Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36968

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 12.7.2010 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 3.7.2009, con la quale F.A. era stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 56, 609 quater cpv. c.p. (capo a), per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e art. 609 quater c.p. (capo b), e per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 quinquies c.p. (capo c), unificati sotto il vincolo della continuazione.

Richiamata la motivazione della sentenza impugnata che aveva valutato correttamente le risultanze processuali, riteneva la Corte territoriale che l’appello dell’imputato fosse destituito di fondamento.

Secondo la ricostruzione dei giudici di primo grado le tre bambine ( Z.D., D.L.M.C. e S.I.), minori degli anni dieci all’epoca dei fatti, cugine in quanto figlie di tre sorelle, nei periodi invernali ed estivi si riunivano presso l’abitazione dei due nuclei familiari residenti in (OMISSIS), giocando tra di loro e con il figlio dell’imputato, recandosi anche nella abitazione vicina del predetto. Il F., che svolgeva il mestiere di cuoco, passava la mattina in casa. Gli abusi venivano resi noti casualmente, in quanto il fratello di I., litigando con lei, la minacciava di svelare ai padre il segreto. Il genitore insisteva per conoscere tale segreto, venendo così a conoscenza delle molestie subite dalle bambine ed informando anche gli altri genitori, che apprendevano,a loro volta, direttamente dalle piccole gli abusi. Le madri contattavano la moglie dell’imputato e lo stesso F. e le bambine,in un drammatico confronto, rinfacciavano all’uomo la sua condotta. D. riferiva alla madre che non aveva parlato prima per paura e, su invito dell’assistente sociale, riportava in un diario alcuni degli abusi.

Dopo una premessa in tema di valutazione delle testimonianze dei minori vittime di abusi sessuali, passava la Corte ad esaminare le specifiche doglianze contenute nell’atto di appello, rilevando che le dichiarazioni delle bambine, ed in particolare di D. (la più grande), rese in sede di incidente probatorio, erano particolarmente attendibili, essendo le rivelazioni precise e particolareggiate. La difesa stessa, pur evidenziando la non perfetta sovrapposizione tra le tre testimonianze, non contestava l’esistenza degli abusi (attribuendoli ad altro soggetto). Peraltro, le presunte contraddizioni in dette dichiarazioni erano spiegabili, essendosi gli episodi di molestie ripetuti in un lungo arco di tempo.

Secondo la Corte di merito priva di fondamento era l’ipotesi alternativa avanzata dalla difesa (secondo cui a commettere gli abusi sarebbe stato uno zio delle bambine, V.G., già coinvolto alcuni anni prima in un episodio di pedofilia). La tesi del "complotto" familiare per coprire il predetto era frutto di mere supposizioni e contraddetto dalle stesse modalità di svelamento dell’abuso.

Quanto alle dedotte carenze della consulenza psicologica sulla minore D., riteneva la Corte che si trattava di un atto sostanzialmente superfluo, disposto per scrupolo dal P.M.; nè certamente appariva necessario disporre una perizia.

La manipolazione de diario costituivano una mera illazione e la testimonianza della T. non era certamente in contrasto con le dichiarazioni accusatorie delle bambine.

Infine, riteneva la Corte che non fossero concedibili la circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4 e le circostanze attenuanti generiche.

2) Ricorre per cassazione, F.A., a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2, art. 81 cpv c.p., artt. 56 e 609 quater c.p., art. 609 quinquies c.p., art. 603 c.p.p..

Il F. è stato dichiarato colpevole dei reati ascritti sulla base delle dichiarazioni rese dalle tre minori in sede di incidente probatorio, senza tener conto delle palesi discordanze tra di loro e del quadro presuntamente manipolatorio in cui erano state fatte le prime rivelazioni sollecitate dai genitori, i quali si erano sentiti tra di loro e non potevano non aver influenzato le minori stesse.

Nè ha valutato la Corte territoriale la incredibilità della consulenza della dr.ssa B., la quale non solo non aveva allegato le tavole del test somministrato, ma aveva omesso di valutare il contenuto dell’allegato disegno n. 6, in cui la piccola D. faceva espresso riferimento a zio G., coinvolto venti anni prima in un episodio di pedofilia. Anche in considerazione del fatto che la consulenza era stata disposta dai P.M. ai sensi dell’art. 359 c.p.p. si rendeva necessario disporre una perizia, rigettata con motivazione contraddittoria ed illogica dalla Corte territoriale.

Nè la Corte ha approfondito il tema inerente l’autenticità del diario, nonostante i rilievi difensivi supportati dalla consulenza di parte.

La Corte di merito ha cercato di colmare le lacune probatorie con pseudo-argomentazioni, interpretando in chiave accusatoria elementi privi di significato o addirittura favorevoli all’imputato.

Denuncia, poi, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Con motivazione apparente la Corte ha rigettato la richiesta per la gravità e reiterazione della condotta (elemento preso in considerazione anche per negare la circostanza del fatto di lieve entità e per la commisurazione della pena.

3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) E’ opportuno ricordare, prima di esaminare i motivi di ricorso che, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in esso contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6A, 15 marzo 2006, ric. Casula). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico, composto da lettori razionali del provvedimento, è, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6A, 15 marzo 2006, ric. Casula). Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua naturale destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cfr. Cass. sez. 1, n.42369/2006).

