Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-07-2011) 13-10-2011, n. 36961

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 26 gennaio 2010 la Corte di Appello di Lecce, sez, dist. Di Taranto, confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Taranto del 15.4.2009, con la quale P.C., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che dichiarate equivalenti alla contestate aggravante ed applicata la diminuente per la scelta del rito, era stato condannato alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione per i reati di cui agli artt. 81, 609 bis e ter, 609 septies, 605 c.p., in danno di F.L. di anni (OMISSIS), chierichetto della chiesa (OMISSIS), presso la quale il P. era diacono, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Rilevava la Corte territoriale che le censure in ordine alì attendibilità del minore erano, per un verso, aspecifiche in quanto prescindevano dalla sentenza impugnata e, per altro verso, meramente ripetitive di questioni già affrontate dal primo giudice, per cui era anche sufficiente rinviare per relationem alla sentenza impugnata.

In ogni caso, sottolineava la Corte, dagli atti emergevano ulteriori elementi a conferma della ritenuta attendibilità delle dichiarazioni del minore, che, pertanto, potevano da sole sorreggere il giudizio di responsabilità, anche a voler ritenere fondati i rilievi difensivi in relazione alla inutilizzabilità delle captazioni delle due conversazioni tra il minore medesimo e l’imputato.

Peraltro riteneva la Corte priva di fondamento l’eccezione di inutilizzabilità, già correttamente disattesa dal primo giudice, di tali captazioni.

Infine, secondo la Corte di merito, non poteva essere riconosciuta l’ipotesi di minore gravità, risultando piuttosto la condotta del P. particolarmente grave, avendo egli approfittato non solo dell’età della vittima, ma anche dalla soggezione di questa verso di lui, e l’abuso era stato reiterato e connotato anche dalla violenza.

2) Ricorre per cassazione P.C., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 266 c.p.p. a mente dell’art. 271 c.p.p., comma 1, nonchè agli artt. 188, 189, 191 e 192 c.p.p..

Pur assumendo che le captazioni non sono strettamente necessarie ai fini dell’affermazione di responsabilità, la Corte territoriale finisce per rimanerne influenzata. E’ necessario, pertanto, ribadire l’eccezione di inutilizzabilità delle stesse.

Secondo la ben nota sentenza Torcasio, la registrazione occulta di una conversazione, effettuata da un privato interlocutore di propria iniziativa, non configura intercettazione ma prova documentale.

Tale sentenza, però, presenta dei vuoti (soprattutto in relazione alla esatta natura della registrazione effettuata dalla p.g..) che hanno dato vita, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, a difformi approdi giurisprudenziali. Nel caso di specie il partecipante alla conversazione non si limitò a registrarla, ma adoperò strumenti tecnologici attraverso i Carabinieri di Statte che erano posti in condizioni di captare in tempo reale le conversazioni medesime. Si trattò quindi di una intercettazione, cui va applicata la disciplina prevista dall’art. 268 c.p.p. e ss..

Il decreto di intercettazione d’urgenza del 19.2.2008 e quello di richiesta di proroga del 26.3.2008 sono nullì perchè privi di adeguata motivazione in ordine alla inutilizzabilità degli impianti presso la Procura.

Risulta, poi, violato l’art. 266 c.p.p., n. 2, essendo le captazioni dei colloqui tra il minore ed il P. intervenute all’interno della sagrestia della chiesa del Sacro Cuore, (luogo quindi riservato) senza che nei decreti vi fosse motivazione in ordine allo svolgimento di attività criminosa.

Sono state, altresì, violate le garanzie difensive in danno della persona sottoposta ad indagini nel momento in cui rende dichiarazioni indizianti. Le registrazioni non possono che essere illegittime, essendosi aggirate le disposizioni di cui agli artt. 62 e 63 c.p.p..

Denuncia, ancora, con il secondo e terzo motivo, la violazione di legge e la mancanza o apparenza di motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità del minore ed all’atteggiamento del parroco.

Con il quarto motivo denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva e l’assenza di motivazione in relazione all’omesso esame, nonostante la richiesta della difesa, del minore F.L..

2) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

2.1) I Giudici di merito hanno fondato l’affermazione di responsabilità del P. sulle dichiarazioni della parte offesa.

E’ assolutamente pacifico che le dichiarazioni della persona offesa dal reato possano essere assunte quali fonti del convincimento senza necessità di riscontri esterni. Il giudice, tuttavia, non può sottrarsi ad un esame dell’attendibilità del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati oggettivi emergenti dagli atti, che confortino l’assunto accusatorio. E’ quindi necessario, stante l’interesse che ha la parte offesa verso l’esito del giudizio, vagliare le sue dichiarazioni con ogni cautela.

La Corte territoriale si è attenuta a tali consolidati principi, adottando pronuncia di condanna dopo aver esaminato, approfonditamente, l’attendibilità del minore F.L..

Pur rinviando, correttamente, per relationem alla sentenza di primo grado, essendo i motivi di appello, in punto di attendibilità, meramente ripetitivi ed aspecifici, ha comunque evidenziato "ulteriori emergenze fattuali e logiche che il processo offre a conferma della prova certa della responsabilità dell’appellante".

La stessa genesi dell’accusa era significativa, essendosi la parte offesa prima confidata con il fratello gemello e dopo, sotto la spinta di quest’ultimo, con i genitori; ne aveva quindi parlato con il parroco e solo alla fine era stata presentata la denuncia;

palesemente quindi non vi era alcuna volontà calunniatrice. Siffatta progressione era, piuttosto, rivelatrice di genuinità e sincerità del racconto.

