T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 14-11-2011, n. 8828

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso, notificato il 17 novembre 2010 e depositato il successivo 14 dicembre, gli interessati, nella qualità di soci della Cooperativa di Coniglicoltori denominata CO.CO.MA. e di eredi di D.S. a cui veniva concessa in locazione sin dal 3 aprile 1975 un terreno di Ha 3.000,00 di proprietà del Comune di Tuscania, in località Bosco Riserva, hanno impugnato gli atti meglio specificati in epigrafe perché lesivi del loro interesse connesso alla conclusione favorevole del procedimento di affrancazione e vendita del terreno in questione a seguito della richiesta formulata sin dal 14 giugno 2002.

Al riguardo, i medesimi hanno prospettato i seguenti motivi di impugnazione:

1) Elusione del disposto della decisione del TAR Lazio, Sezione. II/ter, n. 5891 dell’8 aprile 2010. Eccesso di potere per sviamento, poiché l’attività provvedimentale del Comune di Tuscania – a fronte di una richiesta di affrancazione supportata dalla previsione normativa (LL.RR. n./1986 e n. 6/2005) che dispone a carico del Comune intimato determinati obblighi di verifica, censimento ed alienazione, nonché da precisi e concordanti provvedimenti del Comune di Tuscania (delibera del consiglio comunale n. 64 del 2 dicembre 2005 e delibere della giunta comunale n. 170 del 17 maggio 2006, n. 145 del 26 aprile 2006 e 143 del 18 dicembre 2002) – sarebbe espressione di uno sviamento di potere posto in essere al solo scopo di impedire la conclusione del procedimento così come acclarato da apposita decisione di questo Tribunale (sentenza n. 5891/2010 dell’8 aprile 2010);

2) Insussistenza dei presupposti per procedere alla revoca in via di autotutela degli atti consiliari e della giunta comunale di autorizzazione alla vendita; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto dei presupposti ed ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione; violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241, poiché nella fattispecie in esame il potere di autotutela posto in essere dalla p.a. non è giustificabile in presenza di un legittimo affidamento delle parti private alla conclusione di un contratto di vendita e senza che vi fossero tutti i presupposti enunciati dall’art. 21 nonies, comma primo, della legge n. 241 del 1990.

Si è costituito in giudizio il Comune di Tuscania, il quale ha eccepito l’infondatezza delle doglianze prospettate.

Nella Camera di Consiglio del 2 marzo 2011 con ordinanza n. 804/2011 questo Tribunale ha accolto la domanda di sospensione degli effetti dei provvedimenti impugnati.

All’udienza del 5 ottobre 2011 la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

La questione dedotta in giudizio è già stata esaminata dalla sezione, seppure sotto l’aspetto della verifica della sussistenza dell’obbligo a provvedere in capo al Comune di Tuscania al quale è stata rivolta dai soggetti istanti una precisa domanda di affrancazione del terreno su cui insistono dei capannoni industriali ed oggetto di un precedente contratto di affitto in applicazione della L.R. Lazio n. 1 del 1986 e successive modificazioni (TAR Lazio, Sezione. II/ter, n. 5891 dell’8 aprile 2010).

In tale contesto, il Collegio ha ritenuto di qualificare la posizione dei ricorrenti e della situazione pregressa in maniera che non può non condividersi e che può avere un suo peso nella valutazione delle legittimità degli atti poi adottati dal Comune di Tuscania.

In data 14.06.2002, unitamente ad altri ex soci della cooperativa, la signora G.C. ha presentato al Comune di Tuscania domanda di acquisto ai sensi della legge regionale Lazio n. 1 del 1986. Su tale domanda si è pronunciata la Giunta comunale, con delibera n. 343 del 18.12.2002, esprimendo il proprio nulla osta all’avvio delle procedure per l’ottenimento presso l’Assessorato agli usi civici della Regione Lazio il mutamento della destinazione d’uso temporanea dei terreni già concessi in affitto. Con la medesima delibera, la Giunta comunale ha stabilito che "una volta acquisita al protocollo comunale la perizia redatta dall’Arch. Ermanno Mencarelli, perito demaniale nominato dalla Regione Lazio per la sistemazione dei diritti civici di questo Comune, corredata da apposito frazionamento delle aree con relativo riparto delle quote millesimali, venga sottoposta alla approvazione di competenza del consiglio comunale".

In data 10.03.2003, il perito demaniale arch. Mencarelli redigeva la propria relazione, indicando il capitale di affrancazione finale del terreno.

Dopo numerose sollecitazioni compiute dalla signora sopra indicata, con note in date 27.09.2003, 29.01.2004, 14.07.2005, il Consiglio comunale di Tuscania, con la delibera n. 64 del 2.12.2005, decideva di: a) "accettare l’istanza di legittimazione" avanzata dalla ricorrente; b) autorizzare l’alienazione del terreno limitatamente al suolo su cui insistono le costruzioni e le relative superfici di pertinenza esteso anche alla strada di accesso ai lotti; c) che tutta la documentazione tecnicoamministrativa, ivi comprese la perizia di stima ed il relativo riparto millesimale, nonché la procedura di liquidazione degli usi civici presenti sul terreno, "dovranno uniformarsi alle normative impartite con la L.R. 3.1.1986 n. 1 modificata dalle successive leggi regionali n. 59/1995 e n. 6/2005".

