrente, si censura proprio il ritardo nella presentazione della querela ("appare assai rilevante ai fini dell’attendibilità della testimonianza di C.C., il fatto che fu il B. a dare impulso al procedimento in oggetto, presentando una denuncia per lesioni e rapina ai suoi danni e che solo a seguito di tale denuncia la C. rivela la asserita violenza sessuale subita"-pag.4 ricorso).

E, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "Le dichiarazioni indizianti rese da un soggetto che nello sviluppo del procedimento, per effetto di una diversa qualificazione del fatto, abbia assunto la qualità di indagato non sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p., in quanto la diversa situazione del dichiarante non può inficiare gli atti in precedenza legittimamente compiuti, in forza sia del principio di conservazione degli atti processuali che della regola generale del tempus regit actum" (cfr. Cass., pen. Sez.6 n.24180 del 4.6.2003; Cass.sez.6 n.7377 dell’1.7.1997).

In ogni caso, in relazione al reato di cui al capo a), come di seguito si vedrà, le dichiarazioni rese dal prevenuto non sono state neppure utilizzate. 3.2) La Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto che le dichiarazioni accusatorie della parte offesa erano lineari, coerenti e prive di contraddizioni; che il ritardo nella presentazione della querela era pienamente spiegabile, che non erano rinvenibili animosità ed eccesso accusatorio, che la pregressa conoscenza dell’imputato spiegava l’accettazione dell’invito. Per di più le dichiarazioni della parte offesa trovavano riscontro nelle testimonianze della F. e della D.T., le quali non solo avevano confermato le confidenze ricevute, ma anche di aver ascoltato (e quindi sul punto non si trattava di dichiarazioni "de relato") le ammissioni dell’imputato in relazione al fatto che il rapporto sessuale era avvenuto contro la volontà della ragazza.

A conferma, ulteriore della piena attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa era lo stesso comportamento dell’imputato, il quale, nella sua denuncia iniziale non aveva neppure indicato la C. come una delle partecipanti all’incontro, facendo, per la prima volta, il suo nome nel verbale integrativo delle ore 19,45 del 3.11.2001. Era evidente quindi, ha sottolineato la Corte, "il tentativo iniziale del B. di tacere quelle circostanze e modalità del fatto da lui denunciato da cui temeva potesse emergere – come in effetti è avvenuto – il precedente episodio di violenza sessuale in danno della C.".

La piena attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa si rifletteva anche sulla denunciata natura stupefacente della sostanza stupefacente somministratale, sia per la descrizione precisa della sostanza medesima (color caramello di tipo resinoso) che per le modalità di preparazione e per gli effetti che aveva provocato. La natura stupefacente della sostanza trovava riscontro (a prescindere da quanto dichiarato nel verbale di s.i.t. del 4.11.2001, che non viene quindi utilizzato) "nella congruenza degli effetti rilassanti – e privativi della forza di volontà- prodotti dall’assunzione della sostanza a quanto era stato nell’occasione direttamente esternato dal prevenuto alla C. circa la natura oppiacea della sostanza..". 3.2.1) Il ricorrente, a fronte della suddetta articolata ed approfondita motivazione della sentenza, ripropone, in questa sede, le medesime censure in fatto già disattese dalla Corte territoriale.

Nè sussiste la denunciata contraddittorietà della motivazione. La Corte territoriale non attribuisce la denuncia della C. ad un intento ritorsivo. Al contrario, evidenzia che la ragazza non aveva alcun interesse a rintuzzare processualmente la denuncia del prevenuto in quanto essa non era stata neppure attinta dalla denuncia medesima (pag.4 sent.).

Una spiegazione logica e non certo contraddittoria fornisce la Corte anche in ordine all’iniziale accettazione dell’invito dell’imputato, che non comportava, ovviamente, l’accettazione "dell’aggressione sessuale". 3.3) Il reato di cui al capo a) non è certo prescritto, applicandosi, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la disciplina prevista dall’art. 157 c.p. previdente.

La L. 7 dicembre 2005, n. 251, art. 10, come risultante dall’intervento della Corte Costituzionale n. 393 del 23.11.2006, stabilisce che "se per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti ed ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione".

A seguito della decisione della Corte costituzionale gli effetti favorevoli per l’imputato che invochi la prescrizione riguardano, quindi, tutti i procedimenti ed i processi in corso alla data dell’8 dicembre 2005, con l’unica eccezione dei processi già pendenti in appello o in cassazione.

Il processo de quo era, invece, già pendente in appello, essendo stata la sentenza del Tribunale emessa in data 16.9.2005 e, quindi, ben prima della entrata in vigore della L. n. 251 del 2005. 3.4) Quanto, infine, alla circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, la deduzione viene proposta per la prima volta in sede di legittimità (nei motivi di appello non vi era alcuna doglianza in proposito) per cui deve ritenersi inammissibile.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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