Le dichiarazioni del minore si rivelavano precise, circostanziate, esenti da contraddizioni, misurate, prive di intenti malevoli nei confronti dell’imputato.

Ha quindi la Corte territoriale esaminato le specifiche doglianze contenute nell’atto di appello, disattendendo, con argomentazioni pertinenti e logiche, i rilievi in ordine al comportamento del minore dopo il primo episodio (pag.6) ed all’atteggiamento del parroco (pag.7).

Ha rilevato, infine, la Corte territoriale che la difesa dell’imputato era contraddittoria in ordine all’attribuzione dell’intento ritorsivo ed assolutamente inverosimile, al punto da costituire un’ulteriore conferma delle dichiarazioni dei minore.

Con i motivi di ricorso vengono riproposte censure attinenti al merito della decisione impugnata, che si risolvono in una diversa lettura e valutazione delle risultanze processuali. Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. E’ necessario cioè accertare se nell’interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove medesime, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

3.2) Non è censurabile la motivazione neppure in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

La rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado. Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il giudice la ritenga necessaria ai fini del decidere.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito con i motivi di impugnazione di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda;

invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità" (cfr.Cass. sez. 5 n.8891 del 16.5.2000; Cass.sez. 6 n.5782 del 18.12.2006). Per di più nella fattispecie in esame si verte in tema di giudizio abbreviato. Questa Corte ha costantemente affermato che "nel processo celebrato con il rito abbreviato, l’imputato rinunzia definitivamente al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite agli atti o richieste come condizione a cui subordinare il giudizio allo stato degli atti ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5. I poteri del giudice di assumere gli elementi necessari ai fini della decisione ( art. 411 c.p.p., comma 5), di disporre in appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ( art. 603 c.p.p., comma 3) sono poteri officiosi, che prescindono dall’iniziativa dell’imputato, non presuppongono una facoltà processuale di quest’ultimo e vanno esercitati solo quando emerga un’assoluta esigenza probatoria" (cfr.

Cass. pen. sez. 3 n.12853 del 13.2.2003). E’ stato ribadito anche successivamente che "a seguito della nuova formulazione dell’art. 438 c.p.p., deve ritenersi possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale da parte dell’imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria, mentre chi abbia richiesto il rito abbreviato alla stato degli atti può solo sollecitare il giudice di appello all’esercizio del potere di ufficio di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n.15296 del 2.3.2004;

conf.Cass.pen.sez.4 n.15573 del 20.12.2005).

Come risulta dalla sentenza di primo grado, inizialmente il P. aveva fatto richiesta di essere giudicato con rito abbreviato condizionato all’escussione dei testi C.C. e S.A., o, in subordine, di rito abbreviato semplice. Il GIP respingeva la richiesta principale (perchè non necessaria l’integrazione probatoria) ed ammetteva l’imputato al rito abbreviato semplice (pag. sent.GIP). Nel richiedere la rinnovazione del dibattimento in appello per la escussione del minore e del parroco (soggetti tra l’altro diversi da quelli al cui esame era stata subordinata inizialmente la richiesta di rito abbreviato) venivano, quindi, solo sollecitati i poteri officiosi della Corte.

La Corte territoriale ha ritenuto non solo non necessaria, ma addirittura inutile la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

E dalla motivazione della sentenza risulta implicitamente tale inutilità, laddove i giudici di merito si soffermano sulla piena attendibilità del minore (giudizio cui pervengono sulla base delle complete, esaustive, dettagliate dichiarazioni già rese dallo stesso) e sul comportamento del parroco. 3.3) La Corte territoriale non ha utilizzato, quindi, le due conversazioni registrate per prevenire al giudizio di piena responsabilità dell’imputato in ordine ai reati ascritti.

Tanto risulta chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata, fondata come si è visto, sulla piena attendibilità delle dichiarazioni accusatorie del minore parte offesa. Peraltro, in premessa, la stessa Corte ha esplicitamente affermato che dette dichiarazioni, da sole, costituivano "un fondamento probatorio sicuro e tranquillante.." (pag.5 sent.), tanto da concludere che "se anche fossero fondati i rilievi difensivi sulla inutilizzabilità delle captazioni, ciò non minerebbe la certezza della prova a carico del P.".

Tale mancata utilizzazione, di fatto, delle due conversazioni captate finisce per riconoscere lo stesso ricorrente, il quale, insistendo sulla eccezione di inutilizzabilità, non spiega in che modo la Corte territoriale sia rimasta, nella sua decisione, "influenzata" dalle stesse.

Solo per completezza la Corte territoriale, richiamando anche la motivazione della sentenza di primo grado, ha ritenuto, comunque, destituita di fondamento l’eccezione di inutilizzabilità, essendo congruamente motivato, con rinvio ricettizio ad altro provvedimento allegato, la inidoneità degli impianti dell’Ufficio di Procura e, sotto il profilo di cui all’art. 266 c.p.p., comma 2, sussistendo il "fondato motivo che l’inquisito reiterasse gli atti addebitatigli, come del resto motivato dal GIP" (pag.4 sent.GIP). Va infine ricordato che, come ribadito anche di recente da questa Corte, "Le dichiarazioni, captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 c.p.p., giacchè l’ammissione di circostanze indizianti fatta spontaneamente dall’indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese dinanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e le registrazioni e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze de relato su dichiarazioni dell’indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto" (ex multis Cass.pen.sez. 4 n.34807 del 2.7. 2010;

conf.Cass.pen.sez. 6 n.31739 del 22.5.2003).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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