Con successiva delibera n. 145 del 26.04.2006, la Giunta approvava la perizia di stima redatta dall’arch. Mencarelli e decideva di "alienare il terreno suddetto limitatamente al suolo su cui insistono le costruzioni e le relative superfici di pertinenza comprensivo anche della strada di accesso ai lotti". Con la medesima delibera veniva nominato quale rappresentante del Comune alla sottoscrizione dell’atto notarile il geom. Angelo Ceci, dirigente dell’Area Dipartimentale TecnicoManutentiva.

Nonostante gli atti sopra menzionati, la ricorrente non è riuscita ad ottenere il trasferimento del terreno, giacché il Comune di Tuscania comunicava di aver riscontrato non meglio precisati "problemi di legittimità e di conformità urbanisticoedilizia" i quali "potrebbero non rendere possibile giuridicamente l’accoglimento dell’istanza".

Con atto notificato in data 17.11.2009, la ricorrente ha diffidato il Comune di Tuscania a concludere il procedimento attivato sulla domanda di affrancazione, dando esatta esecuzione alle citate delibere consiliari.

La citata sentenza di questo tribunale n. 5891/2010 ha accolto il ricorso avverso il silenzio inadempimento, osservando allo scopo che la domanda di affrancazione ricade nella disciplina di cui alla legge regionale Lazio 3 gennaio 1986 n. 1, come modificata dalla legge regionale 27 gennaio 2005, n. 6, la quale riconosce ai Comuni la facoltà di alienazione dei terreni di proprietà collettiva di uso civico, stabilendo condizioni, termini e modalità per l’esercizio della predetta facoltà.

Il Comune di Tuscania, pur attivando il procedimento finalizzato all’alienazione in favore della ricorrente del terreno già concesso in affitto alla citata cooperativa di allevatori e pur avendo adottato più atti amministrativi – con i quali ha ingenerato un legittimo affidamento in capo alla ricorrente medesima in ordine al positivo esito del procedimento – non ha ancora adottato un provvedimento conclusivo, non permettendo alla ricorrente, a causa della persistente inerzia, di ottenere il bene agognato.

In tale contesto si collocano pertanto i provvedimenti impugnati che sono definiti dall’Amministrazione resistente come provvedimenti di revoca in autotutela.

Nella seduta del 21 luglio 2010, il Consiglio Comunale di Tuscania ha ritenuto di porre nel nulla la precedente delibera n. 64 del 2 dicembre 2005, inerente l’istanza di legittimazione presentata da soggetti ex soci della Soc. Coop.va CO.CO.MA., sulla sola considerazione della mancanza di presupposti di legge per l’adozione della delibera citata del 2005.

In concreto, l’atto di autotutela si fonda su alcune circostanze ostative al riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 8, comma 2, della L.R. Lazio n. 1 del 1986:

– insistenza parziale sul terreno in questione di un diritto di uso civico ed inserimento dello stesso nei piani paesistici ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs. n. 42 del 2004;

– realizzazione di manufatti edilizi (capannoni industriali) in difformità sostanziale dalle opere assentite con la licenza n. 5790/76;

– assenza di apposite domande di condono;

– obbligo di rimozione delle predette opere edilizie alla scadenza del termine del contratto di locazione;

– mancato accatastamento degli immobili e mancato versamento dell’ICI dovuta;

– venir meno dello scopo unico ed essenziale alla locazione dell’area interessata (attività di allevamento animale) per cessazione avvenuta il 30.6.1995.

In adempimento della suindicata delibera del Consiglio Comunale, la Giunta Comunale di Tuscania, nella seduta del 26 agosto 2010, ha ritenuto di revocare in autotutela le precedenti deliberazioni della Giunta n. 343 del 18.12.2002, n. 145 del 26.4.2006 e n. 170 del 17.5.2006 sulla base delle stesse argomentazioni e valutazioni del Consiglio Comunale e senza aggiungere alcun altro aspetto significativo.

Le censure e le argomentazioni esposte in sede di autotutela conducono il Collegio a ritenere che le delibere adottate, sia dal Consiglio che dalla Giunta del Comune di Tuscania, proprio perché tendenti ad evidenziare non solo la sussistenza di cause ostative all’applicazione al caso concreto dell’istituto previsto dall’art. 8, comma 2, della citata legge regionale n. 1/86, ma anche l’assenza di presupposti di legge, non possono essere qualificate come provvedimenti di revoca, bensì atti di mero annullamento d’ufficio.

Sul punto hanno una particolare valenza i principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa.