3.1.1) Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza d’appello si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha puntualmente indicato le risultanze probatorie da cui emerge la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della responsabilità dell’imputato.

La Corte territoriale ha esaminato tutti i rilievi difensivi, disattendendoli con argomentazioni immuni da censure.

In particolare si è soffermata sulle doglianze sollevate in relazione alla attendibilità delle minori, rilevando che D., in particolare, aveva rappresentato, con parole e disegni, e con dovizia di particolari ed in modo assolutamente credibile, gli accadimenti.

Anche le altre due minori, pur con qualche imprecisione, erano state assolutamente certe nell’individuazione del soggetto abusante e le loro dichiarazioni erano state accompagnate da inequivoci disegni illustrativi, che rendevano evidente il vissuto di abuso. Ha ritenuto la Corte territoriale che non vi fosse, quindi, alcuna contraddizione interna, ma neppure esterna. Sotto tale ultimo aspetto ha evidenziato, infatti, che, trattandosi di reiterati episodi di molestie, ripetuti in un lungo lasso di tempo, potessero esservi dei ricordi non sempre coincidenti ("….è del tutto normale che una persona possa ricordare meglio un episodio piuttosto che un altro.."). Quel che rilevava, a prescindere da spiegabili difformità nei ricordi di episodi particolari, era che sul nucleo essenziale della vicenda (abusi sessuali ed autore degli stessi) vi fosse assoluta e concorde coincidenza.

La Corte territoriale ha affrontato anche la doglianza relativa al condizionamento esterno o, addirittura, al deliberato intento manipolano posto in essere dai genitori dei bambini. Dopo un attento esame delle risultanze processuali, ha sottolineato, in modo ineccepibile, come priva di fondamento fosse l’ipotesi alternativa prospettata dalla difesa. Senza alcuna contraddizione, pur riconoscendo che il disegno, in cui si faceva riferimento a zio G., avrebbe meritato un approfondimento da parte dello psicologo, ha spiegato le ragioni della insostenibilità ed inverosimiglianza della tesi prospettata dalla difesa, non rinvenendosi alcuna valida ragione per cui le accuse si sarebbero dovute "spostare" proprio sul F. (tra l’altro amico di famiglia), cfr. pag. 4 sent. Ma la smentita più clamorosa alla prospettazione difensiva si ricava proprio dalle modalità, assolutamente spontanee e casuali, dello svelamento dell’abuso. La tesi difensiva era quindi frutto di una mera supposizione. Nè vi era stato alcun condizionamento esterno da parte dei genitori, avendo le bambine raccontato i fatti del tutto spontaneamente e tenendo, nel corso del drammatico confronto, un comportamento che costituisce inequivoca conferma della veridicità e della spontaneità delle accuse ("..scagliandosi D. e M.C. con rabbia contro di lui quando nega le sue responsabilità….").

Quanto alla consulenza psicologica sulla minore D., la Corte, pur riconoscendo i limiti della stessa, l’ha ritenuta assolutamente irrilevante ai fini della prova. Ha infatti, sottolineato che essa era stata disposta dal P.M. per un eccesso di scrupolo, non ricorrendo una situazione tale da ricorrere ad una psicodiagnosi per evidenziare abusi sessuali già chiaramente esplicitati da una bambina all’epoca di undici anni (e quindi non piccolissima) e non emergendo alcun elemento per dubitare della sua capacità a testimoniare.

In modo perfettamente coerente con tale assunto, la Corte territoriale, a maggior ragione, ha ritenuto non necessario l’espletamento di una perizia. Peraltro, bisogna tener conto, che, trattandosi di perizia, la mancata assunzione non può essere dedotta come vizio della sentenza, stante la tradizionale considerazione della perizia quale mezzo di prova rientrante nel potere discrezionale di disposizione del giudice, come tale estranea al tipico contraddittorio tra le parti in tema di diritto alla prova e giustificata solo in caso di necessità di indagini postulanti specifiche competenze tecniche (cfr. Cass.sez. 1, 15.12.1997 n.11538). La giurisprudenza, anche più recente, di questa Corte è quindi concorde nel ritenere che "la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità della parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il citato art. 606 c.p.p., attraverso il richiamo all’art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività" (cfr. Cass. pen. sez. 4 n. 4981 del 5.12.2003; conf. Cass. pen. sez. 4 n. 14130 del 22.1.2007).

3.1.1.1) Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di illogicità e contraddittorietà della motivazione, ripropone sostanzialmente, anche in questa sede, una diversa, ed a lui più favorevole, lettura delle risultanze processuali; oppure lamenta che la Corte non abbia risposto a tutti i rilievi difensivi.

Ma è assolutamente pacifico che "Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass.pen. Sez.4 n.1149 del 24.10.2005 – Mirabilia; v. anche Cass.sez.un.n.36757 del 2004 Rv.229688).

3.2) Quanto infine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è pacifico che la concessione di siffatto beneficio costituisce un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere, in misura sufficiente, la sua valutazione. la Corte territoriale ha adeguatamente e correttamente motivato sul punto, non facendo leva solo sulla gravità della condotta. Ha infatti richiamato anche il comportamento processuale negativo, caratterizzato dalla diffamazione delle bambine e dei genitori e dall’articolazione di prove, ai limiti della calunnia, nei confronti dei predetti e di V.G., nonchè la mancanza di qualsiasi segno di resipiscenza quanto meno per tentare di riparare il danno cagionato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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