Nell’interpretare l’atto amministrativo ai fini della sua qualificazione si deve tener conto non già del nomen juris assegnato dall’Autorità emanante, bensì del suo effettivo contenuto e di quanto effettivamente dispone (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 2005 n. 7039 e Sez. V, 20 luglio 1999 n. 847, nonché T.A.R. Brescia 12 gennaio 2007 n. 15 e T.A.R. Lazio, Sez. III, 20 giugno 2006 n. 4874).

L’annullamento d’ufficio di una gara d’appalto – specie se in stato avanzato di espletamento o addirittura culminata in una pur provvisoria aggiudicazione (nel caso che ci occupa vi è addirittura la delibera consiliare che esplicita l’intenzione concreta e definitiva di addivenire alla stipula del rogito per l’alienazione dei terreni gravati da uso civico e su cui insistono i capannoni a suo tempo assentiti) – implica la frustrazione dell’affidamento ingenerato in capo ai partecipanti (nel caso di specie degli ex soci della Cooperativa agricola che avevano condotto per un lungo lasso di tempo i terreni agricoli in questione ed investito dei capitali per la realizzazione dei previsti capannoni industriali), e segnatamente all’aggiudicatario, con la conseguente necessità, consacrata dal disposto dell’art. 21 nonies L. 7 agosto 1990 n. 241, di una ragione di interesse pubblico tale da giustificare comparativamente l’incisione delle posizioni in rilievo (Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 dicembre 2006 n. 7102 e TAR Calabria, sede di Reggio Calabria, 10 ottobre 2008 n. 527).

Inoltre, la stessa giurisprudenza, ormai pacifica sul punto, ha ritenuto che il provvedimento di annullamento d’ufficio di un atto amministrativo deve essere motivato con riferimento all’interesse pubblico attuale quando, in relazione al tempo trascorso dall’adozione dell’atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive che al fine della loro rimozione necessitano dell’esistenza e dell’esternazione di ragioni di pubblico interesse diverse dal mero ripristino della legalità (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2002 n. 6113, nonché, Sez. V, 25 luglio 2006 n. 4671 e TAR Lazio, Sez. II/bis, 26 marzo 2007 n. 2604).

Non va dimenticato poi, sempre alla luce di una coerente giurisprudenza, che l’ampiezza dell’obbligo di motivazione gravante sull’Amministrazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico che giustificano l’esercizio dei poteri di autotutela relativamente a un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, è direttamente proporzionale all’affidamento (e al suo livello di consolidamento), in capo al destinatario del provvedimento, medio tempore formatosi, tenuto conto, peraltro, che maggiore è il tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento ampliativo, più pregnante è l’obbligo di motivare in ordine all’esistenza di un interesse pubblico al ritiro, prevalente su quello del soggetto privato alla conservazione dell’atto (Cfr. TAR Lazio, Sez. II, 16 marzo 2005 n. 1884).

Giova, inoltre, precisare che anche i rilevi mossi dall’amministrazione resiste, e posti a base dell’atto di autotutela non hanno il crisma della certezza.

In particolare le parti fanno rilevare che il contratto originario sottoscritto tra Comune di Tuscania e gli ex soci della Coop. Co.Co.Ma. non ha ad oggetto beni produttivi, ma può qualificarsi come un contratto di affitto di fondo rustico antecedente al 1982 e, pertanto, soggetto alla disciplina dei contratti agrari di cui alla legge 3 maggio 1982 n. 203, con la conseguente durata minima di 15 anni e la previsione ex lege della rinnovazione tacita anche a favore dei singoli soci della cooperativa in applicazione dell’art. 4 della citata legge n. 203/1982, rispetto ai quali il Comune negli anni non ha mai contestato che il rapporto di locazione di fondo rustico potesse continuare anche nei loro confronti sia pure in via di mero fatto.

Inoltre, le stesse assumono che la presunta irregolarità urbanistica non è stata mai formalmente accertata e dichiarata. Tale circostanza assume un rilievo particolare in ragione del fatto che nella stessa delibera di Giunta n. 64 del 2005, il dirigente dell’Area Tecnico Manutentiva del Comune resistente dichiarava la piena regolarità tecnica dei manufatti oggetto di cessione.

Alla luce della giurisprudenza sopra illustrata può senz’altro ritenersi fondato, oltre che prevalente ed assorbente, il secondo motivo di gravame laddove si prospetta la violazione dell’art. 21 nonies, comma primo, della legge n. 241 del 1990.

Va nel contempo disattesa la richiesta di risarcimento danni atteso che l’annullamento dei provvedimenti impugnati lascerebbe impregiudicata la valutazione dell’amministrazione resistente in merito alla possibilità di alienazione dei terreni oggetto della richiesta di affrancazione.

Per tutte le ragioni espresse, il Collegio accoglie in parte il ricorso ed annulla i provvedimenti impugnati perché viziati da violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti della p.a..

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso proposto come in epigrafe, lo accoglie in parte e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei sensi e nei termini di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Tuscania, resistente, al pagamento delle spese di giudizio a favore dei ricorrenti che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 ed a rifondere agli stessi il contributo unificato versato pari ad Euro 500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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